Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
15ª edizione - (2012)

La tela - Liberamente ispirato a: La Torcia di M. Z. Bradley, La Morte della Pizia di F. Durrenmatt, Le Nebbie di Avalon di M. Z. Bradley

Troia, XII secolo a.C.

Poco fa, guardando le navi Achee attraccare sulla nostra spiaggia, ho avuto la più terribile delle visioni: Troia, la mia Troia, in fiamme! I nostri cari, i nostri padri e fratelli a terra, nel loro sangue! Le donne rapite, spinte giù dalle scalinate! Il palazzo, le imponenti mura, i templi… tutto raso al suolo.
Sono corsa allora nella sala del Trono e la mia voce rotta ha colmato di lugubre pianto ogni anfratto del palazzo. Ma il mio lamento, le mie urla non sono serviti a nulla.
«Chi ascolterebbe la pazza Cassandra, odiata da Dei e Dee, derisa dai mortali?» ha detto Priamo, mio padre, a Ettore.
Paride rideva. «Chi deve morire oggi, Cassandra? Chi? Avanti, pendiamo dalle tue labbra!».
Quanto è terribile leggere negli occhi di chi ti ascolta derisione, scherno o addirittura pietà, compassione per te.
«Povera cara… tu non sai più cosa dici, piccola mia stregata dagli dei» mi diceva Ecuba, mia madre, con le lacrime agli occhi.
Ma mentre gli uomini ridevano e si apprestavano a tornare ai loro inutili piani di guerra la mia voce si è di nuovo innalzata, radiosa per il potere della Dea.
«Oh, miseri stolti e misera me perché non ascoltata! Padre, tu che la Dea creò principe delle creature, potresti rifulgere per la tua saggezza e invece chiudi gli occhi per non conoscere! Che razza di animali siete voi, o reggenti di Troia? Proteggete il vostro popolo! Illuminatevi ora o soccomberete all’oscurità».
E mentre parlavo si alzò Ettore, il primogenito, livido in volto, e mi colpì la guancia. «Taci donna! Vattene dalla mia casa prima che ordini di frustarti.»
Rovinai a terra con il sapore del sangue che mi riempiva la bocca. Sputai sui sandali di mio fratello. «Ora ti senti divino, invincibile. Ma quando, morto, i cavalli ti trascineranno nella polvere, il mio sfregio non sarà nulla in confronto al tuo.»
Ettore impallidì, mi sollevò di peso e chiamò una guardia perché mi riportasse al Tempio.
Ridevo mentre mi portavano via; ricordo come mi girasse la testa e come, in quel vorticare, vedessi figure indistinte muoversi nella notte. Uomini, donne, bambini accalcati, urlanti nell’orrore e nella rabbia generali.
La risata del comandante greco, Agamennone, che sedeva sul trono di Priamo, mio padre. Infine il suo ghigno mentre saliva sopra di me slacciandosi la veste, costringendomi a guardarlo negli occhi. E io urlavo, impotente come sempre, piangevo, disperata per la perdita dei miei cari e, in ultimo, del mio onore.
Dicono che questa follia riecheggiò nel palazzo anche dopo il mio ritorno al tempio e che, tra parole e gesti incomprensibili, risultò chiaro solo il mio ultimo grido rivolto alla spiaggia: «Una strage di innocenti chiama sangue senza colpa: perché accanirmi su di voi, quando potrò colpire i vostri figli? Gioite ora, miscredenti, adoratori di Dei inferiori: voi stessi aprirete la porta di casa al mio protetto e non lo riconoscerete. Lo servirete, voi e tutti i popoli del mondo! Prendete pure i corpi dei Troiani: io mieterò le vostre anime».

Tebe, VIII sec. a.C.

