Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Ragazzo dal panciotto rosso - di Paul Cezanne, 1888-1890, olio su tela

Sono comodamente seduto sullo sgabello di legno di quello che io sono solito chiamare il mio studio.
Si tratta in realtà di quella che era la mia stanza da bambino. Le pareti sono ancora tinteggiate dell’azzurro tenue che mi ha sempre ricordato il colore del cielo, tanto che quando calava la notte ero convinto che anche le mura intorno a me si scurissero come a volermi accompagnare tra le braccia di Morfeo.
Forse questa mia fantasiosa convinzione era dovuta anche alle scure tende che coprivano l’ampia finestra della stanza, ma che mia madre soleva tenere sempre chiuse e che mi davano sempre un senso di soffocamento.
Una luce intensa entra da quella finestra pur essendo autunno, mentre un tempo solo flebili raggi di sole riuscivano a sfuggire dall’ombra delle tende.
Non è grande come stanza, in quanto inizialmente era destinata solo a me, ma successivamente si dovette aggiungere un altro letto per mia sorella. Ha una forma rettangolare che si sviluppa lungo la sua larghezza e si trova all’ultimo piano dell’elegante appartamento parigino in cui vivo.
Questo si trova nel centro della città, vicino agli Champs Élysées e per questo non è da considerarsi propriamente una zona tranquilla. Vi sono sempre rumori: vociare di persone che passano a ogni ora del giorno e della notte, il rumore delle carrozze e il pesante passo degli zoccoli dei cavalli.
Dalla sua posizione centrale ne deriva anche l’intenso odore delle fabbriche industriali, tanto che la mattina, all’alba, è possibile vedere gli operai, uomini, donne e persino bambini, dirigersi al loro posto di lavoro. La stanza però è caratterizzata dal forte odore di tempere, riposte accuratamente sulla mensola dietro alla tela, mia postazione di lavoro.
Michelangelo è seduto su una delle poltrone di velluto verde che sono recentemente entrate a far parte dello spoglio arredamento del mio studio. Un tavolo è posizionato davanti a lui, così da permettergli di appoggiarsi e stare più comodo. Ho conosciuto da poco questo giovane ragazzo italiano e l’ho già ritratto in un paio dei miei quadri. È alto per avere solo diciannove anni.
Io, alla sua età, ero di almeno dieci centimetri più basso di lui e me ne facevo un grande problema.
In realtà sono sempre stato più basso della media e questo mi faceva sentire diverso. Quando ero con gli amici o in giro per la città ero convinto che tutti mi guardassero. Col senno del poi credo fosse solo un modo di esternare la mia sensazione di inadeguatezza: sapevo di essere diverso dai miei coetanei, ma non capendo realmente in cosa, pensavo si trattasse semplicemente di una mancanza fisica.
Michelangelo invece non sembra un ragazzo che si fa certi problemi.
È pallido, certo, ma di un pallore quasi regale che sembra valorizzare il suo viso angelico. Ha una corporatura slanciata, in quanto è piuttosto magro; il viso, al contrario, è paffuto e ovale. Solitamente è solare e luminoso, ma oggi pare imbronciato in una smorfia singolare. Gli occhi sono marrone chiaro e trasmettono tutta la vitalità tipica di quell’età che mi appare ormai tanto lontana.
Oggi però quegli stessi occhi sembrano diversi. Sono fissi su un punto indefinito dello spazio davanti a sé. Non lancia, come fa sempre, furtive occhiate nella mia direzione, sintomo della sua curiosità verso il mio lavoro. Sembra non accorgersi della mia presenza, pare vagare con il pensiero in altri momenti, forse passati, forse futuri. Pensa all’infanzia passata in Italia con i suoi fratelli. Ai giochi in cascina o alle corse per la città. Pensa alla spensieratezza legata alla possibilità di sognare senza paletti preimpostati o forse ricorda del suo primo bacio all’amica di sua sorella.
Com’è che si chiamava? Anna, forse. A quell’emozione di sentirsi grande e alla voglia di esserlo veramente, aspettando un segno, qualcosa, qualsiasi cosa che lo confermasse. Pensa al passato, forse.
Magari invece pensa al futuro. Al futuro che pare tanto lontano, ma forse poi non così tanto.
Al giorno in cui tornerà in Italia, riabbraccerà la sua cara madre per scoprire che nemmeno le rughe intorno agli occhi possono renderla meno bella.
