Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

Un'esperienza di lettura

L'unico modo che ormai mi è rimasto per isolarmi da tutto ciò che mi circonda e mi tormenta è abbandonarmi alla lettura. Per uno strano meccanismo la mia fede nella ricchezza filosofica, nella bellezza del libro che leggo è tale che il mio impellente desiderio di appropiarmene è così forte che va al di là dell'identità del libro stesso. L'ultima volta che un libro ha suscitato una così forte attrazione è stata la raccolta dei Canti di Giacomo Leopardi. Vissuto nella perenne tragedia seppe però descrivere magnificamente cos'è la gioia; ma non quella comune e forzata bensì quella profonda dell'animo.
La scrittura leopardiana classica e lineare, basata sulla forma oltre che sul contenuto, sottolinea il valore della parola. Forte in lui l'io che è titanico, granitico e per questo non cede bensì testimonia la vita e la resistenza dell'io che costituisce il principio della persistenza anche nei momenti di massima incertezza.
La lingua da lui usata è quella arcaica quindi immutabile, eterna, intoccabile. Il suo contatto con la lingua è atemporale. La sua ricerca dell'infinito non è altro che la ricerca di vocaboli suggestivi che ricordano suoni, atmosfere, rumori vaghi. Per questo le parole da lui più usate sono: indefinito, lontananza, suoni naturali... tutte sensazioni acustiche che l'occhio umano non può cogliere.
L' "indefinito" di Leopardi è preciso e quindi "definito" poiché indefinito e definito per Leopardi sono sinonimi, in quanto entrambi non sono mai stati storicizzati. Il suo incessante lavoro di ricerca di suoni costituisce una poesia di "eco" che cerca l'espansione del suono e non il suono in sé. L'udito è il senso più usato dai poeti e la vista viene usata per narrare, descrivere immagini nascoste e celate. Per questo motivo il poeta incarna perfettamente l'espansione del dato parziale.
Tutta una serie di elementi fanno apparire Leopardi, che per nascita appartiene al Settecento, per composizioni all'Ottocento e per popolarità al Novecento, un poeta universale: non c'è parola, sentimento, luogo leopardiano che possa apparire oggi distante, lontano o sorpassato.
Leopardi è un poeta-scrittore capace di comporre idilli, racconti, antologie, tragedie con la stessa bravura e capacità di immedesimazione unita però alla conoscenza dei temi trattati.
Forse il segreto della sua bravura è stato il binomio conoscenza-coscienza.
Dietro al genio di Leopardi si sente l'incombente presenza di uno studio approfondito delle lingue antiche, forse fondamento della sua ricchezza culturale e stilistica.
Leopardi studiò continuamente e riuscì persino a farsi inviare al suo natio borgo selvaggio (Recanati) testi letterari stranieri dei quali lui si nutriva come di linfa vitale.
Se questa è la conoscenza di Leopardi non si può certo tralasciare la coscienza, quella sua dote naturale di entrare, di oltrepassare, di arrivare nel cuore di tutto e di tutti.
I sentimenti da lui descritti non possono certo lasciare il lettore immobile o apatico. La sua poesia è freccia verso la diversità e la variazione: un'eguaglianza umana, sentimentale, emotiva, che, passando da individuo a individuo, non diventa mai ripetizione né identità. Le sue parole attente e precise sanno oltrepassare la soglia volitiva e visiva ed entrare nell'animo. Leggendo l'Infinito posso dire di aver vissuto con il narratore quel momento di pace sovrumana, dove un io cantante e cantore si abbandona estatico alla contemplazione dell'infinito mondo ideale tramite lo scorcio di una siepe che cela ciò che è al di là dell'ermo colle, immerso nel silenzio arcano e nella profondissima quiete che la sua mente ha creato.
La funzione fantastica è così intensa che il cuore dell'io poetante ne prova un momentaneo sgomento, condiviso dal lettore, prima dell'arrivo del lieve soffio di vento che lo strappa dalla contemplazione e lo riporta alla realtà, alla caducità di tutte le cose umane.
Lo spirito del narratore (unito a quello del lettore condivisore di quel momento) si sperde nell'immensità creata e nell'intuita eternità che si tramuta in invitante mare nel quale, con immensa gioia, s'annulla il suo pensiero e il naufragar gli è dolce: sembra che l'onda lo culli e lo accarezzi portandogli insensibilmente la sovrumana quiete.
Anche il lettore è portato dalla dimensione dell'immaginario, che è figlio della natura e nemico della ragione, a vivere quel momento di distacco totale da quel mondo che purtroppo ci ha assuefatto alla noia (il grande male di Leopardi che lo avvertiva come non senso della vita).
In un momento io lettore capisco che la ragione è nemica di ogni grandezza e che solo i sentimenti che provo mi rendono viva e unica perché involontari. Leopardi esprime tutto ciò tramite l'uso di parole vaghe che lasciano libera interpretazione a chi legge di crearli.
In questo momento possiamo ritrovare noi stessi e la ragione del nostro male: il pessimismo, la crudeltà della natura che sopravvive sempre e fa vivere gli uomini solo per soffrire, perché si sentono essere inferiori a Lei.
Non solo la natura è indifferente dinanzi alla sorte dell'uomo ma persegue in modo necessario e sufficiente i suoi fini di conservazione dell'universo, non curandosi dei suoi abitanti che sono solo marionette nelle sue mani. Io, come Leopardi, avverto tutto questo e sono consapevole del suo costante mutare e rimanere intatta, creando e distruggendo tutto con quella sua solita magnificenza.
Anche la momentanea felicità che prima ci pervase completamente capiamo ora essere solo l'interruzione del dolore.
Tutto questo appare più comprensibile grazie all'intenzione del poeta di parlare per sfogo a un interlocutore (in questo caso io), che lo capisce e che condivide con lui, proprio perché umano, il dolore e l'intuizione del non senso. Forse per cercare una consolazione reciproca Leopardi scrive nell'illusione di rimanere aggrappato a un ancora di salvezza.
Leopardi capisce che la vita di ognuno occorre a interpretare l'esistenza e solo la morte ci può salvare dalle disillusioni. Leopardi che è paradigma supremo di soggettività e di autoanalisi mi è venuto incontro con tutta la sua forza di genitore, con la sua parola che genera parola e capisco che devo seguire il ritmo del cuore. "Leopardi non amava la vita ma me la fa amare" come disse qualcuno che lo capì veramente a fondo.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010