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15ª edizione - (2012)

La casa di Matrjona

Le eravamo vissuti tutti accanto e non avevamo compreso che era lei il Giusto senza il quale, come dice il proverbio, non esiste il villaggio. Né la città. Né tutta la terra nostra.
Termina così La casa di Matrjona un capolavoro dello scrittore russo Aleksandr Solženicyn.
Il romanzo comincia con un flashback, quando un uomo, Ignatič, ricorda un avvenimento accaduto in un recente passato. Un anno e mezzo prima infatti stava viaggiando alla ricerca della vera Russia, se mai essa ci fu, di villaggio in villaggio, per trovare una dimora stabile e un posto di lavoro come insegnante di matematica.
Il suo cammino termina quando, passeggiando nei dintorni della tetra stazione di Torfoprodukt, il cui solo nome mette i brividi, incontra una venditrice di latte che gli promette di aiutarlo nella sua ricerca e lo accompagna a Tal’novo, un piccolo paese nelle vicinanze, che sembra essere la sua meta ideale. La lattaia però si stufa presto del forestiero e si rende conto che l’unica persona disposta ad accettare l’uomo è Matrjona Vasil’evna, un’anziana signora. Tuttavia gli suggerisce di non vivere da lei, in quanto Matrjona era considerata sciatta, negligente e malconcia. Ignatič invece, dopo un primo periodo passato con lei, a dispetto delle maldicenze, trova quella signora piacevole e ritiene che l’isba, seppur priva di comodità e ricca di insetti di ogni genere, sia perfetta per lui e per i suoi ideali di vita; decide quindi, facendosi largo tra l’indignazione popolare, di trasferirsi da Matrjona.
I giorni trascorrono tranquilli e, sebbene Matrjona continui a esortarlo a trovare un posto più gradevole in cui vivere, essendo convinta di non avere nulla da offrirgli, Ignatič si rende sempre più conto che quella casa è la più accogliente che avrebbe mai potuto trovare. Pure Matrjona a poco a poco si abitua all’ospite, gli prepara da mangiare tutti i giorni cercando di rendere più confortevole il suo soggiorno, nonostante la sua poca dimestichezza in cucina e le scarse risorse, e di tanto in tanto si ferma a parlare con lui della sua vita passata: sono strani quei ricordi che il lettore, insieme a Ignatič, scopre, così come è particolare l’indole di Matrjona.
In gioventù la donna si era persino sposata, ma non aveva più al suo fianco il marito, Efim, disperso in guerra anni prima, inoltre il destino aveva voluto che seppellisse tutti e sei i suoi figli con grande dolore e rassegnazione.
Tuttavia, nonostante le disgrazie che l’avevano colpita, non si era mai data per vinta e aveva sempre vissuto dedita agli altri, disinteressandosi ai beni materiali, aiutando tutti senza volere compenso e procurandosi ogni giorno il necessario per mantenere se stessa, il suo gatto e ora anche Ignatič.
Quando i due personaggi discorrono Solženicyn descrive sulla carta le abitudini della sua ospite, ma in realtà lascia nel profondo delle parole la testimonianza di tutto ciò che la povera gente russa aveva sopportato durante la dittatura Staliniana, che ne aveva sconvolto le abitudini e, per molti versi, ne aveva peggiorata l’esistenza.
La bellezza della Russia rurale era stata spazzata via dall’improvvisa rivoluzione industriale che doveva migliorare la vita dei russi, ma lasciava in realtà spazio ai nuovi crimini su vasta scala commessi dal comunismo e dal regime dittatoriale che aveva portato con sé. Grazie a questo dirompente sviluppo tecnologico Stalin era stato in grado di realizzare nuovi strumenti di terrorismo psicologico, come ci racconta sempre Solženicyn nel romanzo Una giornata di Ivan Denisovič, i gulag e i kolchoz, campi e cooperative collettivi dove uomini e donne dovevano lavorare ogni giorno della loro vita per saldare un fantomatico debito con la società, costruendosi in realtà una prigione per la loro libertà.
Sempre su questa linea di pensiero l’autore ci parla di uno strano male che affliggeva periodicamente Matrjona e la costringeva a letto per qualche tempo prima di poter riprendere i lavori; ancora una volta Solženicyn ci racconta attraverso l’anziana signora della piaga che affliggeva la Russia, corrodendola lentamente da dentro, come un cancro che distrugge lo spirito e le speranze di tutto il paese.
A dispetto delle difficoltà del passato nella vita di Matrjona, sembra essere tornata la tranquillità, quando, conquistata dopo molti sforzi la pensione, finalmente racimola del denaro di cui cuce duecento rubli nella fodera della sua giacca: un giorno sarebbero serviti per il suo funerale. Ottemperato anche questo dovere, Matrjona continua a vivere serena, svolgendo i suoi compiti quotidiani e aiutando parenti e amici.
Ma ecco che, quando meno ce lo aspettiamo, le abitudini della nostra vita devono prendere un corso differente da quello che noi speravamo, così Matrjona deve confrontarsi con una richiesta, quella del suo antico spasimante Faddej, fratello del marito scomparso, di avere parte dell’isba per poterla smontare e con i suoi pezzi costruire un’altra casa. Matrjona naturalmente non è in grado di rifiutarsi, ma anzi aiuta gli uomini a distruggere la sua stessa casa. Che strana donna, avrà pensato Ignatič, così come il lettore. A lavoro terminato Faddej si procura un carro, ma si rende conto che un solo viaggio non sarebbe bastato e quindi, pur di non pagarne un secondo, costruisce un carro con dei mezzi di fortuna. Caricata la legna e la vodka di contrabbando partono, e Matrjona si offre di aiutarli; Ignatič si mette quindi a correggere i quaderni dei suoi alunni, ignaro di quel che sarebbe successo di lì a poco.
