Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
11ª edizione - (2008)

Gli idilli di Nadja e Andrč

Lui: Mi perdoni, signorina, saprebbe per caso indicarmi un negozio dove si acquistano cravatte a pois?
Lei: Oh, beh, non saprei… che tipo di pois?
Lui: Ovviamente bianco su nero, pois bianchi molto grandi e distanziati tra loro. Ma smetterò di infastidirla con tali bazzecole non certo meritorie della sua attenzione.
Lei: Oh, la mia attenzione! Le assicuro che per catturarla sono sufficienti pochi pois sparsi su un sottile trapezio di stoffa; se non le sembro impertinente, la accompagno.
 Erano due ragazzi fuori moda, con un tocco di cortese sciatteria: Lei con un cappotto improbabilmente largo, aperto su una candida camicia un poco stropicciata, Lui vestito di blu dal giubbotto ai mocassini.
 In una Milano del ventunesimo secolo era cosa quantomeno inconsueta udire un sedicenne e una diciassettenne darsi del lei, anche se completamente estranei; tuttavia essi non notarono alcun anacronismo, nessuna bizzarria.
 Egli studiava la propria camminata, atteggiava ogni passo mantenendo comunque una spontaneità per lui inusitata nello sguardo e nel linguaggio; vagamente stupito dalle non poche peculiarità che riscontrava continuamente con quella ragazza eccentrica, eppure così familiare, dosava le impressioni affinché non lo travolgessero; necessitava di un ordine mentale che da quella passeggiata era lontano anni luce.
 Ella sentiva le pulsazioni interiori di un sismografo, eccitata com'era allo svolgersi di quell'incontro; compiaciuta dal proprio fascino e dall'appagata vanità veleggiava verso il porto della felicità, riconoscendo di essere quasi totalmente debitrice di questa al ragazzo comparso dal nulla.
 La ricerca smodata della cravatta non ebbe buon esito: erano troppo presi dai loro stessi desideri, da punti di contatto insperati, da un' impercettibile soggezione dell'altro.
Lei: Un caffè?
Lui Un tè.
 Il tavolino del bar era così stretto che i loro capelli si sfioravano lievemente fino a fondersi in un castano dalle sfumature quasi identiche. Disquisivano di musica: inevitabilmente si scordarono delle tazze fumanti i cui bordi si toccavano davanti a loro. Talvolta seguitavano a darsi del lei in tono canzonatorio, ma erano passati perlopiù a una stretta confidenza.
Lei: Stai rovesciando tutta l'acqua! Lascia che la bustina si dissolva liberamente e formi quei cerchi nebbiosi che tanto m'incantano!
Lui: Guarda la punta del tuo nasino, piuttosto! Posso avere l'onore di levar con un dito la  macchia di caffè? Oh, che occhi dorati!
 La pressione esercitata sul visetto della fanciulla somigliava ad un goffo tentativo di carezza, al quale Lei non poté esimersi dal sorridere; un'ora dopo lo scontrino presentato da un impacciato cameriere troneggiava abbandonato su quella tovaglia angusta, e i due, ormai lontani dall'affollamento del locale, si sostenevano l'un l'altra tra le risate, stanchi per la folle corsa che li aveva resi complici del furto.
Lui: Pomeriggio decisamente gustoso…
Lei: Insolito, certo, anche per me. Arrivederci?
Lui: Addio per sempre?
Lei: Non direi…
 Tutto a un tratto vedo una donna giovane, che a sua volta mi vede o mi ha visto. Va a testa alta, al contrario di tutti gli altri passanti. Così fragile che, camminando, pare appena poggiare sul terreno. Un sorriso impercettibile erra forse sul suo volto. Curiosamente truccata col bordo degli occhi nerissimo. Non avevo mai visto degli occhi come quelli. Senza esitazione rivolgo la parola alla sconosciuta, pur attendendomi, ne convengo, il peggio. Sorride, ma in maniera assai misteriosa e, direi con cognizione di causa, benché allora non potessi crederci.
