Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

Fuori dalla porta c’è sempre un domani

Mi giro e mi rigiro nel letto, ma, come al solito, il dolore alla spalla destra mi lacera, non riesco ad addormentarmi, fuori c’è il sole, ormai l’estate si sta avvicinando, eppure io sento tanto freddo sotto queste coperte invernali.
Forse dovrei alzarmi tanto il sonno è già passato, così apro gli occhi, me li sento gonfi per le tante lacrime versate. Appoggio i piedi sul pavimento caldo, le tubature dell’acqua passano adiacenti al parquet di camera mia, accendo la luce posizionata esattamente dietro lo schienale del mio letto, una luce forte, mi sento come se mi stesse bruciando gli occhi, accecata cerco la maniglia della porta, con la speranza di trovare la forza per potermi alzare, ma le mie gambe non reggono e scivolo a terra.
Di tutto il corpo sono in grado di muovere soltanto gli occhi, però, non ce n’è bisogno, lo specchio davanti a me quasi mi chiama e io, senza dire parola, rispondo. Il mio riflesso mi spaventa, ma è un terrore che conosco alla perfezione, ormai, da sei anni a questa parte, il labbro inferiore mi sanguina e quel colore rosso così intenso gocciola, lentamente, sulla mia maglietta bianca, l’occhio sinistro ha già preso un colore giallognolo che mi ricorda l’ombretto oro che usavo per uscire la sera con le mie amiche prima di conoscerlo. Il sopracciglio destro è ferito, la cicatrice non si è ancora formata del tutto…
E come odio quel livido sul collo, anche se fuori fa caldo sono costretta a uscire con la sciarpa. Odio lo sguardo della gente, non sopporto le loro domande e non capisco il motivo per cui tutti mi fissano ogni volta che metto piede in strada. Continuo a specchiarmi e a guardarmi intorno, sento ancora quel richiamo proveniente dalla lastra appoggiata sulla parete di fronte, sicuramente oggi è un giorno particolare, poiché scelgo di aprirmi, quel viso rattristito e pieno di lacerazioni davanti a me mi ispira fiducia e io inizio a parlare.
La prima volta quasi non me la ricordo, avevo circa ventidue anni, è stato tutto molto veloce, rapido, ma il momento dopo, in cui ero accasciata sul tappeto della cucina, non passava più. Dopo le urla, era calato il silenzio; ricordo che Lui puliva con lo strofinaccio le tracce di sangue sul tavolo e, più sfregava, più io mi raggomitolavo in posizione fetale, posizione che mi riportava a una sensazione di protezione e avvolgimento materno, mi rilassava e io mi sentivo al sicuro; poi, mi sono alzata, dovevo apparecchiare la tavola, cercavo di essere il più silenziosa possibile, pensavo che, se fossi stata muta e mi fossi comportata bene con Lui, non l’avrebbe più fatto; mi asciugai il sangue che mi colava dal naso e mi misi a cucinare per Lui.
Dopo la nona o la decima volta in quell’anno, mi sembrava ormai totale routine e io, nonostante la sofferenza e i duri colpi, continuavo ad amarlo, sapevo che Lui ricambiava. Ogni tanto mi portava dei fiori e mi faceva le sorprese, una volta mi ha portato perfino fuori a cena, ma solo quando le ferite si cicatrizzavano, così non davamo nell’occhio e sorridevamo, sembravamo felici.
A un certo punto, però, qualcosa è cambiato: sentivo più il terrore di potermene andare da questo mondo rispetto al piacere di stare con Lui.
Ogni volta che ascoltavo le sue grida fuori dalla finestra, il cuore mi si fermava, sentivo come se le pareti di quella buia casa mi cadessero addosso e non mi lasciassero lo spazio sufficiente per cercare ossigeno e sopravvivere, i suoi passi goffi e pesanti mi rimbombavano in testa come le lancette di un orologio a tempo, non trovavo la voce neanche per riuscire a urlare.
Nonostante tutto questo odio, amore e dolore che sto esprimendo in queste poche parole che non riescono ad abbracciare tutte le sensazioni che sono dentro questo cuore ormai infranto, tu non mi rispondi.
