Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

Il Futuro

Terribilmente pauroso e allo stesso tempo mostruosamente meraviglioso

Quella sera, alla televisione, avevano mandato in onda il film Titanic e, tra una lacrima e l’altra, ingoiavo cucchiaiate di gelato al cioccolato e nocciole. Improvvisamente, il telefonò squillò, facendomi sobbalzare sul divano. Mi alzai svogliatamente, presi la cornetta e risposi.
«Pronto?» dissi.
«Tesoro, sono io, la mamma.» rispose la sua voce inconfondibile.
«Mamma? Perché mi chiami a quest’ora? È successo qualcosa?» chiesi, preoccupata.
«No, no, solo che ci tenevo a dirti in bocca al lupo per domani. È il gran giorno! Oh, tesoro, sono così fiera di te!».
Ridacchiai.
«Mamma, penso che sia la centesima volta che me lo ripeti. Sembri più nervosa tu di me. Stai tranquilla, andrà tutto bene, e, al mio ritorno a casa, avrai di nuovo con te tua figlia e per di più laureata».
«Lo so, lo so, andrà tutto benissimo perché tu sei una studentessa modello. Io e papà non vediamo l’ora di riaverti qui con noi. Buona fortuna ancora, ci sentiamo domani».
«Certo, a domani mamma, saluta papà. Buonanotte».
Riagganciai, e feci un grosso sbadiglio. Sentii tutta la stanchezza della giornata appesantire il mio corpo, e decisi che era ora di andare a letto. Il giorno dopo si sarebbe giocata tutta la mia carriera da universitaria. Mi stavo laureando in chimica industriale, il mio sogno si stava per realizzare, e il mio futuro lavorativo era ormai alle porte. Spensi la televisione, mi infilai il pigiama e mi misi, accucciata, sotto le coperte. Non riuscivo ad addormentarmi, perciò decisi di utilizzare il metodo più gettonato dalle mie amiche che soffrivano di insonnia: mi preparai una tisana alle erbe e, una volta a letto, iniziai a focalizzare nella mia mente dei paesaggi e dei suoni che mi potessero rilassare, come delle montagne innevate o il rumore delle onde del mare che si infrangono contro le rocce. In pochi minuti mi addormentai, e sprofondai in un sonno tormentato. Continuavo ad agitarmi, buttando le coperte di qua e di là, non riuscivo a trovare pace. Il mio corpo era in fibrillazione per il giorno successivo, per l’esame, e si sa, non c’è nulla che possiamo fare contro il nostro inconscio.
Mi svegliai di soprassalto. Era il gran giorno. Iniziai a sentire l’ansia crescere nel mio corpo, ma mi imposi di stare calma. Tutto sarebbe andato per il meglio, lo sapevo.
Mi alzai e mi sfregai gli occhi, appesantiti dal sonno in arretrato. Li riaprii, e mi accorsi che qualcosa non quadrava. Quella non era la mia camera. Quello non era il mio letto. Quello non era il mio armadio. Stavo ancora sognando, pensai. Era la soluzione più plausibile. Richiusi gli occhi, mi diedi un pizzicotto e li riaprii. Nulla, ero ancora nella stessa camera. Ma dov’ero finita? Oggi era il giorno della mia laurea, non potevo permettermi di non presentarmi, o di arrivare in ritardo. Forse ero uscita la sera prima e avevo bevuto un po’ troppo. Forse ero a casa di qualcun altro… Forse… No, ero stata a casa tutta la sera, ne ero sicura.
Scorsi un’ombra. Allora c’era qualcuno in quella casa! Mi incamminai nella direzione in cui era andata l’ombra e vidi davanti a me una bambina, che avrà avuto cinque anni. Era una bambina graziosa, con lunghi riccioli dorati e dagli immensi occhi verde smeraldo.
Perché ero in casa con quella bambina? Ma, soprattutto, chi era quella bambina? Il flusso dei miei pensieri fu interrotto dall’arrivo di un uomo sulla trentina.
Stavo per scusarmi per la mia intrusione in quella casa, ma sia l’uomo che la bambina non sembravano vedermi.
«Tesoro!» disse alla bambina. «Vieni, papà ti porta a prendere il gelato».
Quella voce.. Quella voce mi era familiare. Guardai attentamente l’uomo in faccia, e stentai a credere ai miei occhi. Mi appoggiai a un mobile per non cadere. Sentii le mani tremare, e il mio corpo sudare freddo. Quell’uomo, quell’uomo era il ragazzo che io avevo amato quando ero ancora una ragazzina, quando avevo diciott’anni. Ma quell’uomo aveva dieci anni di più rispetto al ragazzo che conoscevo io. No, non era possibile. Quelle erano le cose che succedevano nei film, non nella vita reale.
