Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
13ª edizione - (2010)

Racconto per il premio Sofia

Ed ecco che comincia un'altra notte che certamente sarà insonne, come sempre; gli occhi chiusi ma l'orecchio sempre pronto a captare qualsiasi rumore, a percepire ogni possibile pericolo. Del resto da quando il nostro pianeta è stato scosso da una nuova guerra persino le azioni quotidiane apparentemente semplici sono diventate un lusso impossibile da concedersi.
Io e la mia famiglia siamo da giorni chiusi nel seminterrato del palazzo nel quale vivevamo, insieme ad altre famiglie, con poco cibo e nessun tipo di distrazione per le nostre menti messe a dura prova dal lungo periodo di reclusione. Solo una volta al giorno la porta che ci separa dal caos che regna in città si apre per permettere a uno di noi di uscire a cercare qualcosa da mangiare che ci consenta di sopravvivere. Da quella piccola fessura si riesce a malapena a scorgere il cielo azzurro primaverile, troppo spesso affollato da aerei militari, e tutto attorno solo macerie e polvere, ciò che rimane della nostra città.
Questa mattina però, setacciando un'altra volta ogni centimetro dello scantinato in cerca di qualcosa che potesse esserci utile, la mia attenzione è stata nuovamente catturata da quel grande baule, sepolto da coperte, che ormai viene usato come sedia ma che chissà perché nessuno ha mai tentato di aprire. La serratura particolarmente vecchia e arrugginita ne rende difficile l'apertura, ma ormai la curiosità è troppa, ho deciso che devo scoprire il contenuto di quel baule; se non altro ho trovato una maniera alternativa di trascorrere la giornata.
Finalmente, dopo diversi tentativi, dopo aver usato qualsiasi arnese a mia disposizione, sono riuscita a forzare la serratura e, con grande agitazione, a sbirciare il contenuto della vecchia cassa che si è rivelata essere, con mia grande delusione, il deposito di giocattoli ormai accantonati da chissà quale bambino ormai troppo cresciuto per trovarli ancora interessanti.
Quel poco di entusiasmo che finora ha caratterizzato la mia ricerca presto muta in delusione quando inizio a tirare fuori uno a uno gli oggetti appena riportati alla luce: peluche impolverati, trenini, qualche pezzo di lego, una decina di macchinine consumate da infiniti viaggi su pavimenti di parquet e poi, quando ormai non spero di trovare nulla che possa soddisfare i desideri di una quindicenne, sul fondo del baule vedo dei libri.
Sono in tutto cinque, perlopiù per bambini; favole che i genitori sono soliti leggere ai loro figli prima di andare a letto, e che un tempo accompagnavano anche il mio sonno.
Con grande sorpresa trovo anche un libro per adulti, forse finito lì per caso e dimenticato tra i ricordi d'infanzia. Sulla copertina una grande fiamma rossa su sfondo bianco sopra la quale, nonostante il libro sia particolarmente consumato, si può leggere il titolo: Fahrenheit 451, di Ray Bradbury.
Inizio a leggere le prime pagine, il protagonista si chiama Montag ed è un vigile del fuoco, ma non uno di quelli che salvano civili dal pericolo delle fiamme: lui gli incendi li appicca per distruggere qualsiasi traccia di carta stampata, bandita dal governo. Non capisco che cosa ci sia di interessante nel raccontare la storia di un uomo simile, che, invece di aiutare gli altri, ne distrugge le abitazioni, ne cancella i ricordi e riduce tutto a un cumulo di cenere.
Chiudo il libro, lo rimetto nel baule, questa volta sopra i peluche e i giocattoli e torno alla monotonia di tutti i giorni, lasciandolo lì.
Ora però, nel buio, ripenso a Montag; deve esserci qualcosa di positivo in lui, qualcosa che l'autore non vuole svelare subito ai suoi lettori, ma che è tenuto nascosto, per rendere interessante la lettura. Sì, Ray Bradbury non può aver passato ore e ore a scrivere la storia di un uomo non interessante, che non avesse qualcosa di speciale, e io voglio scoprire cos'è: cosa si nasconde dietro un vigile del fuoco apparentemente spietato. Accendo una candela, apro di nuovo il baule e ricomincio a leggere.
