Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
15ª edizione - (2012)

Il profumo è il fratello del respiro - Patrick Suskind

Il sole di Nizza aveva dipinto di luce la camera da letto di François, quella mattina.
La stanza era immersa in un pacifico silenzio, interrotto solo dal respiro regolare del ragazzo.
Un intenso odore di biscotti appena lievitati si era diffuso per tutta la stanza e sembrava pervadere ogni oggetto, dalle lenzuola ai libri sul comodino, dalle tende della finestra alla moquette del pavimento.
L’aria profumata si insinuò nelle narici di François, che si destò tutto d’un tratto. Aprì gli occhi, ancora appannati dal sonno, e subito dopo li risocchiuse a causa dell’irruenza della luce mattutina.
Finalmente si svegliò del tutto, si guardò attorno e realizzò di trovarsi nella casa di sua zia Agnés, a Nizza. Vi era arrivato ieri notte da Parigi e avrebbe dovuto alloggiarvi per pochi giorni, giusto il tempo per concludere un affare ad Antibes, lì vicino, con una piccola casa di profumieri artigianali.
Si alzò per andare ad aprire la finestra: l’intenso odore biscottato stava iniziando a dargli una leggere nausea; compì a fatica l’intero movimento, sentendo i muscoli ancora intorpiditi dalla nottata.
Aprì le tende con un sol gesto e spalancò la finestra su colori, odori, rumori della vita che già brulicava per la Promenade des Anglais, il famoso lungomare provenzale.
Fu un sollievo sentire la freschezza di quell’aria e il tiepido caldo del sole dei primi di marzo sul viso.
Senza accorgersi aveva chiuso gli occhi e l’immaginazione di François, stimolata da alcuni odori che provenivano dalla strada, schizzò mentalmente un quadro impressionista. Al posto dei colori, sulla tavolozza c’erano semplicemente alcuni profumi: la brezza marina intrisa di salsedine, l’odore umido delle rocce della spiaggia, quello secco dell’asfalto della strada, il sudore dei corridori di prima mattina, il profumo fiorito del parco poco distante, il puzzo dolciastro un barbone addormentato sulla panchina, il forte odore speziato di una bancarella nella via parallela…e infine sentì, o gli parve di sentire, un profumo che non riusciva né a definire, né a classificare.
Ma, da subito, ne fu attratto alla pazzia.
Quell’odore aveva in sé una freschezza: ma non la freschezza dei limoni o delle arance, non della menta, non degli aghi di pino, non quella della pioggia di maggio o del vento gelido o dell’acqua di montagna…e nello stesso tempo aveva un calore: non come il bergamotto o come il legno… Era un miscuglio di fugace e di intenso, no, non di un miscuglio, un tutto unico, e inoltre era debole e lieve, forte e deciso…come una drappo di seta…ma no, neppure come seta, bensì come un latte dolcissimo, in cui il biscotto della zia Agnés si scioglie…cose che con tutta la buona volontà non andavano d’accordo: latte e seta! Inoltre, il tutto era richiuso da una fine punta alcolica, che lo rendeva particolarmente inebriante.
Indescrivibile, impossibile definirlo o classificarlo in qualche modo; nonostante François, lavorando nel settore della profumeria, conoscesse innumerevoli essenze, non riuscì a identificarla in nessuna.
Tuttavia la sua mente e il suo naso concordarono sul fatto che quel profumo era di quanto più piacevole si potesse sentire sulla terra.
Lo sentiva leggero leggero, distante, ma lo avvertiva.
Aprì gli occhi, per un attimo ebbe il timore di vederlo fuggire via, per sempre, davanti a sé.
Invece la visione che gli apparve fu quella di una strada in terra rossa battuta, affollata di persone che camminavano frettolosamente in sensi opposti: corridori mattutini, donne in tailleur, mamme con il passeggino, bambini, due giovani innamorati mano nella mano; un senzatetto, seduto sul gradino dello stesso marciapiede, fissava un punto impreciso di fronte a sé, mentre la spiaggia due metri più indietro era ancora semideserta e il mare si rigirava e si allungava, si annodava e si scioglieva sulla battigia, senza sosta.
Richiuse nuovamente gli occhi e sperò che quel profumo sublime non fosse svanito nel nulla. Lì per lì non sentì nulla e credette di esserselo immaginato, poi improvvisamente, quando stava per perdere le speranze, chiudere la finestra e andare a fare colazione, il suo naso lo colse, all’ultimo, come un oggetto di vetro che cade e viene afferrato a pochi centimetri da terra.
