Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
13ª edizione - (2010)

La Sposa bambina

Ci sono momenti della vita che una persona vorrebbe seppellire nella propria mente, fingendo che non siano mai accaduti. Io vorrei cancellare molti dei miei ricordi perché mi fecero soffrire allora e mi fanno soffrire ancora oggi.
Se un giorno io e te, lettore, avessimo modo di conoscerci e se, dopo una lunga conversazione, mi chiedessi qual è il ricordo che desidero cancellare, molto probabilmente ti direi il giorno del mio matrimonio. E sono sicura che, come molti che ho incontrato, penseresti che esagero o che addirittura sono una melodrammatica.
Sono altrettanto certa che cambieresti idea se ti dicessi che mi sono sposata all'età di dieci anni. Sì, è proprio così. Mi sposai a dieci anni con un uomo quattro volte più vecchio di me.
Ogni volta che ci penso sento un nodo alla gola e gli occhi cominciano a bruciarmi, ma le lacrime non scendono mai e sembrano non volerlo. A lungo ho tenuto e tengo ancora una ferita al cuore che nemmeno il tempo vuole rimarginare. Ed è impossibile per me descrivere, per quanto lo voglia, il dolore che attanaglia il mio cuore e che emerge nei momenti più impensati.
Ma ti supplico, permettimi di raccontarti la mia storia. Spero che mi concederai volentieri questo piccolo sfogo.
Non mi vergogno nel rivelarti che provengo da una famiglia di origini povere e che sono la quinta di sette fratelli. Da bambina non ero affatto come le mie coetanee: ero matura quasi quanto un'adulta, non giocavo con le bambole, ma sbrigavo le faccende domestiche e facevo da mamma ai miei fratellini. Non si poteva di certo definire la mia infanzia una delle più felici e lo sapevo, ma non mi lamentavo mai perché sapevo che sarebbe potuto andare peggio.
E infatti avvenne qualcosa che la rese assai peggiore di quello che era. Incredibile, no? Ah, il mio matrimonio… sognavo spesso di indossare l'abito bianco, ma mai avrei creduto che sarebbe accaduto così presto.
Quella sera stavo cercando di far addormentare il mio fratellino con una ninna-nanna. Oltre a noi due c'era in casa solo nostro padre che, come sempre, si comportava come se non esistessimo. Ma quella sera notai qualcosa di diverso in lui. Sorrideva come non aveva mai fatto in vita sua e si sfregava le mani, soddisfatto. Mentre rimuginavo sul suo insolito comportamento, qualcuno bussò alla porta di casa. Dovevano essere mia madre e i miei fratelli. Mi sbagliai. Quando mio padre andò ad aprire, vidi comparire sulla soglia della porta un uomo elegante dai capelli brizzolati. Di certo non era uno del quartiere perché sembrava un uomo benestante. Chissà cosa ci faceva in un posto come quello… Dopo aver salutato con freddezza mio padre, mi rivolse uno sguardo indecifrabile che mi fece rabbrividire. Poi entrò nell'altra unica stanza della casa, seguito da mio padre. Rimasi come impietrita nell'angolino in cui ero seduta, ma la curiosità verso quello strano uomo mi spinse a muovermi. Mi avvicinai di soppiatto alla porta della loro stanza e, attraverso un piccolo spiraglio, li spiai. Non so dirvi esattamente quanto rimasi a origliare la loro conversazione. Fatto sta che parlarono a lungo e a bassa voce impedendomi così di capire di cosa discutessero. Ma alla fine della conversazione l'uomo consegnò a mio padre una busta. La aprì, ne tirò fuori il contenuto e sorrise. Erano soldi e non credo di averne visti così tanti tutti in una volta.
Mio padre mi aveva venduta a quell'uomo, ma non lo scoprii fino al giorno seguente. Ancora oggi, però, mi chiedo quanto valessi agli occhi di mio padre, in termini monetari ovviamente.
