Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
15ª edizione - (2012)

Il ritratto

Questo racconto breve è il ritratto di un uomo innamorato che dipinge la sua donna.
È la storia di un pittore che compone una tela in cui le linee e i colori animano il volto dolce di una ragazza e in questo riflettono la vita di chi la dipinge e il suo amore per le donne incontrate lungo il cammino. Ho cercato di esprimere cosa vuol dire fare arte per amore e fare dell’amore il motore e il significato vero e centrale dell’arte.
La lettura che ha ispirato questa scena è Hermann Hesse. Con i suoi personaggi, spesso artisti e vagabondi, lo scrittore tedesco ha saputo comunicarmi la bellezza di vivere camminando e di fare della ricerca la fonte inesauribile cui attingere per gioire infinitamente della vita. In quest’ottica la figura della donna si è trasformata nel simbolo capace di esprimere questa molteplicità di significati, diventando così il fulcro fondante e la chiave interpretativa del racconto.
Dal punto di vista tecnico per rappresentare l’atto creativo del dipingere mi sono servito del flusso di coscienza di Joyce come strumento per mettere in luce i sentimenti e i pensieri del pittore, tuttavia, ho cercato di rielaborare questa tecnica per accordare ciò che avveniva nella mente dell’artista con ciò che andava effettivamente realizzando sulla tela.
Buona lettura.