 Ci fermiamo al tavolo di un caffè. La guardo meglio. Che cosa è mai che traspare di così straordinario in quegli occhi? Che cosa vi si rispecchia oscuramente di sventura e luminosamente d'orgoglio?

***
Lei: Non mi piacciono le rose rosse.
Lui: Nemmeno quelle lilla?
 Ella strinse il gambo di quel curioso innesto di rosa bianca che sfumava in un indaco sbiadito. Ne staccò le foglie, una alla volta, tenendole in una mano. Il gambo cadde, la corolla rimase nella sinistra. Camminarono così a lungo, in un silenzio innocente lontano da qualsiasi imbarazzo.
Lei: Ho dubitato a lungo sull'appuntamento di oggi. Ho paura. E se io non fossi venuta?
Lui: Avrei avuto paura. Ne avevo anch'io, sai?
Lei: Theda Bara nel suo primo lungometraggio stritolava i petali delle rose regalatele dai suoi amanti; non ho mai percepito la bellezza del mondo se non con te. Non sarò per te la squallida imitazione di una vamp, non sarò un'attrice con te, conosco ora la bontà. È ancora incomprensibile il magnetismo dei nostri sguardi, ma non voglio penetrarne il mistero. Non avremo fine, prometti?
Lui: Prometto. Ancora una volta qualcosa che non è da me.
 Lei gettò nel cielo le foglie che li colpirono come grandine, e non appena si furono sparpagliate baciò delicatamente la rosa, poi la ripose in una tasca enorme spuntata inaspettatamente dal bizzarro cappotto.
Lei: Sì, quelle lilla mi piacciono.
 Che fare intanto se non la vedo? E se non la vedessi più? Non saprei più
Viene avanti come se non volesse vedermi. Come il primo giorno, torno sui miei passi insieme con lei. Mantiene nei miei confronti certe distanze, si mostra persino sospettosa. Confessa che aveva intenzione di non venire all'appuntamento concordato.
 Un conflitto sembra svolgersi dentro di lei, ma improvvisamente si abbandona, chiude completamente gli occhi, offre le labbra… mi parla ora del potere che ho io su di lei, della facoltà che ho di farle pensare ciò che voglio, forse più di quanto io non creda di volere. Mi supplica di non far nulla, giovandomi di tale potere, contro di lei. Le sembra di non aver mai avuto segreti per me, già da molto prima di conoscermi.
***
Lei: Che cos'hai?
Lui: Niente.
Lei: Oh, mio insensato amore. Goditi la brezza, pensa alla serata, a questa leggerezza tra gli scorci campestri, mi piace la tua casa, questo piccolo paese così lontano da Milano è delizioso, sembra tutto perfetto qui, ma poi… la tua assenza!
 Egli restava in silenzio; l'occasione di un concerto in un locale vicino alla sua realtà quotidiana l'aveva costretto a cedere alle continue richieste della ragazza di curiosare nel suo mondo; ma il fatto che lei insistesse tanto per entrarvi, anche solo per una sera, lo indisponeva alquanto. I pettegolezzi, la rapidità con cui i volti nuovi venivano conosciuti da chiunque, gli sguardi indagatori dei suoi compaesani avrebbero certo spezzato l'idillio che vivevano, e forse ella avrebbe avuto pensieri sgradevoli.
Lui: Detesto questo posto.
 Voltava il viso, evitava gli occhini umidi dell'amata. Temeva il giudizio della ragazza ammirevole che costituiva il fulcro di tutte le sue fantasticherie, la fuga dal luogo atroce in cui era nato.
 Lei corse avanti, entrò in un'edicola campagnola che raffigurava una Madonna bellissima. Ai piedi dell'immagine era posta una rosa, lilla come il primo fiore che Lui le aveva donato. Pianse, a lungo, lo attese, si strinse bambina al suo petto, sollevò infine il viso rasserenato.
Lei: Ti vedo in quel sole, in quel tramonto, dal tetto della mia casa. Non siamo lontani, sai? Ti conosco da sempre.