Che quello fosse il futuro? Tutta questa storia non aveva senso. Forse la tisana che avevo bevuto la sera prima conteneva delle piante allucinogene. Non poteva essere. No, era impossibile.
Vidi che, attaccato al muro della cucina dove mi trovavo, c’era un calendario. Feci due respiri profondi e mi avvicinai. 14 Marzo 2024.
Deglutii vigorosamente. 2024? Il futuro? Pronunciare quella parola in quel momento mi fece venire i brividi. Che ci facevo io nel futuro? E poi perché ero nel futuro di qualcun altro? Perché ero nel futuro di Chuck, il ragazzo che avevo amato da ragazza?
Avevo moltissime domande, ma, purtroppo, sembrava non esserci risposta per nessuna.
Improvvisamente mi venne un’illuminazione. Forse non ero nel futuro di qualcun altro. Forse il mio futuro era legato al suo, forse il suo futuro e il mio coincidevano. In quel preciso istante capii di non aver mai davvero smesso di amare quel ragazzo, che era stato il mio primo, vero e unico amore.
Chuck era stato importante per la mia vita e nessuno era mai riuscito a sostituirlo.
Il mio sguardo si posò su quella bambina graziosa. Che fosse lei… mia figlia? Mi pizzicavano gli occhi, ma mi imposi di non rallegrarmi troppo per quello che avevo appena pensato. Insomma, ancora non ne avevo la certezza. Decisi, comunque, che, essendomi ritrovata catapultata in quella dimensione, forse avrei dovuto cogliere al volo l’occasione, e scoprire se fosse veramente quello il mio futuro e che cosa mi riservasse.
Chuck prese per mano la bambina, e io li seguii. Dopo qualche minuto di cammino, arrivammo tutti e tre in un parco, pieno di aiuole e fontane che sprizzavano acqua da tutte le parti. Chuck e la bambina si fermarono a un chiosco dei gelati.
«Ecco qua Sophie, il tuo preferito» disse Chuck, porgendole un gelato al cioccolato e alla nocciola.
“Piantala”, mi dissi, “è solo una coincidenza. Non è tua figlia solo perché i suoi gusti preferiti del gelato sono uguali ai tuoi, Anne, fai la persona matura”.
La bimba accolse con gratitudine il gelato e sorrise al padre.
«Papà, papà, quando arriva la mamma?» chiese, e sul suo volto si dipinse un’espressione raggiante. Doveva volerle davvero bene, e in quel momento sperai davvero di essere io la persona a cui era indirizzato tutto quell’affetto.
«Tra poco, tesoro» la rassicurò Chuck.
«Papino, mi racconti ancora come vi siete conosciuti?» gli chiese, con aria speranzosa.
Chuck la guardò e sorrise. Era la mia opportunità per sapere se ero io la donna della sua vita.
«D’accordo Sophie» disse, con dolcezza. «Era una bella giornata, una di quelle giornate soleggiate, rinfrescate da una leggera brezza. Avevo appena sedici anni quando la vidi, ma me ne innamorai immediatamente. Era bellissima, era radiosa. Stava camminando nel parco vicino a dove vivevo io, i raggi del sole si impigliavano tra i suoi capelli come piccoli diamanti luccicanti. Me ne innamorai Sophie, e lei si innamorò di me, ma a volte l’amore non basta, e alla fine prendemmo strade diverse e ci perdemmo di vista. Finché, dieci anni dopo, le nostre strade si incrociarono di nuovo».
Lacrime di gioia rigarono il mio viso, quella donna ero io. Era avvenuto proprio così il nostro incontro. Me lo ricordavo perfettamente. Finalmente seppi che il futuro mi avrebbe riservato la più dolce delle sorprese: rincontrare l’uomo che amavo da sempre e avere da lui una bambina bellissima. Non potevo desiderare di meglio. Ma c’era qualcosa nei suoi occhi. Nonostante tutto, mi sembrava di scorgere un velo di tristezza. Era possibile che noi, insieme, nel futuro, saremmo stati infelici?
«Mi piace tanto questa storia papà!» disse Sophie, con un sorriso.
«Sì, tesoro, piace tanto anche a me».
Chuck guardò la bambina con affetto, finché la sua attenzione non fu catturata dall’arrivo di una donna. Sophie guardò nella stessa direzione.