Forse pensa al giorno in cui scoprirà che tutte le sue fatiche verranno ricompensate. Scoprirà che è servito fare da modello ai pittori perché così ha potuto imparare l’arte e magari un giorno qualcuno si complimenterà con lui riempiendogli il cuore di fierezza.
Forse però pensa al giorno in cui scoprirà l’amore, quello che ha letto nei libri o immaginato tra le pennellate di un quadro. Magari immagina quel giorno, fantasticando sulle fattezze di lei e preparandosi qualche romantica parola da rivolgerle.
Un po’ come quando a otto anni ci si prepara il discorso da rivolgere al bulletto di qualche anno più grande. Lo si prova per ore davanti allo specchio di casa, avendo cura di non farsi sentire dal fratello che sicuramente ti prenderebbe in giro. Ci si prepara delle argomentazioni, con tesi, antitesi e conclusione come ti ha insegnato il maestro. Poi però ti ritrovi il giorno dopo davanti al suddetto bullo senza dire una parola, con il cervello che ha smesso di funzionare e tutto il resto.
Questo è un po’ quello che succede anche col passare degli anni, davanti alla ragazza che ami.
Magari è la stessa cosa che sta succedendo a lui, penso, mentre passo l’ultima pennellata di rosso sul suo panciotto.
Ha sempre degli strani modi di vestirsi quel ragazzo. I pantaloni e la camicia sono dei classici intramontabili nella moda uomo qui a Parigi, ma sono i colori che egli predilige, a sembrare eccessivi.
“Da che pulpito, Paul” mi riprendo da solo.
Proprio io che nei miei dipinti abuso dei colori che spaziano in tutta la scala cromatica. Sorrido, con quello che probabilmente assomiglia più a un ghigno divertito.
A questo punto dovrebbe girarsi, chiedermi che cosa ho da ridere dato che stiamo lavorando da più di un’ora. Non lo fa. Non mi lancia nemmeno un’occhiata di rimprovero.
Chissà a che pensa il ragazzo. Sbuffo infastidito, sciogliendo il sorriso di un attimo prima. Vorrei sapere che cos’ha un ragazzo così giovane da essere tanto preoccupato. Io allora che cosa dovrei fare che ho cinquant’anni?
Mi soffermo ancora su di lui. I capelli, dello stesso colore degli occhi, castani tendenti al biondo, sono lisci, portati lunghi e posti dietro le orecchie grandi e vistose. Il naso aquilino è perfettamente in mezzo agli occhi e la bocca sottile, ma di un rosso intenso, accende il suo volto di un po’ di colore. Le braccia sono lunghe e muscolose, le spalle larghe, ma talvolta curve a dimostrarne l’insicurezza e timidezza. Osservo la sua posa abbandonata sulla sedia e in quel momento vedo una lettera accanto al suo braccio sinistro. Probabilmente l’ha appoggiata lì non appena è arrivato.
Forse una lettera d’amore, forse si era davvero preparato un discorso che non è riuscito a ripetere a voce e che così ha messo per iscritto. La cosa mi fa nuovamente sorridere eppure ricordo bene il periodo della mia vita, o meglio il periodo della vita di tutti, in cui si pensa di avere in mano le sorti del mondo. Forse anche a causa degli adulti che ti ripetono in continuazione: «Voi siete la generazione futura. Spetta a voi il compito di migliorare questo mondo».
Eppure il pensiero di migliorare il mondo non viene mai. Ci sono giorni in cui ti va bene così com’è, altri in cui vorresti che crollasse e basta. Di cambiarlo però non ti senti in grado. Ciò non significa che non speri che esso migliori, anzi fai della speranza la tua migliore amica. Forse è un discorso da incoerenti, ma del resto a quell’età lo si è appieno.
Osservo Michelangelo: vive la vita come se fosse un gioco.
Oggi però deve essere successo qualcosa, qualcosa che non mi è dato sapere. Non credo voglia parlarne con me, ma del resto io cosa potrei dirgli. Ho appena passato i cinquant’anni e ancora oggi non so come interpretare quella che è stata la mia adolescenza.
So solo che è stata e, come la maggior parte delle cose della vita, non tornerà più.
So che quando è finita è stato come svegliarsi da un sogno. Mi è sfuggita dalle mani inconsciamente e senza volerlo. Mi sono ritrovato in un mondo che era sempre stato lì, ma di cui non mi ero mai accorto. E come ogni sogno che si rispetti, col passare del tempo svanisce sempre più, fino a essere solo un lontano ricordo.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010