Gli occhi scorrono, lettera dopo lettera, parola dopo parola, persino più veloci del cervello, che deve cercare di decifrare e capire ogni lettera, ogni parola. Ormai però non si può fare altrimenti, la vita di Montag mi incuriosisce, vorrei essere lì con lui, vorrei sapere già come andrà a finire la sua storia, ma per scoprirlo gli occhi devono correre. Questa corsa però è stancante, soprattutto alla debole luce di una candela, sono costretta perciò a chiudere gli occhi, a conceder loro un po' di riposo, quello che invece non concedo alla mia mente. Essa continua a immaginare, il viso di Montag, la sua città, la sua casa, sua moglie, i compagni vigili del fuoco. Nella mia mente tutto riprende vita, ora i personaggi e i luoghi descritti dall'autore hanno un volto, prendono forma, diventano familiari, più vicini nonostante sembra non abbiano nulla in comune con me.
Ma non appena sorge il sole e dalle piccole finestre del seminterrato inizia a entrare la debole luce del giorno, riapro gli occhi e, mentre attorno a me gli altri ancora dormono, io mi posiziono vicino a una finestra e mi immergo di nuovo nella vita di una sconosciuta cittadina degli Stati Uniti.
Il protagonista è sempre più sconvolto dall'incontro con una ragazza, Clarisse, che sembra aver trovato la felicità nelle cose più semplici, soltanto fermandosi a guardare con attenzione ciò che la circonda, cosa particolarmente rara per cittadini come Montag ormai abituati a una vita frenetica. È proprio l'incontro con questa ragazza che spinge il protagonista a porsi domande a cui non aveva mai pensato. L'apatia nella quale aveva vissuto fino ad allora, nella quale il suo stato aveva deciso di far vivere la popolazione per poterla controllare più efficacemente, gli aveva impedito di riflettere sulla realtà che lo circonda, su come fosse originariamente, prima che gli incendiari iniziassero ad appiccare fuoco alle case, prima che le auto iniziassero a correre troppo veloce.
Scorro velocemente una pagina dopo l'altra e arrivo finalmente al colpo di scena: il vigile del fuoco, il distruttore di libri ora è lì nell'abitazione di un'anziana donna, pronto a distruggerla insieme ai libri che vi si trovano.
Ecco che una mano, furtivamente, afferra un libro e lo porta al sicuro sotto il giubbotto, sotto la divisa da incendiario.
Ecco ciò che stavo cercando, non mi sbagliavo, ora è tutto più chiaro: Montag non è come gli altri vigili del fuoco, io l'avevo capito subito e in cuor mio lo speravo. Anche lui ora ha un libro e in seguito inizia ad accumularne; ha scoperto il loro valore ed è pronto a rimettere in discussione tutta la sua vita, tutte le scelte fatte, per proteggere il tesoro che ha appena scoperto da coloro che vogliono distruggerlo, da quelli che fino a poco fa erano i suoi stessi compagni. Nel mondo di Montag si può avere tutto, le migliori tecnologie sono a disposizione di chiunque per facilitarne la vita, ma inspiegabilmente è difficile trovare la felicità. Forse questa si può trovare nei libri: in una realtà che ha fin troppo sono l'unica cosa che manca.
Da ora la vita del protagonista è completamente sconvolta; cresce la paura di essere scoperto dalle autorità, così come la voglia di continuare a leggere di Montag. Purtroppo però è impossibile nascondersi a lungo quando si è controllati attentamente dallo Stato. Ben presto arriva anche per il protagonista il momento di fuggire dalle autorità che vogliono distruggere i suoi libri, la sua casa, la sua nuova vita, proprio quando ha iniziato a capire il segreto per apprezzarne a pieno il significato.
Gli incendiari arrivano verso casa di Montag: ora si può solo correre, e io corro con lui, posso sentire l'affanno, il battito del cuore che accelera per la paura di essere scoperti, per il timore che tutto finisca in una spoglia cella di un carcere o peggio di un manicomio. Corre verso il fiume, sperando che la natura sia dalla sua parte e gli conceda di sparire tra le fronde o sott'acqua, accompagnandolo dove nessuno potrà trovarlo. E così accade: ma proprio quando pensa di essere al sicuro, e anche io posso finalmente tirare un sospiro di sollievo, ecco comparire un gruppo di uomini anziani.