Sto imparando a riconoscere questo vuoto che mi divora da dentro, ma non riesco a fermare Lui; ieri sera ho provato a minacciarlo, ma ha continuato e continuato per ore, ecco perché sono qui a parlare con te e, ancora una volta, non trovo la forza di alzarmi per andarmi a sciacquare questo viso sporco, il mio corpo non regge, ma è la mia anima quella che, urlando, sta chiedendo aiuto.
Perché non rispondi? Mi sto raccontando a te e non hai nulla da dire, non sai fare altro che guardarmi con quelle lacrime insanguinate, parlami! Parlami di quel giorno, immagina insieme a me il momento in cui tutto sarà diverso, narrami di quella favola lontana nella quale io potrò sorridere, quel felice futuro che ogni notte bussa alle porte dei miei sogni ma che, ieri sera, non è riuscito a entrare.
Se penso al mio presente, mi spavento, sento che è un labirinto la cui uscita è troppo lontana e io non posso raggiungerla, dammi un’alternativa, regalami un mondo da idealizzare che mi faccia fuggire da questo incubo presente e permanente.
L’unico sogno che mi permette di sorridere, nonostante i tagli in bocca, è quello di potermi proiettare in un futuro, un futuro migliore, dammi la forza per poter aprire quella porta che è tanto pesante da stancarmi ogni volta che ci provo.
A volte mi capita di pensare al mio domani, vorrei tanto poter avere un bambino, un bambino che cresca e che un giorno possa difendere la sorellina più piccola, io non ho mai avuto un fratello che mi proteggesse, neanche dei genitori, a dir la verità non ho mai avuto accanto nessuno, soltanto Lui che, anno dopo anno, non ha fatto altro che prosciugarmi. Mi piacerebbe avere una famiglia e uscire ogni giorno quando c’è il sole per poterlo guardare senza gli occhiali, senza foulard, poter crescere i miei piccoli e tenerli in braccio senza aver paura che l’ennesimo gesso al polso possa farli cadere.
Chissà che sensazione è quella di essere amata, ma essere amata veramente come nei film americani, preferirei solo che l’uomo della mia vita non mi portasse mai un mazzo di fiori, Lui lo fa sempre dopo avermi malmenata, quando si sente in colpa, l’odore delle margherite mi fa venire il voltastomaco.
Mi piace sognare e passare le giornate a pensare a quel domani lontano, vorrei che tu potessi venire con me, almeno non sarei da sola ad affrontare tutto questo, potresti accompagnarmi in questo nuovo cammino e sai, ora che te ne sto parlando, sento che questo distante futuro è sempre più vicino, posso quasi sfiorarlo, sento una forza dentro che mi fa camminare, ma non posso correre se tu non vieni con me.
L’idealizzare in continuazione questo prossimo domani porta l’essere umano a voler rincorrere quel giorno, trasformando così quel presente che tanto lo spaventa.
Come disse Stephen Littleworld: il futuro è di chi ha il coraggio di agire ora.
Le mie parole terminano qua, il mio battito aumenta poco a poco, punto gli occhi fissi alla donna seduta davanti a me, incastrata in quella cornice color porpora; il suo viso cambia colore, arrossisce, le ferite e i lividi scompaiono lentamente dalla sua pelle rosea, dagli occhi iniziano a scendere lacrime luccicanti e trasparenti, pare abbiano un significato diverso, finalmente, una lieve smorfia sta sporgendo sul suo viso, mi sorride e io ricambio.
Mi sento strana, forte, osservo per l’ultima volta quella camera che ora, non so perché, ha un colore diverso, poco a poco mi alzo, mi appoggio al muro, dai! L’ultimo sforzo, rimango in equilibrio, soddisfatta, mi vesto, cambio la maglietta bianca macchiata. All’improvviso sento caldo, la luce della stanza non mi infastidisce più, appoggio sul mobile del mio letto gli occhiali da sole, conto fino a dieci e apro la porta, la luce è sempre più forte, quasi mi acceca, ma non mi importa, ecco il primo passo, poi l’altro e comincio a camminare.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010