Qualche ora dopo, degli ufficiali giudiziari bussano alla porta e iniziano a porgli domande, quando un’altra donna accorre per dargli una terribile notizia: Matrjona è morta, schiacciata da un treno! Il carro che trasportava le travi infatti era rimasto bloccato nelle vicinanze di una rotaia e, nel tentativo di liberarlo, l'anziana donna e un figlio di Faddej erano stati fatti a pezzi.
L'indomani iniziano i riti funebri, le donne piangono seguendo un freddo ordine deciso da tempi immemori e nessuno ricorda Matrjona come una donna buona, ma come una stupida, che aveva sempre detto di sì a qualsiasi richiesta, sebbene fosse vecchia e malandata, e per giunta senza volere compenso. Ignatič si trova costretto ad assistere a delle scene pietose di persone che non amavano né stimavano la defunta, ma anzi la disprezzavano, e si confronta col modo con cui gli altri vedevano Matrjona, e non si erano resi conto dell’importanza della donna.
Questo romanzo è ambientato in un’epoca particolarmente difficile e turbolenta per la Russia, come Solženicyn ci aveva già mostrato in precedenza: la terribile dittatura Staliniana ha messo in ginocchio lo spirito degli abitanti, che si trovano a dover combattere per la loro stessa sopravvivenza, senza neppure la legna per riscaldarsi la notte, costretti a rubarla rischiando la vita. Persino in queste circostanze Matrjona si rivela diversa dagli altri, è la luce che illumina l’oscurità dell’anima dei suoi compaesani, non è interessata ad accumulare beni, ma vive e si dà gratuitamente al prossimo.
Gli abitanti di Tal’novo, che è specchio di tutta la Russia, hanno perso le virtù che li rendevano uomini, non possono neppure costruire una casa senza essere costretti ad abbatterne un’altra, il controllo loro imposto li ha avviliti. Al culmine del paradosso, sono impossibilitati a reperire legna persino nelle vicinanze di una foresta. Com’è possibile?, si chiede il lettore. È l’effetto della tacita prigionia in cui i russi allora erano chiusi.
Matrjona, com’è ormai chiaro, si pone come una persona molto diversa dal resto dei suoi concittadini, è il sunto dei valori della Russia antica, una donna non distrutta dalle difficoltà della vita, ma anzi migliorata da esse. Quell’anziana signora rappresenta la Russia che Stalin ha cercato di soffocare, inflessibile al tempo, che anche davanti all’ineluttabilità della sua miseria, vive serena e dà quel poco che le rimane a favore degli altri, cosa di cui gli abitanti di Tal’novo non sono capaci, ed è proprio per questo che viene disprezzata dalla società per cui lei ha fatto tanto.
La protagonista attribuisce molta importanza ai rapporti con gli altri, agisce con generosità gratuita, non per essere ammirata, ma perché è quello che desidera, è spinta solo dall'amore per gli altri. Quando Ignatič si trasferisce da lei, seppur felice della sua compagnia, teme di non poter soddisfare le sue esigenze, poiché trascorre una vita povera. È l'importanza dell'amore verso il prossimo, la possibilità di relazionarsi con il mondo un tema fondamentale nei libri di Solženicyn, che ne sottolinea più volte il valore per la persona. Nel momento in cui l’uomo viene privato della capacità di amare qualcuno al di fuori di se stesso si trasforma in un animale privo di spirito. Infatti anche in altri romanzi l’autore sottolinea come il primo passo compiuto dalle dittature sia quello di mettere gli uomini gli uni contro gli altri, per far emergere l’odio e i sentimenti primitivi che col tempo l’umanità è riuscita a porre sotto il controllo della razionalità.
Proprio in Matrjona si incarna la speranza di tutti i popoli del mondo, la speranza per cui un giorno tutto il rancore che avvelena i nostri cuori possa essere sconfitto dalla consapevolezza di essere tutti uniti, un’unica comunità in cui non l’odio, ma la bontà, possa essere presente in ognuno di noi, come la consapevolezza che acquisisce Ignatič, ma a cui tutti gli altri sembrano essere indifferenti.
È presente anche una sorta di analogia con il sacrificio di Gesù Cristo, le cui vicende hanno molti punti in comune con l’esistenza di Matrjona: anch’Egli si è sacrificato per far comprendere agli uomini tutto ciò che Ignatič ha poi compreso, e allo stesso modo di Matrjona è stato disprezzato e rifiutato.
Matrjona rappresenta la Russia, le sue tradizioni, i suoi lati positivi e anche quelli negativi, introdotti dalla dittatura, ma rappresenta pure gli insegnamenti universali portati dal Cristianesimo e da altre religioni e filosofie che auspicano un cambiamento nella coscienza dell’uomo.
È per questo che, secondo me, viene definita il Giusto, non una persona qualunque che vive in modo retto, ma il simbolo della speranza che l’umanità ha coltivato durante tutta la storia, e che ogni giorno è messa in pericolo dalla crudeltà di uomini folli che cercano di reprimerla. La cosa che ci conforta è che comunque, per quanto duramente ci provino e ci proveranno in futuro, non ci riusciranno mai, perché il seme della libertà germoglia in ogni persona.
Il verbo si è fatto carne, in quell’anziana signora, apparentemente inutile e disprezzata, si è incarnato il verbo del più grande ideale dell’uomo.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010