Lui: Sono qui, sono qui. Che meraviglia!
 Ce ne andiamo per le strade, uno accanto all'altra, ma molto separati. Può forse arrestarsi questo irrefrenabile inseguimento? Inseguimento di che cosa, non so, ma inseguimento, visto che mette in opera tutti gli artifizi della seduzione mentale. Chi eravamo noi di fronte alla realtà?
***
Ferragosto, un sentiero polveroso. Le candide scarpine della fanciulla si inzaccheravano tra un saltello e l'altro, mentre Lui la rincorreva e la raggiungeva in quelle puerili competizioni che li sfinivano.
Lui: Guarda! guarda là!
Lei: Oh! Andiamo, corri!
 Una splendida casa in costruzione si ergeva al centro di quel campo assolato. Tra la vita e l'abbandono, l'unica certezza dei due dinanzi a quella dimora era la sospensione del tempo: un beato nulla aleggiava nei loro pensieri. Sventrarono la fragile porta, costituita da poche assi di legno, e piombarono tra macerie e scatoloni. Frugarono ogni angolo, con la sottile ingordigia dei ladri; Lei correva nelle stanze, spalancava porte e finestre, esplorava i pochi mobili e le anticaglie barocche in essi contenuti. Lui rallentava un po', a tratti titubante, cercava di trattenerla, di non fiatare. Ma ben presto desistette e corse sulle scale, impaziente di aprire la finestra sulla terrazza che aveva visto dall'esterno. Insieme rimasero sbalorditi: stralci di verde avevano raggiunto il balcone prima di loro, e con la tenacia dei rampicanti avevano posseduto la calce. Cadaveri di foglie uccise dalla grandine giacevano tra calcinacci e frammenti di tegole: evidentemente dopo la fabbricazione la veranda non era ancora stata ritoccata.
 Ai loro piedi la devastazione dell'incuria, sopra di loro semplici colonnine doriche incorniciavano l'universo.
Lei: È un palcoscenico allestito! Inconsapevoli attori, oggi reciteremo per il cielo!
Lui: Non vedrà mai più uno spettacolo simile. Oggi è la nostra casa, cara, il nostro mondo fantastico. Ma solo per oggi.
 Cerca qualcosa, insiste perché entriamo in un cortile, un cortile qualsiasi, che esplora rapidamente. C'è a destra, più in basso, una finestra dalla quale lei non riesce più a staccare gli occhi. Non risponde quasi più alle mie domande. Rinunciando a insistere, mi decido ad attendere che riprenda il cammino spontaneamente.
Scivola, brucia, sprofonda nel brivido di erbe folli delle sue barricate, nel sogno dei tendaggi delle sue stanze dove un uomo e una donna continueranno indifferentemente ad amarsi.
***
Lei: Ho letto un libro di André Breton. Le nostre frasi, le tue parole…
 Da dove la prendi questa immagine che si trova espressa quasi nella stessa forma in un libro che non puoi conoscere e che io ho appena letto?
Lui: I tuoi passi erano straordinariamente simili a quelli di Nadja, mi rileggevo così in quella storia, in quell'amore, come il nostro, surreale nel suo raccontarsi ma vero nel suo dispiegarsi, e tuttavia impregnato delle nostre personalità visionarie, dei nostri luoghi onirici, di te, ingenua e matura essenza della mia vita, eterea e inafferrabile come Lei…
Lei: Nadja è stata internata… la credevano pazza, e Andrè non l'amava.
Lui: Solo l'amore nel senso in cui io lo intendo - dico il misterioso, l'improbabile, l'unico, lo sconvolgente e indubitabile amore - quale forse può essere solo se è a tutta prova, avrebbe consentito il compiersi del miracolo.
 Così non è stato per loro, ma sarà per noi.
Lei: Scriveremo insieme il nostro libro, la nostra arte?
Lui: Non è necessario che la scriviamo, la conosciamo già.
 Questa è la storia che anch'io, quando ancora ti conoscevo appena, non ho resistito all'impulso di raccontare a te.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010