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17ª edizione - (2014)

Leonardo, il sogno e la visione

Non so se in un futuro tutto ciò potrebbe mai accadere, però quella mattina, appena svegliato, mi ricordavo ancora perfettamente quello che avevo sognato, sembrava tutto così affascinante, così straordinario, ma soprattutto così reale!
Prima di raccontarvi il mio incredibile sogno, devo riportarvi indietro di qualche mese, mentre camminavo sulle rive dell’Arno.
Era un normale pomeriggio autunnale. Da quando mi sono trasferito a Firenze, adoro passeggiare in riva al fiume per osservare la natura e farmi venire nuove idee. Quel pomeriggio avevo molta voglia di incominciare nuovi progetti; il sole era ancora alto nel cielo e io andavo costeggiando le rive del corso d’acqua, quando arrivai in un punto fuori città vicino a una prateria e vidi un piccolo bosco di conifere.
Non l’avevo mai notato prima di quel momento e, in quel preciso istante, un’ombra mi passò davanti, oscurandomi per un attimo la visuale. Mi voltai e vidi un enorme rapace posarsi quasi accanto a me, nei pressi di una conifera lì vicino. Lo guardai attentamente e da quello che osservavo, mi sembrava essere un falco, un falco pellegrino, un esemplare giovane, con le piume sul petto di colore grigio che andavano via via verso le ali di colore marrone scuro.
Era bellissimo, aveva il becco giallo e gli occhi neri fissi. Sembrava una combinazione tra potenza ed eleganza con quegli artigli affilati e la sua postura nobile. Non passò molto tempo che altri due esemplari mi volarono di nuovo sopra la testa, facendomi ombra, però questi non si posarono come il loro compare, ma rimasero in volo. Volavano in modo molto preciso e composto, effettuando dei giri intorno alla boscaglia, quasi come se stessero scrutando qualcosa.
Li guardavo attentamente ma non capivo come potessero stare in volo e soprattutto non riuscivo a intuire come addirittura potessero salire senza muovere le ali e avere dei movimenti così geometrici. Mi fermai a riflettere un attimo. Quello spettacolo mi affascinava moltissimo: quegli animali riuscivano a staccarsi da terra e stare in volo per tutto il tempo che volevano.
Non so, ma quei movimenti mi parevano magici. Certo, a prima vista poteva pur esserlo, ma sapevo che ci doveva essere un meccanismo, una funzione, una spiegazione che poteva permettere tutto ciò.
L’aspetto che maggiormente mi interessava era osservare bene le loro ali e i loro movimenti.
Riuscivo a vedere benissimo come acquistassero velocità sbattendo le ali verso l’alto e verso il basso in modo sincronizzato. A un certo punto sentii un verso dietro di me, era il falco che si era posato e che si stava levando in aria per raggiungere i suoi simili. Fu una fortuna vederlo levarsi in volo perché riuscii a intuire come gli uccelli si potessero staccare dal suolo.
Infatti vidi che prima di distaccare le zampe da terra, agitavano molto velocemente le ali fino a volare via. Nella mia mente avevo già immaginato qualcosa che potesse dare un senso al fenomeno. Ovviamente non sapevo se quello che stavo pensando corrispondesse realmente a ciò che gli uccelli mettevano in pratica.
Li guardai ancora per un po’ fino a quando il sole incominciò a diventare arancione per andare a nascondersi dietro la collina. Intanto i falchi lasciarono il territorio per poi scomparire nella foschia del cielo.
Stava diventando buio e dovevo affrettarmi a ritornare indietro perché quel tratto di sentiero non era illuminato e non mi andava di vagare alla cieca per trovare la via di ritorno.
Affrettai il passo e nella mia mente intanto ripensavo a quello che avevo visto poco prima, non volevo dimenticarmi nulla. Finalmente arrivai nella via di casa mia, via dei Gondi proprio accanto alla piazza della Signoria. La porta di legno del portico era aperta come sempre, quindi entrai e raggiunsi la scalinata che portava alla mia abitazione.
Appena entrai sentii un profumo di minestra di ortaggi misti preparata dalla servitù. Quella sera mangiai in fretta perché non vedevo l’ora di abbozzare ciò che ancora ricordavo della mia esperienza. Una volta consumato il pasto, non persi tempo e andai nella mia stanza a lavorare.
Accesi una candela e, come prima cosa, disegnai le ali, maestose e grandi, con enormi piume che terminavano nella parte posteriore. Le disegnai per prime perché era la parte più importante dell’animale, ciò che gli consentiva di alzarsi da terra.
Mentre disegnavo, cercavo di immaginarmi il meccanismo che poteva avvenire all’interno dell’ala. Così appuntai anche qualche parola di fianco al disegno. Si era fatto molto tardi. Così decisi di terminare quello che stavo facendo, perché la stanchezza e il sonno cominciavano a farsi sentire.
