Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

Leggere e scrivere i saggi

Il mio disagio è un Socrate che mi guarda e poi muore. In quel suo sguardo c'è Tutto e Niente: in quello sguardo c'è ogni uomo, e fra gli altri uomini ci sono anch'io, che sono tutto e niente, che sono il mio centro e la mia vanità. Tutto e niente come ogni altro uomo, ma diversa da ogni altro uomo. Quella morte sancisce in modo indiscutibile il valore di quell'ultimo sguardo: quella morte È il valore di quell'ultimo sguardo. Con la morte di chi lo ha lanciato, quello sguardo non ha più proprietario che lo possa capire, ma dipende dagli occhi del destinatario (forse nessuno, forse ognuno, me senz'altro) che non cada a terra appesantito dal falso, che non si disperda al soffio della superficialità, che non sia intrappolato nella gabbia della tradizione. E questo tu lo sapevi, Socrate: sapevi che io avrei abboccato all'esca che tu hai lanciato morendo, e che solo morendo potevi lanciare. Ho voluto accogliere quello sguardo, anzi ho cercato di non perderne nulla, e invece lui ha preso me. Maledetto Socrate, lo sapevi. Lo sapevi!
Così, a causa di uno sguardo senza padrone, che mi appartiene solo se accetto di appartenere a lui, sono a disagio. E scrivo, come altre volte mi è capitato in casi simili. E, soprattutto, scrivo un saggio, o almeno è quello che credo, quello che sto tentando di fare. Perché? Chi scrive è a disagio, ha detto in modo lapidario qualcuno. Gli credo, almeno per esperienza personale. E chi scrive un saggio?
Scrivere, innanzi tutto, è rendere concreto il proprio disagio: le parole scritte non sono fugaci sensazioni, esse SONO LI', le vedo, le tocco. Dai pensieri posso scappare (il fatto che poi essi ritornino è un altro problema), dalle parole scritte sono assalita: non vinta, forse, ma lo scontro non lo posso evitare. O meglio, c'è un confronto: ed è questo, credo, che chi scrive cerca, cioè confrontarsi con se stesso, innanzi tutto, per scavare più a fondo dentro di sé, sperando di arrivare al fondo prima o poi (illuso!).
Scrivere però non è solo confrontarsi, è fare ordine: è difficilissimo trasformare intuizioni, pensieri, emozioni in parole. Però, quando ci si riesce, le parole sono quelle, sono vive, sono te stesso. TROVARE LE PAROLE è uscire all'aperto, dare alla luce un pezzo di sé: e alla luce tutto è più chiaro.
Scrivere è tutto ciò: un aiuto a capire meglio il proprio disagio.
Scrivere un saggio, invece, non è solo questo, implica qualcosa di più, cioè il problema della comunicazione con gli altri. Chi scrive può anche farlo solo per se stesso (può essere un diario, per esempio), ma chi scrive un saggio viene letto (e viene letto proprio l'autore, se è vero che le parole sono pensieri), e, poiché questo lo sa, chi scrive un saggio VUOLE essere letto. Perché? Perché capisce che per avere più chiarezza ancora deve confrontarsi anche con gli altri, non solo con se stesso, e anche perché comunicare le proprie idee significa far notare agli altri la propria presenza, cioè non vergognarsi di esistere. E scrivere è un metodo sicuro per comunicare. Parlando di persona con gli altri si può incorrere in ciò che è accaduto a Socrate, cioè nello SCANDALO (Proprio questo mio modo di comportarmi attira l'odio verso di me), e alcuni, come me, possono non essere sempre in grado di sostenere una situazione simile, o almeno credere di non poterlo fare.
Scrivendo invece rendo partecipi i lettori delle mie idee, senza però essere io stessa partecipe direttamente: e a questo punto si rida pure di me, se si vuole, perché io non sono lì presente a essere umiliata se non so cosa rispondere. Ci saranno alcuni invece che capiranno ciò che ho scritto, e perché lo ho scritto: forse hanno anche loro un certo disagio, e leggere ciò che io ho scritto può servire. E sarà ancora più utile parlarne di persona, se vorranno contattarmi: perché allora non ci sarà più il timore di essere considerati scandalosi, poiché vorranno capire e essere capiti, e chi vuole queste cose non grida mai allo scandalo.
Si vede quindi che il saggio non è mai qualcosa a senso unico: ci vuole un'altra persona che chiuda il ciclo. E dunque è importante anche leggere. Leggo un saggio per vedere se trovo parole che si adeguino ai miei pensieri, se non sono stata capace di trovarle da sola. Leggo per confrontare le mie parole con quelle altrui (che non è altro che confrontare le idee). Leggo per scoprire quante idee diverse ci sono e apprezzare di più le mie, perché sono le mie fra quelle degli altri. Leggo per scoprire a chi posso parlare senza essere presa per pazza, e così chiudere il circolo di chi per primo ha scritto.
Saggio quindi, seguendo l'etimologia, come soppesare, dire la propria; però questa presa di posizione è legata al concetto di conoscenza, quindi all'etimologia di saggio come colui che sa. Nasce tutto da lì, dal disagio di Socrate: farsi domande per definire meglio se stessi, e poi porle agli altri proprio per cercare di distinguersi da essi. Scavare per conoscere se stessi (saggio quindi in senso filosofico, non enciclopedico) e mostrarsi agli altri come se stessi, almeno sulla carta.
Scrivo perché siano le mie PAROLE a riflettere l'immagine di me che ho scoperto nello sguardo di Socrate, poiché i miei OCCHI ancora se ne vergognano.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010