Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
18ª edizione - (2015)

Il tetto sul mondo

Mi sentivo incredibilmente solo in quei giorni.
Nonostante avessi amici e parenti schierati al mio fianco, percepivo in me un grande senso di abbandono. Ero solo e solo volevo restare. Mi resi conto in fretta che, per quanto ci provassi, all’interno di quella casa non ne avevo la possibilità, perché con tutta quella gente e le tante parole mi era impossibile trovare spazio per i miei pensieri.
Mosso dal senso di abbandono che caratterizzava i miei pensieri in quel periodo, mi infilai la giacca e uscii di casa. Ricordo bene quel giorno. Erano da poco passate le cinque e mentre le nuvole in cielo cominciavano a prendere fuoco, tinte dal rosso del tramonto invernale, camminavo su per quella mulattiera stretta e dissestata che ormai conoscevo bene. Abitavo su quel colle già da diversi mesi e mi ero abituato ad affrontare quella ripida salita, ma quel giorno di febbraio a ogni passo mi sentivo sempre più oppresso e schiacciato, arrancavo a fatica, portandomi appresso il peso della mia sofferenza. Raggiunta la cima, camminai a lungo senza meta, osservando distrattamente il cielo sempre più suggestivo con l’avanzare della sera. Percorrevo quella strada tutti i giorni ed ero convinto di conoscerne ogni dettaglio, non c’era sasso in quella via che io non avessi visto; eppure quel giorno mentre proseguivo lungo il tragitto, concentrato solo sui miei pensieri, notai che poco più in basso la roccia offriva un passaggio sicuro che portava al tetto di un edificio abbandonato da tempo.
Pensai “perché no?”; un paio di salti ed eccomi là sopra.
In un attimo, come magico sipario, si aprì al mio sguardo una scena di indescrivibile bellezza. Da lassù vidi per la prima volta la mia città in tutta la sua maestosità: potevo cogliere la mia Genova per intero, dal promontorio di Portofino sino a Voltri e ancora più in là dove nulla poteva fermare i miei pensieri. Ammiravo i monti intorno tingersi di porpora e respirando a pieni polmoni l’odore quasi palpabile della salsedine. In quel momento dimenticai ogni cosa, la sofferenza e il dolore per la recente morte di mio padre passarono in secondo piano e fu come se quel panorama attenuasse il frastuono dei miei pensieri, come se a un tratto la macchina che mette in moto la mia mente si fosse fermata.
Rimasi lassù a dominare il mondo molto a lungo, attendendo in silenzio il calar del sole.
Per tutta la durata di quello spettacolo di colori, profumi e ombre fui in pace con me stesso, allo stridore della confusione dentro me era subentrata una soave melodia che aveva riportato il sereno nel mio cuore.
Quasi inaspettatamente il sole calò e, mentre il vento gelido soffiava rapido, ecco scoppiare una nuova tempesta nel mio animo. Tornato a casa, ritrovai la stessa situazione dalla quale ero fuggito: mia madre in lacrime e mio fratello lì accanto a lei. Non dissi nulla e andai diretto in camera mia con l’intento di non uscirvi prima dell’arrivo di un nuovo tramonto, e così fu.
La sera successiva raggiunsi il mio rifugio sopra il cielo portando in spalla le mie angosce, come chi si carica della sua croce e la trascina sino al proprio patibolo. Mi sedetti con le gambe a penzoloni nel vuoto e attesi che lo spettacolo avesse inizio. I minuti passavano e il mondo davanti ai miei occhi di adolescente sembrava essere cosi piccolo! Io ero lì e vedevo ogni cosa e persona, ma nessuno poteva vedermi.
Mentre fuori lo scenario si svolgeva inarrestabile, una canzone iniziò a risuonare nei miei pensieri con crescente intensità: erano note che conoscevo bene, note che cantano di Hotel Supramonte accompagnate dalla voce di De André. Fu proprio seguendo quelle note che un ragazzino, che non riusciva a vedere più nulla di nulla di buono nella sua vita, si mise a danzare, accompagnato nei passi dal vento. I suoi movimenti inesperti si fondevano col dolce suono di una chitarra e gli pareva di poter volare via come un gabbiano che senza batter d’ali scompare all’orizzonte.
Quel tetto da punto d’osservazione sul mondo si trasformò per me in un palcoscenico sul quale mi esibivo, forte di una ritrovata pace interiore. Passarono molti tramonti davanti ai miei occhi e il mondo sotto ai miei piedi proseguiva il suo moto inarrestabile, i giorni trascorrevano e i mesi assieme a loro, ma io ero là e nulla aveva importanza all’infuori di questo.
Non c’era posto più bello per me di quel piccolo tetto rivestito di nera pece che andava sgretolandosi giorno dopo giorno sotto ai miei piedi.
La vita giù da quella mia porzione di cielo non era facile, non tanto per l’assenza della figura di mio padre, quanto per l’insormontabile difficoltà che riscontravo nell’affrontare la mia quotidianità. Oggi mentre scrivo queste parole riaffiorano vivide in me le immagini di quegli strepitosi momenti di beatitudine, ma ad affiancare la gioia che provo in questo momento si muove in me un forte senso di malinconia e nostalgia.
Di tutto quel tempo passato a riflettere attendendo da solo nel silenzio le risposte, restano i miei ricordi, ma so per certo che mai potrò dimenticare di tutti quei giorni spesi alla ricerca di me stesso e di come un ragazzino solo al mondo sia diventato il ragazzo che ora sono.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010