Quando mi sistemai, con un soffio spensi la luce della candela. Da lì il buio e il silenzio fino all’indomani.
Come tutte le mattine mi svegliai grazie alla luce del sole che filtrava dalla finestra. Quella mattina era ideale per continuare il progetto incominciato la sera prima. Appena finii il disegno, mi accorsi che mi mancavano alcuni particolari che mi erano sfuggiti. Volevo capire di più e quindi mi sarei dovuto recare nel medesimo luogo del giorno precedente con la speranza di rivedere gli stessi esemplari.
Finito di fare colazione, presi il mio taccuino e andai di nuovo verso la boscaglia. Dopo aver camminato in fretta per alcuni minuti, sentii il bisogno di bere un po’ d’acqua e, fortunatamente, qualche passo più avanti, c’era un ruscello. Toccai prima l’acqua con la mano, era ghiacciata, così misi le mani a mo’ di scodella e ne presi un po’ per dissetarmi.

Non ero stato l’unico ad aver avuto sete, perché c’era anche un piccolo passerotto che si era messo a bere poco distante.
Mi fermai a osservarlo. Il fiume era un punto perfetto per adocchiare i volatili. Quando riprese il volo, vidi che aveva un movimento delle ali molto diverso da quello dei falchi. Infatti, l’uccellino le sbatteva molto velocemente per poi fluttuare nell’aria tenendole ferme, poi le agitava di nuovo e così proseguiva il suo volo.
Avendo con me il mio libretto, appuntai qualche parola riguardo quello che avevo appena visto e disegnai l’ala del passerotto, anche se non ero riuscito a vederla bene.
Riguardando il disegno dell’ala del falco, mi saltò subito all’occhio che quella del piccolo volatile aveva una forma praticamente uniforme, invece quella del rapace formava una specie di arco, quasi come se ci fossero due parti, una attaccata al corpo e l’altra che andava verso l’estremità che era un po’ piegata.
Misi a posto il libretto e proseguii il cammino. Il cielo si faceva sempre più nuvoloso e grigio e pensai che sarebbe arrivata la pioggia. A un certo punto intravidi la boscaglia ma, come mi aspettavo, non c’era niente in volo e nemmeno a terra.
Ma io non ero arrivato fin lì per non vedere nulla, infatti la mattina quando mi stavo avviando sul sentiero, passai davanti a una fattoria e comprai dal contadino un paio di esche che sicuramente sarebbero piaciute ai predatori alati. Le posizionai una distante dall’altra, ma non lontane da me, perché se fossero arrivati gli uccelli, li avrei visti da vicino. Temevo che sarebbe arrivata prima la pioggia poiché era tutto coperto.
Aspettai a lungo e finalmente udii un verso che risuonò per tutta la valle. Era un falco pellegrino che stava arrivando proprio sopra la boscaglia. Stavolta però puntò dritto alla mia esca. Mise davanti gli artigli e si appoggiò a terra, spalancando le ali. Erano veramente enormi in confronto a quelle del passerotto che avevo visto prima.
Osservai molto attentamente ogni minimo movimento non appena si rimise in volo. Ormai mi ero fatto un’idea su tutto quello che qualche minuto prima mi sembrava impossibile da capire. Avevo riempito quasi dieci pagine del mio diario di appunti. Avevo trascorso tutta la giornata in quel posto ma ne era valsa la pena.
Si era fatto pomeriggio tardi e la temperatura era scesa di parecchio rispetto agli altri giorni, segno che l’inverno si stava avvicinando. Ripercorsi il sentiero fino ad arrivare a casa.
Non avevo mangiato quasi nulla, per questo mi feci preparare una cena abbondante, ma soprattutto calda. Ero stanco, erano due giorni che facevo tardi e che camminavo molto, avevo solo voglia di andare a dormire.
Misi il mio taccuino sul comò vicino al mio letto, mi adagiai sotto le coperte e mi addormentai subito. Riuscii a svegliarmi a metà mattinata, cosa insolita per me che sono mattiniero. Come al solito mi preparai la colazione. Passai tutto il giorno nella mia abitazione per ideare qualche cosa.
Intanto mi chiedevo: «Perché noi non possiamo volare? Non abbiamo le ali è vero, ma posso sempre provare a crearle. Chissà come sarà il mondo visto da molto più in alto? La sensazione di volare sarà bellissima!». Per questo passai quasi tutto il giorno a progettare delle ali. Ne disegnai una quindicina, fino a quando non trovai quella apparentemente perfetta. Era praticamente uguale a quella di un falco.
