Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
15ª edizione - (2012)

Fiabeschi Archetipi Muliebri

Leggendo libri, poesie e fumetti, visionando film e spettacoli teatrali, ci si accorge che il personaggio della donna si divide essenzialmente in due categorie, con ben poche eccezioni. Da una parte si trova la fanciulla fragile e delicata, nobile d’animo, virtuosa, malinconica e sognatrice, in passiva attesa del principe azzurro che la trarrà in salvo dalle grinfie della matrigna cattiva; dall’altra c’è la femmina forte, sensuale, tentatrice, pronta a portare l’uomo alla perdizione e alla follia, per poi abbandonarlo umiliato e, spesso, derubato di ogni suo avere. La bionda e la mora, la principessa e la gitana, Raperonzolo ed Esmeralda, la donna angelica e la femme fatale sono i due prodotti di una letteratura maschile, spesso maschilista e, tutto sommato, poco fantasiosa. Sono due figure che, nell’epoca moderna, con l’avvento delle donne in ogni campo dell’arte e della vita pubblica, si sono rivelate per quello che sono: stereotipi. Tuttavia, per secoli la cultura ufficiale ha guardato a questi modelli come veri e propri archetipi sui quali costruire ogni singolo personaggio. Nel breve racconto seguente di tre pagine, ho deciso di parlare in modo leggero di questi due personaggi emblematici e universali, esasperando le loro caratteristiche e i loro tratti fondamentali in una ambientazione mitica, al di fuori del tempo e dello spazio.
Buona lettura.

Era una notte buia e tempestosa quando il Principe aprì la porta della locanda. Fuori imperversava una bufera terribile, come non se ne vedevano da anni e lui era esausto, eppure di ottimo umore. Dopo una lunga, estenuante cavalcata era finalmente riuscito a seminare la sua scorta e ora lo attendevano terre selvagge da esplorare, cavalieri da sconfiggere, dragoni da affettare e ogni genere di avventura. Il tutto dopo un buon sonno ristoratore, ovviamente.
Povero Principe. Il nostro eroe non poteva certo immaginare che, prima ancora di raggiungere il porticato dell’ostello, due paia di occhi si erano posati su di lui e lo scrutavano attraverso la pioggia. Né poteva prevedere che, varcando quella semplice soglia di legno, egli stava per tirarsi addosso la peggiore delle disgrazie: l’amore di due sorelle.
Il viaggiatore non fece nemmeno in tempo a sfiorare il campanello della reception, che una figura si materializzò al di là del bancone. Era un uomo di età indefinita, magro, capelli mossi lunghi fino alle spalle, un sorriso serafico sul volto, ricoperto di sangue dalla testa ai piedi. «Scusi se l’ho fatta attendere, signore» si giustificò lo strano personaggio, ondeggiando nell’aria una mannaia di trenta centimetri «Stavo preparando il maiale per la cena».
«No… Ehm… Si figuri. Anzi, è stato piuttosto veloce. Stavo cercando un posto…»
«Per la notte, certo. Non riceviamo spesso visite in queste lande desolate, tuttavia siamo prontissimi ad accoglierla nei migliori dei modi.» si grattò il mento appuntito e perfettamente rasato col coltellaccio «Melanya, la mia nipote minore si occuperà di preparare la stanza, nel frattempo può recarsi nelle stalle per verificare che Selvaggia, la maggiore, sistemi in modo adeguato la sua splendida cavalcatura. Ora, se vuole scusarmi, torno ai miei doveri.» detto questo si profuse in un inchino e tornò nel retrobottega, a squartare suini.
Il Principe rimase un tantino scosso dallo strano personaggio, non sapeva bene come comportarsi. Infine prese la risoluzione di considerare la bizzarria e il pragmatismo del locandiere come virtù ineccepibili e seguì il suo consiglio di visitare le stalle. Il suo destriero era uno stallone albino, della razza più pregiata e lui vi era infinitamente affezionato.
Non appena aprì i battenti della rimessa, il nostro eroe si ritrovò davanti la donna più bella che avesse mai visto. Capelli neri come il legno bruciato scendevano fluenti a incorniciare un volto perfetto, traboccante di sensualità. La pelle era scura, così come gli occhi, profondi come pozzi. La femmina iniziò a girargli intorno senza una parola, ancheggiando sinuosamente, poi se ne tornò al suo lavoro sbuffando «Tsk! Dopo settimane senza che nessuno venisse a farci visita, speravo, perlomeno, in un bel macho latino, invece guarda che razza di cicisbeo mi trovo davanti!»