Potrebbero mettere in pericolo la vita del fuggitivo, non credo siano pericolosi, ma la loro identità la scopro solo qualche pagina più in là: si tratta di intellettuali che vivono nascondendosi per non divenire vittime del governo, proprio come da ora sarà costretto a fare anche Montag.
Il protagonista parla con uno degli uomini appena incontrati e, per la prima volta da quando ho iniziato a leggere questo libro, i miei occhi sembrano rallentare, non hanno più fretta di scoprire cosa accadrà nelle pagine successive, ma vogliono concentrarsi su ogni parola. Gli anziani che Montag ha incontrato lungo il fiume hanno trovato il modo di far rivivere i testi che hanno letto, li ricordano, li portano dentro di loro, così che nessuna fiamma potrà mai distruggerli. Leggo le parole di Ray Bradbury e vorrei averle scritte io, perché è come se fossero mie, come se anch'io fossi convinta di ciò che l'autore dice, di come le nostre opere ci possono rendere immortali, ma lui ha trovato il modo migliore per esprimere ciò che sentiva.
Ecco il significato della storia di Montag, le prossime pagine saranno di certo una conclusione meno entusiasmante, ma sono sicura che è proprio racchiuso in questo dialogo il significato di tutta la storia: ora porto dentro di me anche una parte di Montag, ma soprattutto come lui sono convinta che sia di vitale importanza lasciare in questo mondo un segno indelebile della nostra presenza, che sia scolpito nei cuori e nelle menti di tutti o soltanto dei nostri cari; ciò è sufficiente per farci sopravvivere alla morte.
Sono alle ultime pagine del romanzo, gli ultimi attimi del mio viaggio. Suona la sirena che precede i bombardamenti, stringo forte il mio libro e mi unisco agli altri, accucciati vicino al muro, con le mani sulle orecchie per cercare di ignorare il fragore delle bombe, poi un rumore sordo e il buio.

Sono passati tre anni dalla prima volta che ho letto Fahrenheit 451 nello scantinato del palazzo che hanno da poco ricostruito e nel quale ora io e la mia famiglia abbiamo ricominciato a vivere. Ora ho una stanza tutta per me, un luogo da non dover condividere con estranei, come invece accadeva in guerra. Io e i miei cari stiamo tentando di andare avanti con tutte le nostre forze, sarà difficile dimenticare i mesi di reclusione, ma c'è un ricordo che ho voluto tenere con me. Per essere sicura di non dimenticarlo ora lo lascio riposare su una mensola vicino al mio letto, insieme ad altri libri. Ora che ho altro a cui dedicarmi mi basta dargli un'occhiata ogni tanto, per essere certa che sia ancora lì, che in ogni momento sia possibile per me riaprire le pagine di quel libro, ricordandomi di come in un momento per me particolarmente difficile sia stato in grado di darmi un briciolo di felicità, di portare un raggio di sole in giorni da troppo tempo grigi.
Apro il libro, pagina 179, l'incontro di Montag con gli anziani, la mia parte preferita. Ed è come se fossi lì. Accanto a me c'è Montag, circondato da uomini con capelli e lunghe barbe bianche. È il momento delle presentazioni: "Sono io La Repubblica di Platone…Voglio presentarti Jonathan Swift, autore di quel malvagio libro politico, I viaggi di Gulliver! E quest'altro è Charles Darwin, e questo è Schopenhauer, e questo è Einstein, e questo al mio fianco è il signor Albert Schweitzer, un pensatore di gran cuore davvero! Qui ci siamo tutti Montag: Aristofane, il Mahatma Gandhi, Gautama Buddha, e Confucio, Thomas Love Peacok, Thomas Jefferson, Lincoln, se permetti. Siamo anche Matteo, Marco, Luca e Giovanni" dice il vecchio.
Montag sembra guardarlo un po' perplesso, "Impossibile" dice, non capendo come possa accadere una cosa simile. Io invece lo so, so anche che presto lo capirai anche tu Montag, perché la storia dell'incendiario so già come andrà a finire: io sono Fahrenheit 451 di Ray Bradbury.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010