Tiresia non poteva comprendere i motivi che spingevano Pannychis a non prendersi sul serio mentre vaticinava. E non poteva innanzitutto perché la Pizia non era stata sincera con lui, o almeno non del tutto: perché avrebbe dovuto raccontare il suo segreto a un politico? Inoltre, la Pizia ne era sicura, il vecchio non avrebbe capito. Nessun uomo avrebbe capito, figurarsi un greco.
La verità che Pannychis si sarebbe portata nella tomba, era molto semplice. Lei sapeva molto più di quanto fosse disposta a rivelare: sapeva di essere l’unica vera chiaroveggente della Grecia, essendo al servizio della divinità giusta.
Già. Non era Apollo a conferirle la Vista: persino Tiresia aveva compreso che gli Dei achei non esistevano. L’unica realtà ultraterrena esistente era la Dea.
Gli Achei, quando erano giunti in Grecia da Oriente, per paura avevano cercato di distruggerla: saccheggiarono i suoi templi, distrussero le sue effigi, uccisero le sue sacerdotesse. Ma non ebbero nemmeno il coraggio di smettere di adorarla; così si inventarono quegli stupidi Dei, in parte maschi!, e affidarono a ognuno di loro un aspetto della dea: la Dominatrice si fece Zeus, la Saggia: Atena, la Bellissima: Afrodite, la Vendicatrice: Ares, l’Astuta: Ermes, la Vergine: Artemide e così via. Credevano che questa divisione l’avrebbe resa fragile e nel contempo avrebbe legittimato il loro governo.
Resi ciechi dalla sete di potere, non diedero peso ad alcune giovani che si dichiaravano invasate da Apollo (Dio che proprio loro si erano inventati!), che vaticinavano il futuro e che volevano essere chiamate Pizie.
Incantati dalla Splendente, gli Achei concessero di costruire il santuario di Delfi, il più importante della Grecia.
Pannychis rideva al pensiero che in quello che era considerato da tutti il simbolo della potenza degli Dei si celava l’ultimo santuario della Dea. L’idea che degli uomini, grandi, grossi e spavaldi, si inginocchiassero davanti a una donna per sapere che ne sarebbe stato della loro vita l’aveva sempre mandata in estasi.
Da giovane, poi, Pannychis ne era stata entusiasta: possedeva la Vista, le era stato concesso di conoscere la verità prima che si compisse! Ma non sempre questa coincideva con le richieste del sommo sacerdote o del Tiresia di turno. E lei si era dovuta abbassare alla menzogna, vergognandosene e chiedendo alla Dea perdono ogni sera, in ginocchio davanti alla sua statua. Aveva odiato quei ridicoli omuncoli e aveva chiesto alla Dea la forza di eliminarli o, almeno, di impedire che mentissero per tornaconto personale. Ma Lei era rimasta immobile, sorda alle sue preghiere; e, da alcuni anni, Pannychis si era cominciata a chiedere il perché.
«E se persino la Pizia fosse vittima di un raggiro? Chi mi assicura che questa Dea esista davvero?».
Annegava nelle domande e non trovava risposte. Cominciò allora a vaticinare assurdità, sperando che la Dea, indignata, si sarebbe mostrata per punirla. Ma ciò non accadde.
Pannychis pensava di essere stata maledetta: lei, che conosceva i più segreti misteri, brancolava nel buio dell’ignoranza.
«Ricorda: conoscere più degli altri uomini non significa sapere ogni cosa» le aveva detto la Pizia precedente, Krobyle IV. Già, e chi ci aveva mai creduto? Si era sentita così onnipotente, Pannychis! Forse la Dea la puniva per questo, in fin dei conti.
Mentre pensava queste cose, Pannychis vide una figura incappucciata avvicinarsi: doveva essere la Morte. Velocemente le fu accanto e la sacerdotessa, raccolto tutto il suo coraggio, la guardò in volto. Fu come specchiarsi.
«Non capisci, sacerdotessa? Tanto cercarmi, eppure sono sempre stata qui. Il mondo mi ha conosciuto con il tuo volto: perché tu vuoi che ne abbia uno diverso?».
Il mattino seguente il sommo sacerdote trovò Pannychis morta sul trono della Pizia. Ai suoi piedi una tavoletta con poche parole: «Io sono la Verità: non avrai altro dio al di fuori di me».

Cornovaglia, VII sec. d.C.