Lui sbatté le palpebre un paio di volte, ma non si lasciò intimorire e si fece avanti. Il pregiato equino stava placido nel suo recinto, mangiucchiando il fieno che Selvaggia gli stava servendo nella mangiatoia, utilizzando un forcone enorme. La ragazza si scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Era lievemente sudata e il petto si muoveva appena su e giù per lo sforzo. «Lascia che ti aiuti.» Si avvicinò per prenderle il forcone dalle mani.
L’attrezzo agricolo roteò nell’aria come se, tutto d’un tratto, si fosse animato di vita propria. Descrisse due circonferenze rapidissime, per poi scattare verso l’alto, mirando dritto dritto all’inguine del Principe. Il nostro eroe agì di istinto, balzando all’indietro con una piroetta magistrale e portando al sicuro le sue reali grazie. Una volta atterrato in una posizione felina, guardò verso il basso e lanciò un gridolino. La tela delle sue brache era stata strappata via proprio al centro. Un istante di esitazione, qualche millimetro di differenza, e la famiglia regnante avrebbe perso per sempre la speranza di un nuovo erede al trono.
«Però… Non sei poi il damerino che pensavo.» la bruna fece fare ancora una giravolta alla sua arma e lo squadrò dalla testa ai piedi, in un modo totalmente diverso «E sei anche gentile, tutto sommato. Bene, mi hai convinta.»
«Riguardo a cosa?»
«A fare all’amore, mi pare ovvio.» lanciò il forcone come una lancia, che andò a conficcarsi in una balla di fieno, poi si diresse verso l’uscita, senza guardarlo mentre gli passava accanto «Io vado a prepararmi, ci vediamo più tardi nella tua stanza.»
Rimase solo, in compagnia della sua bocca spalancata. Selvaggia era una donna stupenda, ben inteso, ma l’idea di avere una qualche contatto con lei lo terrorizzava. Tornò nell’edificio principale grattandosi la testa per la frustrazione e l’imbarazzo. Quella notte sarebbe andato a letto il prima possibile e avrebbe chiuso la porta della sua camera a chiave, impedendo a quella maledetta Lilith di entrare. Sì, questo avrebbe fatto…
«Oh, buona sera messere, che piacere conoscerla!»
Si voltò di scatto. Seduta su una poltrona, nella sala comune all’ingresso, stava una creatura eterea, una ninfa al di là della bellezza umana. Portava un raffinatissimo abito color pervinca, piuttosto scollato, e lunghissime trecce bionde che ricadevano sul davanti attorcigliandosi nel suo grembo. Sembrava una principessa uscita da una favola, circondata da un’aura di irrealtà e mistero. «Il mio nome è Melanya» disse «L’ho vista arrivare dalla finestra. Ho pensato che, magari, prima che la luna diventi troppo bassa, sarebbe piacevole leggere qualche poesia insieme.» sventolò un libricino dalla copertina turchese «Poi domani mattina chissà, potremmo andare a fare una lunga passeggiata nei prati qua attorno, sotto il sole splendente, arrivare fino al ciliegio in cima alla collina e qui fermarci a riposare sotto la sua ombra, lei canterebbe per me una dolce ballata, mentre io intreccio una ghirlanda di fiori, poi torneremmo al tramonto e, col favore delle ombre, la sua mano potrebbe sfiorare la mia e entrambi diventeremmo rossi di imbarazzo, senza però poterlo vedere nella luce del tramonto, e la notte la potremmo passare pensando l’uno all’altra, ridendo di sollievo, il giorno dopo, leggendo negli occhi dell’altro la medesima insonnia e gli stessi pensieri, e magari lei potrebbe osare prendermi la mano e, questa volta, io non mi tirerei indietro e poi, chi può dirlo, magari un giorno potremmo scambiarci un casto bacio, poi un bacio di passione, poi lei potrebbe portarmi la testa di un mostro come pegno di eterno amore, chiedere la mia mano a mio zio e allora ci sposeremmo, faremmo sesso, avremmo tanti bambini e vivremmo per sempre felici e contenti. Che ne dice?»
Il giovane rimase in silenzio per un po’ ascoltando il ronzio degli ingranaggi inceppati racchiusi all’interno della sua scatola cranica. Impiegò parecchio a trovare la cosa giusta da dire: «Devo andare nella mia stanza. Addio.» E fuggì al piano superiore alla velocità della luce.
