Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
15ª edizione - (2012)

Lettere dall’inferno

Correvamo veloci lungo quella maledetta strada, ansiosi di annunciare al mondo il nostro amore.
Una curva, urla, luci abbaglianti. Poi buio e silenzio.
Quando mi sono svegliato in quel freddo letto d’ospedale, mi hanno detto che non avrei più incontrato i tuoi occhi e l’unica cosa cui riuscivo a pensare era che avrei dovuto andarmene io al posto tuo. Perché tu piangevi per ogni stella cadente ed eri perfetta per la vita.
«Se io morissi, saremmo di nuovo insieme poiché non posso semplicemente dimenticarti e andare avanti. Se tu ti scordassi di me? Di noi?»
Ma non c’è niente che io possa fare, se non vagare a notte fonda per queste strade buie, rimuginando su ciò che è accaduto.
Mi dirigo nel parchetto dietro casa tua. Ti ricordi quanti momenti abbiamo passato lì insieme, vero? Seduti su una panchina come in un dipinto di Norman Rockwell.
Mentre lascio che la mia mente vaghi liberamente, un uomo si siede di fianco a me. Mi domando cosa spinga qualcuno ad andare in giro a quest’ora, ma ripensandoci non m’importa molto.
Con la coda dell’occhio lo osservo accendersi una sigaretta, e noto che da tempo ormai la giovinezza l’ha abbandonato.
“Potresti riaverla” dice in un rantolo; “Prego?” domando io, pur avendo capito benissimo. “Potresti riaverla” ripete “se solo tu lo volessi”. Ripeto le sue parole nella mia mente, ma sono incapace di trovarvi un senso.
Non so chi sia quest’uomo, ma m’interessa ciò che dice. Potrebbe essere la peggior cosa che mi sia mai capitata, ma parla di te, e io sono disperato.
“Chi sei?” gli domando fingendo disinteresse, “Oh, penso che indovinerai da solo il mio nome”, mi risponde senza troppi complimenti.
Non sono sorpreso o impaurito, non sono più niente da quando tu non ci sei. “Sei disposto a fare ciò che ti dirò per riaverla?” mi chiede con la sua voce roca.
Non ho bisogno di pensarci molto. Che cosa ho da perdere ormai? Cosa mi trattiene ancora qui? Nulla. “Sì” sussurro, temendo un secondo dopo di averlo detto troppo piano perché mi abbia potuto sentire. “Ho bisogno di anime nuove, che mi possano dare nuovi piaceri, nuovi dolori, nuove sensazioni, nuovi ricordi”, mi spiega, “e tu puoi procurarmele. Il rimorso ti ucciderà lentamente e le tue lenzuola saranno sporche di un sangue che non andrà mai via, ma la riavrai indietro. Devono essere mille, mille anime di uomini malvagi. A te la libera scelta”.
Se sono arrivato a questo punto, non vedo perché tirarsi indietro proprio ora. Non ho nessuno con cui giustificarmi, nulla per cui chiedere scusa. Io ti rivoglio solo con me, e questo mi basta.
“Va bene” rispondo con tono risoluto, “Hai un mese” mi dice allora lui, alzandosi piano e cominciando a camminare per strada, fino a che non viene inghiottito dal buio e io non posso più vederlo.
Rimango così per un altro po’, mentre le sue parole e le mie si mischiano nella testa. Un mese, mille anime, tanto sangue, e poi saremo nuovamente insieme. Ho deciso. Ma tu non devi sapere cosa farò per riaverti, perché non me lo permetteresti. Non lasceresti che io sia dannato. Ma solo così rideremo ancora, balleremo ancora, piangeremo ancora, ci ameremo ancora. Saremo amanti nella distruzione, il nostro amore smetterà di essere un fantasma del passato nella mia testa.
È un mese ormai che le mie mani sono sporche di rosso, un mese che sono caduto fuori dalla grazia di dio. Mille uomini sembrano un numero irraggiungibile, ma non avete idea di quante persone orribili esistano a questo mondo. Novecentonovantanove, ecco la quota raggiunta stasera nel retro di questo motel. Ancora un’anima e farò cadere il pugnale insanguinato e m’insaponerò le mani tinte di rosso.
Sfinito, mi stendo sul letto e le grida degli uomini che ho ucciso rimbombano nella mia testa e mi fanno esplodere il cervello. Ma tengo duro, perché tutto questo è necessario per il gran finale.
Mi faccio una doccia, sperando di cancellare le tracce di morte che ormai da un mese mi porto dietro. Quando esco dal bagno, nella penombra di questa misera stanza in affitto, vedo una figura.
Non c’è bisogno che parli, so già di chi si tratta. Solo non capisco perché sia già qui dato che non ho ancora raggiunto il fatidico mille.
“Sei pronto per andare?” mi chiede in tono gentile, come se per un attimo avesse pietà di me.
Non capisco cosa intenda per andare. Mi manca ancora un uomo, e poi lui dovrebbe riportarla indietro, mentre io devo rimanere qui, sulla terra.
Un pensiero fulminante mi attraversa la mente. Sono io il millesimo uomo. Uccidendo tutte quelle persone malvagie, sono diventato io il più malvagio e spietato di tutti, quello che più degli altri si merita di morire. Ed ecco perché è venuto a prendermi: manco solo io all’appello.
No, non può finire così.
Disperato, lo guardo fisso, mentre lui rimane impassibile. A un certo punto comincia a ridere, dapprima piano, come un risolino fatto di sottecchi, fino a scoppiare in una risata fragorosa. Il mio dolore, il nostro dolore non hanno senso per lui.
Si alza e mi raggiunge. Mi prende la mano e vi lascia il mio compagno di avventure da un mese a questa parte. Rimango solo io, ma se mi uccido, non ti rivedrò mai più e tutti i mie sforzi saranno stati vani.
Rimango impietrito fino a quando ricordo cosa pensai il giorno che mi dissero che eri morta: dovevo morire io. Senza rimpianti e senza ripensamenti, sotto il suo sguardo, affondo l’arma nel petto, all’altezza del cuore.
Cado. Sorrido, perché lì sdraiato, in quel lago di sangue, mi sembra di rincontrare i tuoi occhi.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010