In cima alla scogliera si trovava refrigerio dalla calura estiva. Il mare, che scrosciava con violenza poco più in basso, rendeva l’aria frizzante e odorosa. Viviana smontò da cavallo per godere di quel paradiso. Abbassò il velo e riempì i polmoni del profumo della natura, inspirando profondamente per portare quella pace dentro di sé. Gwydion smontò a sua volta e le sedette accanto.
«Erano secoli che non tornavo qui, sai?» disse lui guardando il mare. «Da piccoli ci venivamo sempre…».
«Giusto. Non me lo ricordavo quasi più… Giocavamo a nascondino, a prenderci…».
Viviana sorrise maliziosa e toccò Gwydion sulla spalla.
«Toccato.»
Il ragazzo la fissò un po’ sorpreso «Come scusa?».
Lei si alzò e cominciò a correre «Prendimi, dai!».
I due correvano a perdifiato nel prato e poi nel bosco lì vicino. Viviana era veloce e Gwydion dovette slacciare il cinturone della spada e la corazza di cuoio per riuscire a prenderla. Alla fine la bloccò sull’erba. Ridevano e ansimavano per la corsa.
«Toccata.»
Le impediva di muovere le braccia.
«Ehi, così non vale! Come faccio se non mi lasci le mani?» scherzava la ragazza.
«Beh, sei intelligente. Inventati qualcosa» rispose provocatoriamente lui.
Lei diede un colpo di reni e lo baciò, facendogli lasciare la presa. Rimasero a guardarsi negli occhi senza parlare. Gwydion la fece sdraiare accanto a lui sfiorandola dolcemente. Viviana gli slacciò le brache e lui sorrise stendendo il mantello sopra di lei.
«A volte ti guardo e non riesco a credere che tu… insomma che tu sia una sacerdotessa! Mi sembri la stessa di sempre.»
«Sono la stessa di sempre, solo un po’ più consapevole di me e delle mie capacità.»
Gwydion sorrise.
«Mio padre dice che voi siete streghe, amanti del diavolo mandate a corrompere i bravi cristiani di questa regione.»
«Ah! E io che pensavo di essere una donna normale…» Viviana lo baciò di nuovo. «Tuo padre non dovrebbe parlare di ciò che non conosce.»
«Beh, ma lo dicono anche i sacerdoti! Sparlano di voi in una maniera che mi fa venire i nervi! Contro la Dama del Lago, poi, danno il meglio: è una fornicatrice della peggior specie, si accoppia con uomini a caso per soddisfare la libido che le deriva dal Maligno!»
Viviana rise «E tu ci credi?»
«No. Mi sembra stupido: voglio dire, perché accoppiarsi a caso? Spero per lei che si scelga solo il meglio!»
«Speralo, speralo…».
Gwydion la guardava senza capire.
«No, niente. Comunque quasi tutti i sacerdoti sono bestie ignoranti terrorizzate dal giudizio divino. E il giudizio verrà, perché così è stato predetto fin dai tempi antichi.»
«Se lo dici tu… A volte mi chiedo: ma non possono esserci un Dio e una Dea insieme? Che fastidio si danno?»
«In realtà, sai… Dire Dio o Dea è la stessa cosa. Parliamo e serviamo la stessa divinità senza saperlo. Capisci ora perché è ridicola una guerra tra noi?»
«Ma allora perché non…»
«Già. Gli uomini hanno frainteso tutto fin dall’inizio. Hanno reso la religione uno strumento politico e di sopraffazione. Ma comunque ho imparato a mie spese che la volontà della Dea si compie sempre, a prescindere da ciò che noi umani facciamo.»
Viviana si alzò sentendo il richiamo dell’Isola Sacra.
Gwydion la aiutò a salire sul cavallo e la guardò allontanarsi chiedendosi a cosa avesse alluso nell’ultima frase.
Viviana galoppava sentendo il dono della Dea Madre nel ventre: presto avrebbe dovuto spiegare perché aveva scelto di farsi mettere incinta da un principe cristiano, nonostante gli anticoncezionali.
Nonostante fosse stata appena nominata futura Dama del Lago.
«Madre, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.»

Palestina, 30 d.C.

