Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

La delicatezza della cosa umana

da Trainspotting di I. Welsh e Ragazze interrotte di S. Kaysen

Il corpo intelligente della donna è la gola degli uccelli canori della giungla.
Questa è una massima di Volodja.
Per tutti è Volodja il grande (nessuno di noi ha letto Cechov, ma Volodja sì quando stava a Pietroburgo), e questo per lui è un magno, per gli altri in sostanza si riferisce al suo aspetto.
Volodja è un russo, italiano d’adozione, esce da un libretto romantico e mediocre, con la sua bellezza da nobile amante dell’orticoltura avanguardistica.

Io non sono una donna dal corpo intelligente, ma anzi è proprio un corpo di una fisicità grossolana e impietosa.

Siamo tutti “a casa di Lei” e ci stanno spaccando le ossa. Dico noi, io e Gabe, ma è lui quello in astinenza. Mia madre ce l’ha con Gabe.

Lei è la mente. Noi siamo così persi che non usiamo nessuna droga, che ci basta il pensiero solo; non possiamo dormire soli. “A casa di Lei” è uno scherzo, è un gioco, significa stare in paralisi e terrorizzarsi. Qualcuno, Calcante, ha fatto esperienza di manicomio. Godeva troppo della paura: stava la sera nel letto, con le orecchie tese all’allucinazione, pronto a sentirla… Poi una notte i suoi pensieri avevano un’eco spaventosamente cristallina. Non c’è stato farmaco né dottore: dopo il colpo iniziale, le voci si sono fatte indovine e Calcante non era terreno fertile per i medici. Si sentiva eletto! (Può darsi che anche lui abbia letto Cechov). In generale siamo tutti malati.

Questo è quello che è successo ieri.
Gabe e io (c’era anche Milena) abbiamo dormito in auto. La notte era dolcissima, un carnevale di buio e luce. Sono uscita e ho chiamato Vladimir: «Volodja…». «Mio tesoro, ti raggiungo domani. Tu sei stanca? Io sogno un’alba senza sole, non voglio più dipendere né vedere dipendenza».
«Ma come dici? Non ti sento, quale sole?».

Volodja oggi è arrivato come un tornado e ha turbato il nostro equilibrio. Gabe fuma nella vasca da bagno vuota mentre il sole è al suo culmine. Il prato è immerso nelle margherite e dà sul mare. «Questa non è certo Villa Borghese…» mugugna Vlad guardando i muri.
«E tu non sei certo Miller» tossisce Gabe.
«Qualche pidocchio però ce l’ho anche io».

Volodja e Milena sono amanti da tempo.
Il nudo scheletro di Gabe cucina nell’angolo e non so cosa fare se non passargli ora l’accendino ora la siringa. Volodja ha in mano il suo articolo e ce lo legge a voce alta con Milena sdraiata sul tappeto, tutto si confonde, le frange e i suoi capelli.
«Ho visto il film […] e ho pianto. E non sono le barbe sfatte, l’orrenda bellezza della verità né quei monologhi santi la causa…». Va un po’ avanti su questi toni, poi a tradimento, lascia sospesa un’altra delle sue massime: «Non siamo capaci di sopportare la possanza dei sentimenti… possiamo solo ammirare la delicatezza della cosa umana».
«Si adatta proprio al film» dice Gabe. «Si adatta alla vita perché è la vita!» Ma non so da quale parte mi escano le parole, infatti Volodja mi guarda come stupito.

Calcante ci ha detto che, se ci pensiamo, quando ci fissiamo su una parte del nostro corpo, poi sembra dolerci o pulsare. Questo accade alla mente. Ho provato a non pensare ai rumori immaginari, ma quando lo faccio accade il contrario…

Abbiamo scelto l’apatia per mancanza d’opportunità. Buonanotte, hai voglia a sperare in un riscatto, siamo eroi in potenza, ma senza volontà.

Gabe e Vladimir sono sulla spiaggia, fermi con le caviglie nell’acqua (le caviglie di Gabe sono piene di buchi). Milena mi è seduta di fianco e ha un costumino sensazionale. «Questa è una giornata formidabile per i pesci banana!». La guardo a bocca aperta: certe cose accadono solo nei sogni, Milena ha la terza media e io dubito pure che sappia leggere…Poi capisco! Deve averglielo detto Volodja per prenderla in giro. Chissà in che occasione…

Vivacchiare costa. E pure liberarsi dalle sovrastrutture. Calcante è assunto da una casa farmaceutica polacca o lituana, è un uomo cavia. Una volta ci ha portato delle pillole portentose e Vlad ha sacrificato il gatto sull’altare di Apollo. Gabe è un aiuto macellaio, va a prendere la carne al mattatoio (il capo lo chiama Kurt, è un capo colto). Volodja ci mantiene tutti, è l’agente di Milena. Diciamo così. Abbiamo un fondo comune da cui attingiamo in continuazione.