Trovò subito la sua cameretta, l’ultima del corridoio a sinistra, e vi si precipitò dentro. Dopo aver girato la chiave nella serratura, finalmente, esalò un lunghissimo sospiro di sollievo. Era solo. Lasciò cadere pastrano e stivali inzaccherati sul pavimento. Il letto era sfatto, ma non se ne curò. Si diresse faticosamente verso il suo giaciglio e vi si sedette, sentendosi spossato. In che razza di posto era finito? Ormai non importava più, il materasso era comodissimo e lui aveva tutte le intenzioni di passare una notte di sonno. Se Selvaggia fosse venuta a bussare, più tardi, avrebbe finto di dormire, non avrebbe aperto nemmeno per la cena e, il mattino seguente, se ne sarebbe andato con le prime luci dell’alba.
«Mi hai fatto aspettare, lo sai?»
Spalancò gli occhi. L’ammasso informe di lenzuola al suo fianco si dischiuse come un bozzolo, da cui fuoriuscì la testa bruna della locandiera. Lui fece per alzarsi, tuttavia un paio di braccia lo avvolsero nelle loro spire prima che potesse muoversi e lo trascinarono giù.
«I-Io non posso… Non mi sono lavato i denti! L’igiene orale…»
«Non fare il timido.»
«È pronta la cena!» La voce di Melanya arrivò leggera come una melodia suonata al clavicembalo dal corridoio.
«Perfetto! Io… Non voglio che tua sorella ci scopra. Nasconditi!» e le assestò un calcio tutt’altro che cavalleresco, che la fece rotolare giù dal materasso, aggrovigliata nelle coperte.
Corse ad aprire la porta, ancora scarmigliato. Una mano nivea si infilò nella stanza, lo afferrò per il bavero e lo trascinò fuori col guizzo di un serpente. «Ho cucinato per te. Posso darti del tu, vero?» cinguettò, tirandolo per il colletto in giro per la magione «Mio zio aveva preparato del banalissimo arrosto di maiale, però tu mi sembri un uomo dai gusti più elevati, quindi ho deciso di mettermi all’opera per sfornare qualcosa di più consono». Il ragazzo venne trasportato nella sala da pranzo e messo a sedere su uno scranno a un estremo della tavolata. Al lato opposto prese posto Melanya, ondeggiando una capigliatura complicata, alta come una torre di avorio. Fra i due commensali si allargava una distesa di cibi grondanti di salse, decorazioni floreali e opulenza. Il suo stomaco gorgogliò di piacere, fino a quel momento non si era accorto di avere così tanta fame. Sì, forse sarebbe riuscito a sostenere una conversazione con quella maniaca dagli occhi a forma di cuore, se c’erano tutti quei piatti a tenergli alto il morale.
«È tutto fantastico.» disse lui, sinceramente colpito. Afferrò con due dita il guscio di un’ostrica da un vassoio gigantesco. L’aspetto era squisito. Depositò il piccolo muscolo sulla lingua e si apprestò ad assaporarne la soffice carne. Dovette coprirsi la bocca con una mano per non vomitare. Il mollusco era talmente pieno di sale da scricchiolare sotto i denti a ogni morso.
«C’è qualcosa che non va?» la giovane si avvicinò preoccupata «le ostriche non sono di tuo gradimento? Prova la crema di tuberi allora.»
Non era ancora riuscito a liberarsi del boccone disgustosamente salmastro, che un cucchiaio di zuppa rovente gli venne infilato a forza tra le fauci. Cercò di divincolarsi e andarsene, la lingua in fiamme, ma altri bocconi vennero cacciati fra le sue mandibole contro la sua volontà. L’aragosta sapeva di marcio, l’insalatina di cedro era talmente acetosa da fargli rizzare i peli sulla nuca, il roast beef era crudo e sanguinolento, il budino era talmente dolce che temette gli si sarebbero cariati i denti seduta stante, il vino sapeva di tappo… «Devo andare in bagno!» Riuscì finalmente a bofonchiare, deglutendo un pezzo di pane muffo praticamente senza masticarlo. Melanya cercò di tenerlo inchiodato alla sedia, ma lui era più forte. Si alzò e scappò nuovamente al piano di sopra.
Appena serratosi nella toilette, il poveretto si accorse che c’era qualcosa di strano. La vasca era già pronta, traboccante schiuma e acqua bollente e un qualcosa di sospetto e indefinito galleggiava nell’aria, come una presenza… o forse un profumo, noce moscata e cannella…
«Che splendida idea! Facciamo il bagno assieme!.» disse la voce incorporea di Selvaggia, mentre le sue membra del colore del cioccolato al latte emergevano dai vapori del locale.