Era giunto il momento. Non si poteva aspettare oltre: bisognava agire. E agire significava abbattere tutto ciò che era stato in passato per assicurarsi un futuro. Miriam si chiedeva perché mai quel dovere fosse capitato a lei, ma d’altra parte le vie della Potente sono infinite.
Il progetto era semplice e ben congegnato: il mondo ormai era diventato patriarcale. Le donne valevano sempre meno e, questo Miriam lo aveva visto, per secoli la loro condizione sarebbe peggiorata. Il culto della Dea allora sarebbe stato abbandonato perché le donne non venivano più considerate: questo non doveva accadere.
La soluzione era allettante e spaventosa al tempo stesso: bisognava tramutare il sesso debole in quello forte. La Dea doveva diventare Dio, le sacerdotesse sacerdoti, le profetesse profeti. Il terreno fertile in cui far crescere questo seme era la Palestina, terra di Jhwh, unico vero Dio: bastava fingere di continuare questa tradizione.
Ma Miriam era una donna e le serviva un uomo: il Figlio prediletto in cui la Madre si era compiaciuta.
E la Dea glielo aveva indicato in Yehoshua, Gesù il Nazareno, chiedendo alla ragazza di sacrificare quanto aveva di più caro.
«Qualcosa dentro di me ha sempre saputo che il mio destino era particolare. Tra i figli della Dea, io sono il Prediletto: porterò a termine ciò che la Dea mi ha affidato, non dubitare.»
Quella mattina Yehoshua compiva trent’anni e Miriam, quando vide la Dea posarsi su di lui, pianse silenziosamente. La Vista le mostrò tutto quello che gli sarebbe accaduto: «Grande Dea, proteggilo e non farlo soffrire invano» pregò tra sé e sé.
Yehoshua la abbracciò e la baciò.
«Ti ho amata come nessun’altra.»
«Ti ho amato come nessun altro.»
E Miriam rientrò in casa, incapace di vederlo partire.
Sapeva che il nome di Gesù sarebbe risuonato alto tra i posteri, anche dopo millenni. Lo avrebbero considerato il Figlio di Dio e, seguendo i suoi precetti, avrebbero onorato la Dea. Miriam pensò alle profetesse che l’avevano preceduta e a quelle che le sarebbero succedute. Ognuna di loro incarnava più o meno consapevolmente un Volto della Dea: Cassandra la Vendicatrice, Pannychis la Saggia. Viviana, una giovane che sarebbe giunta in terre e tempi lontani, la Madre. Yehoshua, unico profeta maschio, era la Dominatrice e Miriam era la Vittima, l’agnello pasquale ebraico.
«Sorella» disse una donna interrompendo i suoi pensieri, «Yehoshua è partito. Attendiamo istruzioni».
Miriam sospirò. «Non lo seguiremo per il momento. Dobbiamo lavorare nell’ombra, passare in secondo piano: così, con un po’ di fortuna, noi Sorelle resisteremo fino al tempo della Prediletta. Non è con un Figlio che la Dea si manifesterà in tutta la sua potenza, ma con una Figlia. E la riconosceremo perché a lei sola la Dea presterà tutti i Suoi volti. Ella avrà la folle disperazione di Cassandra, la saggezza delle Pizie, la purezza delle Vergini, la passione e il fascino delle Dame del Lago, la forza di Yehoshua, il mio spirito di sacrificio. In Lei vedremo il compiersi delle Scritture. Ora andiamo al tempio a pregare».
«Come desideri, Sorella Maddalena».

Oggi, da qualche parte

La sveglia suonò, puntuale come sempre. Mi alzai di malavoglia e mi diressi in cucina.
«Buongiorno.»
«Buongiorno mamma.»
Mi sedetti davanti a latte e biscotti con aria pensierosa. Mamma mi guardò per qualche secondo: sembrava un po’ preoccupata. «Tutto bene tesoro?» chiese alla fine.
Sbadigliai. «Ho dormito male stanotte. Sono un po’ di giorni che sogno cose strane…».
Lei tirò un sospiro di sollievo. «Mi sono preoccupata per nulla. Avevo quasi temuto che…».
Si infilò i guanti e aprì l’acqua nel lavabo «Saranno gli ormoni che sballano».
«Già…». Cominciai a giocherellare con il cucchiaio e i biscotti. «Senti mamma… ma tu… hai mai sognato cose strane, un po’ inquietanti?»
«Ma certo» rispose sorridendo «è normale alla tua età».
«No, ma… tipo… cose che poi succedono… per davvero intendo.»
Mamma rimase bloccata per un attimo.
Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi. “Che sia anche lei destinata a servire la Dea? A diventare una delle Sorelle?”
«Ma sì, capita… Non preoccuparti.»
«Ma ho chiesto alle mie amiche… a loro non capita.»
Mi guardò in modo strano: pensai di aver sbagliato a parlargliene.
Poi sorrise. “Si sta compiendo la Tua volontà, Madre. Ed è giusto che sia così.”
Si sedette accanto a me, mi prese la mano e disse seriamente: «Ma a noi sì, tesoro. A noi sì».


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010