La mattina seguente mi svegliai di soprassalto e trovai mia madre seduta accanto al mio letto. Mi fissava con lo sguardo perso nel vuoto ed era sconvolta. Non appena si accorse che ricambiavo il suo sguardo preoccupato, uscì dalla stanza e vi rientrò con in mano uno splendido abito bianco. Non capii. Non era sicuramente un regalo che mia madre poteva permettersi di farmi e forse nemmeno con i soldi nella busta del giorno precedente.
"Mettitelo…" disse con voce rauca e abbassò lo sguardo sul pavimento. Qualcosa non filava nel verso giusto. Era molto triste per essere una madre che stava regalando un bellissimo vestitino alla propria bambina.
"Con che cosa l'hai comprato? E poi, perché?" chiesi, anche se una parte di me avrebbe voluto indossare quell'abito senza fare tante storie.
Calò il silenzio nella stanza che fu in seguito rotto dal pianto di mia madre.
"Non fare tante domande. Mettitelo e basta" mi supplicò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
Obbedii. Non volevo rattristarla più di quanto fosse già. Vedendomi con quell'abito addosso, pianse più forte e mi abbracciò come se quello fosse un addio. Poi mi raccontò tutto, come se volesse liberarsi di un peso che portava sulle spalle da troppo tempo. Mi raccontò del mio marito quarantenne, di mio padre che mi aveva venduta senza scrupoli per il bene della famiglia e del mio matrimonio che si sarebbe svolto poche ore più tardi.
"È un uomo per bene ed è anche ricco. Vedrai che vivrai bene assieme a lui" disse mia madre, più a se stessa che a me.
Alcune ore dopo mi recai nel giardino della casa del mio futuro sposo. Le mie nozze si sarebbero svolte lì. Non nascondo che quel grande giardino mi piacque molto e così anche la mia nuova casa, ma avrei mille volte preferito vivere nella povertà piuttosto che sposare quell'uomo che aveva l'età di mio padre. Già, mio padre. Quel giorno lo vidi seduto su una panchina di quel meraviglioso giardino. Mi rivolse un sorrise maligno e sembrava volermi dire che quella era la cosa giusta da fare e che lui, al mio posto, avrebbe sicuramente sposato quell'uomo ricco. In quel momento provai per lui un odio che una bambina non dovrebbe provare per il proprio padre. Ma io non sono mai stata una bambina, o almeno non sono mai stata considerata tale. Sulla stessa panchina vidi i miei fratelli e, fui felice nel notarlo, provavano compassione per me. Erano tristi quanto lo ero io. Poi vidi anche il mio sposo in un bellissimo completo. Aveva sempre quello sguardo che ti faceva raggelare il sangue nelle vene. Prima di celebrare il mio matrimonio, mio padre mi passò accanto e mi sussurrò nell'orecchio queste parole: "Vedi di non rovinare tutto, altrimenti giuro che ti ammazzo". Le lacrime cominciarono a rigarmi le guance, ma piansi in silenzio. Avrei voluto scappare e mi chiedo perché non lo feci. Non era perché temessi le minacce di mio padre, ma perché non volevo far soffrire mia madre e i miei fratelli. Volevo assicurarmi che avessero un grande futuro davanti, nonostante questo significasse un grande sacrificio da parte mia e la rinuncia alla mia infanzia.
Così celebrai il mio matrimonio, anche se poteva sembrare più un funerale. Per quanto riguarda il mio sposo, egli non si rivelò ricco d'animo come lo era dal punto di vista finanziario. Subii molti maltrattamenti, alcuni anche gravi, ma non raccontai nulla di tutto ciò a mia madre. Non potevo farle questo: le volevo troppo bene.
Mio padre ci ha lasciati da poco: è passato a miglior vita. Dopo tutti questi anni non sono ancora riuscita a perdonarlo e credo che non lo farò mai, anche se lo vorrei… in fondo al cuore. Anche mio marito non c'è più e mi ha lasciato due figli che amo col tutto il mio cuore, anche se sono frutto di un orrendo matrimonio. Al contrario dei miei genitori, li difenderò sempre da ogni pericolo. Sempre.


»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni

Copyright © 1999 - Comitato per Sofia - Tutti i diritti riservati.
Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010