Vladimir esce dall’acqua, è una visione. Non ho mai visto il cielo così brillante. Siamo quattro cani sciolti che prendono il sole. Ora aspettiamo che cali la sera senza muovere un muscolo. «Stiamo perdendoci» dico. Non ottengo risposta, ed è un silenzio consapevole e colpevole.
La società è spaventosa.

Questa sera siamo “a casa di Lei”. Per sostenerci abbiamo comprato litri di vino. Vlad è nel pieno di una riflessione ubriaca «Erano bei tempi quelli dell’ignoranza… Uno scriveva una qualsiasi cazzata, che so, nel Seicento, e aveva subito la fama di letterato e un posto nelle antologie della scuola media. Ora scrivono tutti e scrivono male e scrivono cose che sono abomini. L’alfabetizzazione è il cancro della cultura». Parole sante, parole sante… siamo tutti d’accordo con lui. Sprofondiamo nella paura.

Ho conosciuto Gabe che andavamo alle superiori. Era sconvolgente, la sapeva più lunga di tutti, era un uomo finito, un adoncino. Quando traduceva il greco era fatto ad acido e venivano fuori brani bellissimi, a metà tra classico e fantascientifico, linee pure, innesti semantici impensabili.
E dunque infatti, egli (stesso), come colui che mira l’orizzonte di chi fugge, si erse, insignificante e limaccioso, gli crebbero funghi ed eritemi sparsi, brillio di luci allora, altra non fu la sua cura!
Ci perdemmo di vista quando scappò insieme alla sua donna drogata.
Io quante volte ho avuto la finestra pronta al balzo… Avrei voluto fare il medico, ma il mio corpo è infido e mi tradisce ed è stata tutta colpa di quella maledetta canna (mai scoprirò cosa mi sono fumata) e ora ho l’animo scisso. Ricordo pensieri parassitari come germi, come laide bestioline nel mio cranio, che panico inesprimibile.
Dovevo ascoltare la mamma.

Siamo in macchina e dobbiamo tornare a Milano. I palazzi ai lati della tangenziale espellono attraverso i pori persianati massaie e giovani figli dalle velleità d’annunziane. I capelli di Milena sono elettrici e gravi, lei, incurante, canta Le foglie morte di Prévert con il piglio malinconico di Montand. E d’un tratto, da quelle note sillabate senza grazia, io capisco sgomenta il tardo antico orrore del vuoto che infetta l’umanità intera e mi dico: noi abbiamo ancora posto per l’imperfezione, per le foglie dell’autunno, per la redenzione.
Ultimamente vanno forti le apologie.

Estate.
Non siamo del tutto morti.
Calcante ha una casa in campagna circondata da colline piene di passeri. Il portico posteriore dà sulla terra bruciata e incolta, un po’ Vecchia America. Milena è stata ammazzata, pestata come sale. Portiamo il lutto come possiamo, in fondo ognuno è per sé. Abbiamo un nuovo amico, l’ha portato Volodja che finalmente si è confessato con noi (facciamo le veci della sua coscienza perduta).

Oggi è il primo di agosto e la campagna non è mai noiosa: un rivolo che scende dalla collina, i cespugli dietro cui cade la notte lentamente, la Luna che illumina l’erba nera, il coniglio decapitato trovato sul letto di Vlad.

Pratt è un pittore sifilitico e, siccome gli piaccio particolarmente, sono incaricata di fargli spugnature continue sulle piaghe. Allucinati sono i discorsi che fa con Calcante (Pratt è schizoide per la malattia), l’altro giorno erano due Messia rivali, noi il loro seguito di ebrei assassini.

Quello che cerco di dirvi… non è che siamo cattivi o degenerati, siamo molto inadatti. Adatti solo a noi, alle nostre inettitudini emotive, che cosa si pretende?
Non sappiamo più come ci si senta davanti a un uccello morto. Siamo debolmente forti, siamo senza tono. Come ha detto Volodja, siamo cose.
E possiamo solo ammirare la delicatezza della cosa umana.


»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni

Copyright © 1999 - Comitato per Sofia - Tutti i diritti riservati.
Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010