Quando si svegliò lei stava ancora dormendo un sonno profondo. Il sole si era alzato da poco e gli uccelli del bosco cominciavano a riempire l’aria con il loro canto mattutino. Iniziò a raccogliere i vestiti e la bisaccia facendo attenzione nel muoversi per evitare di svegliarla.
Avrebbe voluto rimanere lì ancora qualche momento, attardandosi per dare un ultimo saluto alla notte appena passata. Intanto, la rugiada riposava stanca sui fili d’erba. La luce penetrava attraverso le foglie diffondendo per tutta la radura una leggera danza di ombre vorticanti. Il vento muoveva il ballo e c’erano giovani che ridevano, bambini intenti a rincorrersi, musiche, vino, ciambelle e suonatori di violino.
Le figurine prese dalla danza andarono a posarsi anche sul volto della fanciulla senza fermare i loro movimenti sfrenati. Non sembravano darle fastidio: lei continuava a riposare dolcemente mentre intorno tutta la natura si stava svegliando lentamente.
Il pittore si fermò un momento a fissarla con tenerezza prima di darle l’addio. Non riusciva a staccarsi da quei lineamenti sereni, dalla veste leggera alzata dal respiro tranquillo e dai riccioli scuri adagiati sull’erba. Sentì rinascere per un momento il desiderio bruciante di fermarsi per sempre, di abbandonare il vagabondaggio e di rimanere sdraiato accanto alla fanciulla.
Perché avrebbe dovuto rinunciare a tutto questo? Voleva accarezzarle i capelli fino al risveglio e rifare l’amore con lei finché il sole non fosse tramontato. Poi avrebbero passato la notte contando le stelle. Lui le avrebbe messo una campanula tra i capelli e si sarebbero stretti forte fino a soffocare.
A volte rimpiangeva la scelta che aveva fatto. Si sentiva uno spettatore della vita. La libertà che aveva abbracciato era la catena più pesante da portare. Ormai c’era abituato a questa vita, all’errare senza meta, al non fermarsi mai, all’abbandonare e al perdere persone care.
Così raccolse le ultime cose, diede un ultimo e triste sguardo alla ragazza e si voltò per risalire verso il sentiero.
«Hai dimenticato il tuo quaderno» sentì dire dalla voce tranquilla alle sue spalle.
Si fermò e rimase immobile, senza voltarsi. La ragazza si era svegliata e aveva preso in mano la cartellina con i suoi schizzi e sfogliava le pagine con aria ingenua e divertita.
«Dipingi donne molto belle» disse guardando il disegno di una ricca signora che il pittore aveva incontrato qualche mese prima. «Voglio che tu mi ritragga» aggiunse.
Un’espressione triste si dipinse sul viso dell’uomo. Alzò un attimo lo sguardo guardando di fronte a sé, ritornò sui suoi passi e si diresse verso la fanciulla.
Depositò nuovamente a terra la borsa e ne rovesciò il contenuto sul prato umido. Iniziò a scegliere silenziosamente gli strumenti necessari. Tra il materiale sparso per terra prese una tela su cui aveva abbozzato pochi giorni prima una chiesetta e che decise di poter riutilizzare.
Estraendo i barattoli incrostati si accorse che gli erano rimasti pochi colori. Per ultimi tirò fuori i suoi vecchi pennelli sfilacciati. Si sedette a gambe incrociate sul pavimento e appoggiò la tela sulle ginocchia. La tavolozza era pronta e si accinse a riempirla. Scelse un blu cobalto che trovò perfetto per le sfumature degli occhi della fanciulla, mentre il cinabro si sarebbe intonato con le labbra carnose e il giallo brillante con le scintille del sole sui suoi capelli. Con l’azzurro avrebbe dipinto le colline e, perché no, con il rosa il cielo mattutino sfiorato qua e là da nuvolette rosse, dorate e porpora. Aveva in mente una follia di colori per quel viso così infinitamente bello e sereno.
La ragazza intanto non lo guardava ma era intenta a staccare dagli steli i piccoli fiori blu che punteggiavano il prato.
Non volle distrarla. La trovò assolutamente ingenua e semplice. Senza interromperla incominciò a dipingere. Una gioia tutta nuova accompagnava i gesti della sua mano al movimento potente che partiva dal suo cuore.
Veloci e decisi scendevano le pennellate sulla tela come non avevano mai fatto, quasi fossero note musicali rosse, verdi e arancioni infuriate nel fare a brandelli il pentagramma nero e bianco. Bianchissime erano le mani della fanciulla strette intorno ai fiorellini turchesi circondati da mille rapidi scintillii argentati. Sembravano cristalli di Boemia, fragili, che se non ci metti attenzione si rompono. Ma non era il suo caso, lei era troppo leggera e fresca per far loro del male.
Il pittore la guardava e rideva perché quand’era giovane anche sua sorella gli faceva delle collane di fiori bianchi, tanto soffici che il vento li portava via, su, fino alle nuvole. Lui saltava ma non li raggiungeva mai e tutte le volte cadeva giù. Però la mamma lo prendeva sempre e non si faceva mai male.
Che buona che era la mamma! I suoi capelli profumavano di rose e se aveva paura lei lo stringeva forte così che non avrebbe mai potuto perderlo. Anche lui voleva imparare a non far scappare la fanciulla e proseguire sulla strada sotto il sole, sotto il cielo e la pioggia. Ma come avrebbe fatto? Certamente non ci sarebbe riuscito. Era così, sin da quando tutto era cominciato. Oppure no! Forse con i colori poteva, forse con i pennelli poteva. Sì! Con la sua arte finalmente poteva farlo mille volte in nuove forme e creare un mondo nuovo tutto per la fanciulla. Nel suo quadro lei avrebbe potuto ritrovarlo e lui le avrebbe donato tutto il suo amore e la sua gioia e quello che aveva imparato lungo la strada, se stesso, il suo viso, il suo profumo, per sempre.
Aveva fatto bene a comprare quei colori bellissimi dall’arabo al mercato giù in città per il cappello con la piuma rubato al negozio del padre di Erminia.
Oh Erminia! Era sempre stata troppo bella per lui e non era mai riuscito a trovare un rosso per dipingere quelle labbra di sangue e i capelli rossi anche loro e nella sua terra le notti erano gelide ma si scioglievano se lui stava accanto a lei gli inverni passavano e la gelata lasciava il posto ai germogli su per il bosco a svegliare gli alberi sopiti e le prime foglie e il risveglio del ghiro da troppo tempo addormentato poi il canto degli uccelli prati erbe colori impazziti azalee ginestre peschi in fiore che danzavano e il profumo di vita nell’aria mentre l’estate scoppiava dorata e ricca per la campagna e le vigne sotto un cielo senza nuvole e le distese di grano a perdita d’occhio lì lì proprio in mezzo al grano l’aveva portato la zingara quando ancora non conosceva l’amore e gli aveva insegnato a sentire il calice dei sensi mai colmo e sperare e bruciare e ringraziare Dio di averlo fatto incompleto e desideroso di trovare un mondo nuovo e partire per incontrare la moglie del pastore e Giovanna e la ragazza dagli occhi verdi e la pelle scura di Sara e il canto di Eleonora in riva al mare e il sorriso della ragazza di Siviglia e tante altre fino a non contarne più migliaia di vite piene ardenti creatrici che sanno riempire il cuore e i sensi e trasformarsi infinitamente come boschi sacri e foreste intere che cadono per rifiorire ed essere madri sorelle figlie e amanti che dormono al tuo fianco nei prati e fanciulle che si fanno ritrarre mentre intrecciano corone di fiori blu come il cielo il mare la notte trapuntata di sogni di amori lontani e di donne che non ti bastano mai.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010