Come un nastro, l’aroma si srotolava per la Promenade, inconfondibilmente chiaro stavolta.
Ma a cosa o chi apparteneva?
Fu assalito dall’impellente bisogno di scoprirlo. Quell’odore l’aveva stregato, voleva annusarlo fino alla sazietà, respirarlo ogni mattina, viverlo, amarlo.
Doveva muoversi.
Si vestì in fretta e furia, salutò la zia che stava innaffiando sulla terrazza i gerani, prese dalla teglia in cucina due o tre biscotti, li infilò nella tasca della giacca, infine si precipitò fuori dalla porta, quindi dal palazzo.
La zia Agnés non capì il motivo di tanta fretta e in un primo momento rimase attonita; poi decise di lasciar perdere e pensò tra sé e sé che era un ragazzo troppo stressato e che la caotica Parigi stava iniziando a fargli male.
Il nipote ora si trovava nel bel mezzo del lungomare di Nizza, all’altezza circa della finestra da cui si era affacciato un attimo prima. Per poco non riperse il filo di quell’odore: al di sopra di tutti gli altri, fluttuava, tenue e chiaro, il nastro che guidava François.
Capì che, quasi sicuramente, doveva provenire da quella via là, da Rue Sulzer.
Vi si diresse a passo rapido.
La strada era semideserta, benché si trattasse di una diretta traversa della Promenade. Dopo trenta metri piegò a destra in Rue Saint-François e stranamente l’odore non divenne molto più intenso, nonostante vi si fosse avvicinato: divenne soltanto più puro, e per la sua purezza in continuo aumento, acquisì una forza d’attrazione sempre maggiore.
La strada era più trafficata e affollata della precedente, ma François continuava a camminare, quasi senza volontà propria. Per il nervosismo tirò fuori un biscotto dalla tasca e ne staccò un morso: il cuore gli batteva forte ma sapeva che non era lo sforzo della corsa a farlo battere, bensì la sua eccitata impotenza di fronte a quell’odore. Non sentì nemmeno il gusto del biscotto, appena distrattamente la consistenza secca e sbriciolata: in quel momento tutti i sensi erano assorbiti dall’olfatto.
A un certo punto l’odore lo portò decisamente a destra, di nuovo, quindi imboccò un’antica vietta priva di nome. Le porte vecchie, scrostate di vernice colorata, davano direttamente in strada, le tettoie delle case erano eccezionalmente alte, i muri ravvicinati parevano minacciosi e opprimenti ai lati, mentre una striscia di blu sopra la testa sembrava richiudere l’ambiente, già di per se ristretto, anche in altezza.
Solo dopo qualche minuto, François intravide da lontano una via d’uscita, che gli sembrò potesse portarlo direttamente alla soluzione di tutto. Trasse inconsciamente un respiro di sollievo.
Proprio in fondo, la strada terminava con un’ennesima traversa e sbucava direttamente sulla vetrina di un negozio, la cui visione era continuamente infastidita dalle persone che passavano veloci.
Avanzò e avanzò finché, a pochi metri dall’uscita dalla vietta, trovò la fonte, la fine della sua ricerca, come aveva previsto.
Il cuore diminuì i battiti, la mente cessò di pensare e il passò rallentò fino a fermarsi.
Una ragazza bionda stava pulendo con uno straccio la vetrina del negozio.
Stava passando con insistenza l’angolo in alto a sinistra del vetro, che le sembrava risultare particolarmente sporco; se ne chiese il perché, proprio mentre lui la stava fissando alle spalle.
La fonte era quella ragazza.
Per un attimo François fu talmente confuso che credette realmente di non aver mai visto in vita sua una cosa bella come quella donna. Eppure era di spalle.
Cedette ancora una volta all’esperienza olfattiva, più che quella visiva.
Sentì l’odore di shampoo alla mandorla dei suoi capelli, l’odore acre del mascara sulle ciglia, l’odore di ferro della collanina che le pendeva sul petto, l’odore di alcool della mano che teneva lo straccio, l’odore tenue d’albicocca della sua pelle, l’odore di pulito della camicetta bianca che indossava… l’insieme di tutte queste componenti dava un profumo così ricco, così equilibrato, così affascinante, che le centinaia di migliaia di odori che esistevano al mondo gli sembravano non valere più nulla di fronte a questo unico odore.
Questo era il principio superiore secondo il quale si dovevano classificare gli altri profumi.
Era la pura bellezza, il puro piacere…l’amore stesso!
La ragazza si voltò improvvisamente verso di lui, forse perché si sentiva osservata.
Era lei.
Era lei che voleva respirare per tutta la vita.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010