«Mamma!» disse.
Mi asciugai le lacrime. Avrei visto me stessa nel futuro e quello mi spaventava parecchio, ma allo stesso tempo mi eccitava molto. Mi girai.
Quella donna. Io… lei… Io non ero lei, lei non era me. Lei era bionda, con gli occhi azzurri, mentre io ero mora, e il suo viso era totalmente diverso dal mio. Non ci potevo credere, mi ero solo illusa, mi ero illusa di poter far nuovamente parte della vita dell’uomo che amavo. Ma perché il loro primo incontro era uguale al nostro? Non l’avrei mai saputo, ma il futuro parlava chiaro, non avrei più fatto parte della sua vita. Ero senza parole, volevo solamente andarmene da tutto quello. Perché era successo a me? Perché? Volevo urlare, ma dalla mia bocca non usciva nulla. Scappai da quel parco il più in fretta possibile, e mi rintanai nell’atrio di una casa, cercando di calmare i singhiozzi. Il mio corpo era scosso da leggeri tremolii. A mano a mano mi calmai, e poco dopo sprofondai nel buio.
Aprii gli occhi. Cercai di riadattarli alla luce, e mi guardai intorno. Mi alzai di scatto. La mia camera! Non ci potevo credere, ero di nuovo a casa mia! Corsi verso il calendario, solo per avere la certezza di non essere più nel futuro: 23 Giugno 2013. Il giorno dell’esame! Tirai un sospiro di sollievo, allora ero ancora in tempo. Ma che cos’era successo? Era stato un sogno o una specie di visione? Forse non l’avrei mai saputo.
Tornai a casa, stanca, ma anche soddisfatta per il risultato raggiunto quel giorno. Mi ero laureata con centodieci e lode, ed ero tornata a casa tra gli applausi entusiasti dei miei amici e della mia famiglia.
Mi sdraiai sul divano, e chiusi gli occhi, per potermi rilassare un po’. Ripensai a tutto quello che mi era successo la notte passata. Non riuscivo a spiegarmi il perché di tutto ciò. Avevo avuto la possibilità di poter assistere al futuro di una delle persone che più amavo solo per soffrire? Oppure era una specie di segno, di avvertimento. Avrei dovuto solamente stare a guardare passivamente il destino di Chuck, o forse avrei dovuto reagire? Forse per questo Chuck non era del tutto felice nel futuro, forse perché in quel possibile futuro noi non eravamo insieme.
Si parla sempre di destino, ma che cos’è il destino se non l’insieme delle decisioni che prendiamo?
Attimo dopo attimo, noi costruiamo il nostro destino. Siamo noi gli artefici delle nostra vita. Lo sono le nostre scelte, i nostri ripensamenti, i nostri rimorsi. Che cosa può esserci di più spaventoso del fatto che, con ogni nostra singola azione, stiamo decidendo la nostra stessa vita, il nostro stesso futuro? Come ci si può sentire così potenti e allo stesso tempo terrorizzati di fronte a tutto ciò?
Allora, forse, quello che avevo avuto la possibilità di vedere era un invito, era una specie di grido interiore che scaturiva dalle profondità della mia anima e che mi diceva che ero ancora in tempo per fare la scelta giusta, ero ancora in tempo per cambiare il mio futuro. Noi abbiamo il libero arbitrio nella nostra vita. Che cosa ci può essere di così terribilmente pauroso e allo stesso tempo mostruosamente meraviglioso? A volte non ci soffermiamo abbastanza sul significato di queste parole. Libero arbitrio. Ci viene data la possibilità di scelta, la possibilità di fare del bene, ma anche del male. Noi non viviamo passivamente, non siamo solo delle pedine che seguono ubbidienti passo per passo il proprio destino, senza fare nulla. Noi abbiamo il diritto di fare qualcosa, abbiamo il dovere di fare qualcosa, di costruire le nostre vite.
In quel momento capii che era venuto il momento di sconfiggere la paura di fallire, di mettermi in gioco, e di abbattere il muro di orgoglio che mi aveva tenuta per troppo tempo distante da lui. Lo avrei chiamato, e sarei andata in capo al mondo per trovarlo, non ne avevo dubbi. Se la nostra vita è nelle nostre mani, allora perché non viverla al meglio? Perché non rischiare, anche con la paura di fallire? Perché non rischiare, inseguendo ciò e chi amiamo?
Perché è proprio l’amore che deve indirizzare le nostre decisioni, è proprio l’amore che renderà il nostro futuro un futuro meraviglioso.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010