Il disegno raffigurava una persona con le braccia aperte a mo’ di croce con un paio di ali attaccate a esse tramite dei lacci in cuoio. Ero convinto che questo sistema potesse funzionare. Mi serviva solo costruirlo e poi trovare qualche volontario per testarlo.
Nei giorni seguenti andai in giro per Firenze a trovare del materiale per incominciare a costruirle. In molte botteghe trovai parte del materiale che mi serviva, come i lacci e le tele per dare forma all’ala. L’unico componente che mi mancava era il legno che serviva per dare una struttura a tutto il progetto. Purtroppo era già novembre inoltrato e il tempo non era affatto buono per andare a fare legna. Lasciai perdere per tutto l’inverno il progetto, ma ovviamente mi dedicai ad altri studi.
Finalmente arrivò la primavera, il legno nella foresta non era più umido e sdrucciolevole, perciò una mattina di maggio, mi inoltrai nel bosco per trovare ciò che mi serviva. Da solo non potevo di certo farcela, per questo chiesi aiuto ad alcuni giovani allievi del maestro Verrocchio.
Restammo in giro quasi tutto il giorno perché non era facile trovare un legno di diametro abbastanza ridotto, ma nello stesso tempo anche molto resistente. Insieme ai ragazzi, trovai ciò che mi serviva e ritornai alla mia bottega, impaziente di iniziare l’opera.
Che giornata incredibile! Non era neanche tanto tardi, ma quella sera avevo un sonno che poche volte mi capitava di avere.
Non ci volle tanto prima che mi addormentassi e in quel frangente feci un sogno entusiasmante. Mi ritrovai in una città che mi sembrava di avere già visto. Sì, pareva proprio Milano. La riconobbi perché nel sogno vedevo tutto dall’alto, proprio come se stessi volando per davvero e riconobbi la fabbrica del Duomo. C’erano strade con tante carrozze di metallo ma senza che qualcuno le trainasse, andavano anche veloci e poi c’erano enormi abitazioni.
Le persone andavano in giro a passo svelto, alcune con qualche strano oggetto vicino all’orecchio che serviva per parlare.
Mi avvicinai a un edificio che attirò la mia attenzione: c’erano particolari dipinti molto realistici che raffiguravano macchine simili a quelle da me progettate e alcuni di essi le raffiguravano nell’aria come se stessero realmente volando! C’erano persino delle rappresentazioni dei miei disegni. Quell’edificio recava al suo esterno un’insegna: «Museo della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci».
Un luogo dedicato a me! Ero stato mandato in un futuro lontano, con nuove tecnologie e mezzi di trasporto? Ebbene sì, un mondo dove tutto quello che avevo in mente sembrava essere di colpo messo in pratica.
Era davvero straordinario, ma il meglio doveva ancora venire. Mi ritrovai di nuovo in alto e riuscivo a vedere tutta la città quando, improvvisamente, sentii un rumore mai udito prima, che pian piano si faceva sempre più forte e mi mise addirittura paura. Di scatto mi voltai e poco distante vidi un grande apparecchio di metallo in aria che viaggiava a una velocità elevatissima, non sapevo davvero cos’altro mi potesse accadere!
Dopo un attimo di smarrimento, decisi di seguirlo perché ero troppo curioso di scoprire di quale strano fenomeno si trattasse. Mi affiancai e osservai che c’erano persone al suo interno.
Lo percorsi tutto in lungo fino a quando vidi che davanti c’erano altri due individui che sembravano manovrarlo. Un marchingegno così grande e apparentemente pesante, riusciva a rimanere in volo senza cadere.
Mentre lo seguivo, capii che si stava abbassando e stava virando verso un grande spiazzo che da lontano aveva un colore grigiastro. Sembrava che dovessimo posarci sopra.
Avvicinandomi, mi accorsi che si trattava di due grandi strade dritte affiancate da maestosi edifici con molti altri apparecchi ubicati.
A un certo punto scesero sotto la macchina tre grandi ruote nere fatte di un materiale che non era legno ma sembrava qualcosa di spesso e di colore scuro; intanto ci avvicinavamo sempre di più a questa grande strada, fino al momento in cui le ruote toccarono il terreno, fecero una nube biancastra e il marchingegno rallentò fino a fermarsi.
Quel posto era straordinario; c’erano centinaia di macchine volanti di forme e dimensioni diverse, persone che salivano e persone che scendevano con grandi bisacce con le ruote.
Così il sogno finì e mi svegliai; capii che tutto quello che avevo visto e apparentemente vissuto forse non era solo un’illusione, ma era la realtà proiettata in un futuro ancora lontano.
Allora mi convinsi che ciò che stavo studiando sarebbe stato realmente utile alle generazioni future e pertanto continuai a disegnare e progettare tutto ciò che stuzzicava il mio ingegno.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010