Nella fretta della sua fuga rocambolesca per il corridoio, il giovane non si accorse in tempo di Melanya e del mastodontico strumento musicale che stava trascinando sul pavimento di legno e lo colpì in pieno. La donzella lo prese per un braccio e lo aiutò a rialzarsi da terra. Si era cambiata nuovamente vestito, ora ne indossava uno tutto pizzi, merletti e tulle, che la faceva assomigliare a una gigantesca meringa «Oh, messere, ha già finito di occuparsi del suo corpo? Stavo portando la mia arpa nella sua stanza per allietare i suoi sogni con la mia musica. So destreggiarmi anche con il sitar, l’ottavino, la viola da gamba, l’octobass, il dulcimer, la tromba marina, il fagotto, il corno svizzero. Potrei suonare per te fino all’alba e anche oltre…»
«NO!»
Si catapultò oltre la porta più vicina e la sbarrò con furia. Lo stanzino era piccolo, polveroso, ingombro di libri… Qualcuno lo avvinghiò da dietro, dita calde e morbide iniziarono a investigare il suo petto come ragni «Le biblioteche sono luoghi talmente erotici… Adoro gli uomini di cultura.»
Mentre volava a testa bassa in direzione della sua stanza, Melanya gli arrivò in contro con le lacrime agli occhi, frusciando nelle sue nuove stoffe turchesi come vento tra le fronde «Ho appena trovato questo povero colombo ferito. Aiutiamolo! Lo guariremo insieme con il nostro amore, coccolandolo come se fosse nostro figlio…» Non rallentò nemmeno, la scostò con una spallata e si barricò nei suoi appartamenti.
Ancora col fiatone, ispezionò l’ambiente in lungo e in largo, controllando addirittura sotto al letto e nel cestino della spazzatura. Delle due eterozigotissime sorelle, opposte come lo yin e lo yang, non vi era alcuna traccia. Crollò sul letto e chiuse gli occhi. Ce l’aveva fatta, era salvo.
Toc-toc. Spalancò immediatamente le palpebre a quel rumore molesto. In silenzio sperò, pregò che si trattasse solo della sua immaginazione, di uno scherzo della sua mente già per metà sprofondata tra le dolci braccia di Morfeo. Toc-toc. Niente da fare. Il suono era reale e proveniva dalla finestra. C’era qualcuno là fuori. Toc-toc. Ora basta, era giunto il momento di farla finita. Si alzò di scatto e si diresse a passo deciso verso il caminetto. Afferrò un lungo ferro acuminato, lo soppesò nella mano, però lo ridepose quasi subito, preferendo un grosso mantice di legno. Era pronto a difendersi dalle sue aggreditrici, ma non voleva certo rischiare di compiere un omicidio. Toc-toc. Si diresse verso la finestra in punta di piedi, un passo alla volta. Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc.
«Buona sera. Come si sta trovando nella nostra umile dimora?»
Balzò all’indietro. Il locandiere, zio delle due fanciulle, penzolava a testa in giù appeso a una grondaia, i lunghi capelli castani raccolti in un codino sopra la nuca, sospeso nel vuoto «Finalmente la bufera si è placata e ho deciso di approfittarne per fare qualche lavoretto.» spiegò, entrando nella stanza con un’abile capriola «Allora, le mie nipoti la stanno trattando con riguardo?»
BOOOM. Il Principe si coprì istintivamente il volto con le braccia. La porta della camera era esplosa con un boato infernale e dalle polveri sospese nell’aria e dalle macerie emerse Selvaggia, le guance sporche di fuliggine «Scusaci zio, abbiamo dovuto prendere in prestito un paio dei tuoi candelotti di dinamite.» lanciò uno sguardo di fuoco in direzione del nostro eroe, che per un attimo credé di esserne abbrustolito «Allora, verme, hai finito di scappare? Mostra di essere un uomo e prendi la tua decisione. Chi scegli?»
«Coff-coff! Già, messere, chi scegli?» Le fece eco Melanya, tossicchiando e faticando per farsi strada fra i detriti «Accetterò ogni tua scelta, tuttavia vorrei informarti che se dovessi optare per mia sorella, io mi toglierei la vita.»
Il ragazzo iniziò a sudare freddo. Guardò a destra, a sinistra, in alto, in basso… Non c’era nessuna via di scampo. Era spacciato. A meno che…
«Stiamo aspettando.»
Afferrò il locandiere, rimasto in disparte, lo attirò a sé e lo baciò con passione. Lui, dapprima, cerco di opporre una certa resistenza, poi si abbandonò mollemente al suo abbraccio.
Le due sorelle spalancarono gli occhi, ma poi scoppiarono a ridere. Si abbracciarono e promisero che mai più avrebbero litigato per un uomo. Il mattino dopo, il Principe e il suo amato partirono in cerca di mille avventure, mentre Selvaggia e Melanya rimasero a gestire la solitaria locanda. E tutti vissero felici e contenti.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010