Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
14ª edizione - (2011)

Lettura inglese

Le brutte giornate mettono tristezza: ti strappano via ogni vocazione allegra, lasciandoti solo con una stanchezza malinconica proprio in mezzo al petto, che si aggira tra le costole pronta ad aggredirti per qualunque scemenza: mi è successo di essere sul punto di piangere dopo aver visto un bambino che cadeva per strada e sua madre che lo rimproverava davanti a tutti. Sono un po’ complessato, quando mi impegno.
Anche a Londra era una brutta giornata, mancavano pochi minuti alle 17.00, orario di chiusura degli uffici, e il poco lavoro rimasto da fare si trascinava stancamente tra sbuffi di impazienza e continue occhiate all’orologio.
A Harrow on the Hill, sede del magazzino londinese della Luxottica, il clima non era diverso: Ricky stava insultando il proprio computer che si era spento al momento sbagliato rendendo vana almeno l’ultima mezz’ora di lavoro; Anna cercava di rispondere al maggior numero possibile di mail, disposta a tutto pur di non portarsi il lavoro a casa; Rudge finiva di inserire gli ultimi codici di occhiali al computer in modo da poter iniziare il nuovo catalogo l’indomani.
A un certo punto si udì ridere. In mezzo a tutta quella stanchezza malinconica, una risata era fuori luogo almeno quanto un pinguino in un’aula universitaria.
Tutti si voltarono verso la fonte: il nuovo ragazzo italiano si accorse di essere osservato e soffocò a stento il molesto suono, salvo poi ricominciare a ridere dopo pochi secondi in maniera ancora più sfacciata di prima. Certo che gli Italiani sono strani, si dissero, e nessuno notò il libro che il ragazzo teneva tra le mani.
Il pazzo che ride da solo ovviamente sono io.
Voi non potete capire il sollievo che avevo provato, qualche giorno prima, nel trovare una sezione di letteratura straniera tra gli scaffali di una libreria londinese.
Leggere nomi come “Mondadori” o “Feltrinelli” sulle copertine dei libri che danzavano proprio lì, davanti ai miei occhi, mi fece sentire parte di una grande famiglia creatasi fra me e gli Italian authors esposti; ero l’Eletto che poteva aprirli e decifrarli, il solo che, in mezzo a tutti quegli inglesi, avrebbe capito il messaggio che contenevano; quei libri stavano aspettando me!
Per festeggiare il momento magico ne comprai uno a caso, cioè, non proprio a caso, era quello che costava di meno, senza immaginare cosa sarebbe diventato per me quel libro. Il paragone più azzeccato che mi viene in mente è quello di un potenziale drogato che va a comprare la sua prima dose.
Per tanti la lettura è un passatempo: quando si finisce di lavorare, o studiare, e ci si trova davanti del tempo libero, un sacco di gente dice: - Ora non c’è niente di meglio di un buon libro.
Io sono un altro tipo di lettore: anche quando di tempo non ce n’è affatto riesco sempre a inventarmi degli spazietti solo per me e per il libro del momento per evadere dalla realtà; trovo sempre un modo che mi permetta di procedere, anche solo per qualche pagina, verso l’ultimo capitolo, per capire solo un pizzico di trama in più, per aggiungere solo qualche pennellata al quadro che si sta formando nella mia mente.
Più è bello il libro, più tempo libero riesco a trovare.
Il libro che comprai in quella sconosciuta libreria londinese era bellissimo. Per darvi un’idea: sono stato a Londra, da solo, senza genitori, per due settimane e invece di godermi ogni singolo istante di quella libertà ho riletto ben tre volte uno stupido libro. In italiano oltretutto.
Il mio buon amico Marcello, quando mi ha costretto a raccontargli tutto ciò che avevo fatto, ha riassunto tutto il suo sconcerto in una sola frase: - Dimmi che stai scherzando…
No, Marcello, non sto scherzando , quando non dovevo lavorare ho davvero passato la maggior parte del tempo seduto in casa a leggere un libro.
Perché non mi è mai capitato di rimanere intrappolato in una lettura come in quei momenti inglesi;
mai come in quel periodo avevo fame di scoprire cosa ci fosse nella pagina successiva, in quella dopo e in quella dopo ancora. Mi ero identificato nel protagonista così profondamente da arrivare al punto di confrontare ogni mio gesto con quelli dell’amico cartaceo che mi aveva colpito con tale violenza.
Quante volte vi è capitato di essere in simbiosi praticamente totale col personaggio di un libro?
Ne ero quasi spaventato; tutti i Grandi Protagonisti hanno sempre qualcosa che impedisce di capirli e giustificarli in ogni loro azione: per esempio Frodo Baggins, mentre cerca di salvare il mondo dal Male, si sente libero di trattare tutti quelli che lo aiutano come zerbini; oppure Ulisse, che da duemila anni si spera che riesca a riabbracciare la moglie e il figlio, dà sempre l’idea di essere, inevitabilmente, un po’ stronzo. Ero arrivato al punto di ammirare un personaggio totalmente irreale e idealizzato: a ripensarci ora a mente lucida mi vedo come uno di quelli che si lanciano sotto un treno con una copia di Anna Karenina nella borsa.
Continuai a rileggerlo ancora e ancora, avido di conoscere tutti i particolari che l’impeto febbrile della prima lettura mi aveva impedito di notare, finché, quasi senza accorgermene, mi ritrovai sull’aereo che mi avrebbe riportato in Italia.
In aereo non si ha mai niente da fare oltre a leggere o dormire. Scelsi la prima opzione e cominciai a frugare nel bagaglio a mano alla ricerca del mio libro, del mio tesoro, deciso ad affrontarlo dall’inizio per la quarta volta; non lo trovai e, per esclusione, iniziai a ronfare per tutto il viaggio convinto di averlo messo in valigia.
Una volta a casa, però, mi accorsi che quella specie di brama malsana che mi spingeva a fagocitare una pagina dopo l’altra, inspiegabilmente, era scomparsa; penso che l’eccezionale fascino che per settimane quel libro aveva esercitato su di me fosse dovuto al fatto di essere italiano: visto che siamo in tema di patriottismo, avevo l’impressione, mentre camminavo su quel suolo straniero dove facevo fatica a capire la gente che parlava, di portarmi un piccolo pezzo d’Italia nella mia borsa a tracolla, di avere un compagno da capire senza dovermi sforzare e senza dovergli chiedere continuamente speak slowly please. A pensarci bene non è un caso che, quando si va all’estero, i primi con cui si fa amicizia siano a loro volta stranieri.
Comunque, il libro non era neanche nella valigia: sarà abbandonato da qualche parte sul Tube, oppure starà galleggiando pigro sul Tamigi, o magari è stato notato sui marciapiedi inglesi e, semplicemente, gettato nella spazzatura.
A volte mi viene ancora l’istinto di ricomprarlo, ma sono fermamente convinto che rimarrà soltanto una brutta copia, perché il vero libro, quello che mi aveva così affascinato, fortunatamente rimarrà per sempre in quel contesto inglese che lo rendeva così unico e così speciale.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010