Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
18ª edizione - (2015)

Il mistero dell’apparente bellezza

Era sempre la stessa storia. Tutte le volte che entravo in stazione, era sempre la stessa storia.
Gente ovunque, in ogni angolo. Di qualunque età, nazionalità. Di ogni vocazione e professione.
Mi sono sempre domandata cosa pensa la gente. Come vive. Che cosa fa durante il giorno.
Ci sono diverse tipologie di persone. Ma le più strane, le più affamate e voraci, le più misteriose e interessanti sono i lettori. Non puoi mai aspettarti nulla da loro. Perché sono sempre in grado di sorprenderti. In ogni dove. Come nelle stazioni. Ed è bello osservarli. È quello che faccio tutte le volte che vado in stazione Centrale, entrando in libreria.
Entro e – prima di mettermi alla disparata ricerca di un libro – osservo i lettori. Ne ho incontrati tanti nella mia vita. E ognuno, fidatevi, ha una sua particolarità.
Era un pomeriggio piovoso quando andai a studiare in biblioteca. Le grigie nubi autunnali offuscavano il cielo. L’aria era densa di un’incessante, odiosa, pioggia. Ho sempre ritenuto la pioggia interessante, perché anche se non ce ne accorgiamo, crea su di noi diversi effetti. Certo, ognuno di noi è più o meno meteoropatico: ci sono i completi meteoropatici e i finti meteoropatici – e io sono sicuramente tra i primi.
Ma ritorniamo a noi.
La pioggia continuava a cadere con il suo incessante tintinnio, quando entrai nella piccionaia. Sì, sembrerà parecchio strano, ma questo luogo ricco di cultura e di un magico rapporto di amore misto a odio per i libri, è sicuramente il mio luogo preferito. So che ti stai domandando perché piccionaia, non sono così sprovveduta, lo so bene. Però non posso darti una spiegazione. È una stanza in cui assapori i libri. Il loro profumo, la loro quintessenza. È il mio rifugio.
Ed è lì che lo incontrai.
Proprio mentre entravo nella stanza, lui, apparentemente pesante, alto e piuttosto massiccio, mi calpestò un piede, in un modo nello stesso tempo schivo e autoritario.
E non si è nemmeno degnato di domandarmi scusa!
Indignata, mi sedetti al mio posto e iniziai a studiare matematica, la bestia nera, il mio tallone d’Achille, nonché una Babele di formule, numeri e lettere che si uniscono per tormentarmi. Sono esattamente tredici anni che mi tormenta. Non lasciandomi nemmeno un secondo libero. Una possibilità di destreggiarmi in quel mare di formule senza senso.
E mentre tentavo, invano, di armeggiare con la scienza, ecco di nuovo lui. Ancora qui.
“Adesso basta” – pensai – “non puoi seguirmi! Prima tenti di rompermi l’alluce e adesso sei ancora qui.”.
Ovviamente non mi rispose. Rimase lì, a fissarmi, nel suo mutismo permanente. Il suo sguardo era fisso su di me, ma io non cedevo. Non avevo la benché minima intenzione di farlo. Non avrei ceduto, non questa volta.
Determinata nella mia convinzione, lo ignorai, tornando al mio studio di una funzione.
Mentre svolgevo i calcoli – ovviamente sbagliati – sentivo la sua presenza, il suo sguardo ossessivo che si posava su di me. Non mi dava tregua. Era particolarmente insistente, ma non dovevo cedere.
Passavano i minuti e non cedevo. Un’ora, due, tre. Lui rimaneva lì, tranquillo, a fissare la mia inquietudine. Mentre io mi destreggiavo tra i compiti di matematica impossibili e quelli improbabili per un cervello umano.
“Non devo cedere” – pensai.
Presi i miei libri e tornai a casa, con la testa annebbiata, piena di pensieri circa lui, il suo fare ossessivo, il suo modo strano e insistente di osservarmi.
Non c’era secondo che passava senza che io pensassi a lui, non c’era nemmeno un minuto nel quale non pensavo a quello che sarebbe potuto succedere se avessi ceduto, se non mi fossi chiusa nella mia testarda convinzione. Ma era troppo tardi. Ero sfuggita a una grande possibilità.
La notte non riuscii a dormire. Tutto mi riportava a lui, alla sua bellezza circondata da un’aura di mistero.
Il giorno seguente iniziò come tutti i monotoni giorni precedenti. Ma già nel principio dell’alba, assaporavo qualcosa di diverso, come una novità che stava per invadere e stravolgere completamente la mia vita.
Andai a scuola – le ore non passavano mai – e io avevo solo un pensiero fisso per la testa: lui.
Il pomeriggio andai in biblioteca, per passare altre estenuanti ore, con la mia grande amica Matematica.
Entrai nella piccionaia e mentre mi dirigevo al mio solito posto, ecco di nuovo lui, che con il suo fare insolente e piuttosto aggressivo, mi calpestò di nuovo il piede!
«Ma allora ce l’hai proprio con me!» – sbottai – «Non capisco cosa ho fatto di male per trovarti sempre qui!».
Come la volta precedente, chiuso in se stesso, non mi rispose. Non lasciò trapelare alcun sentimento, rimanendo sempre lì, nella sua solita posizione, mentre mi fissava.
Ancora una volta, sentii il suo sguardo su di me, in tutta la sua profonda e immutabile insistenza.
Sentivo il suo desiderio. E nonostante tutto, iniziai anch’io a desiderarlo.
Iniziai a studiare matematica, come per togliere quel pensiero, quel desiderio ossessivo dalla mia mente.
Passavano le ore e non cedevo. Lui era lì, esattamente come il giorno precedente e mi fissava.
Improvvisamente, la sua ossessione divenne anche la mia; iniziai a non pensare più a quei numeri misti a lettere che mi affollavano la mente, rendendola impenetrabile e confusa, in un miscuglio di perfetto caos; iniziai – esattamente come lui – a fissarlo, con quel fare da cleptomane e psicopatica che mi riesce benissimo in alcune situazioni.
Lui doveva essere mio. Non riuscivo più a resistere a quello sguardo. A tutto quel mistero. Mi fissava, ma non parlava, non esprimeva nemmeno un’emozione. Perpetuava nel suo infinito e irresistibile mistero.
Non volevo ammetterlo, ma mi affascinava. Mi aveva affascinato sin dal primo giorno, sin dal nostro primo incontro.
Avevo un incessante desiderio di averlo tutto per me. Volevo che fosse mio. Ma non trovavo il coraggio di farglielo capire, di dirgli quello che mi passava per la testa.
Non volevo farlo, avevo paura di pentirmene. I minuti trascorrevano e la mia fronte era zuppa di sudore. Avevo paura dell’approccio, avevo paura di rimanerne delusa; lo desideravo così tanto da esserne ossessionata, ma allo stesso tempo spaventata.
Finché la curiosità superò la paura.
Così mi decisi: mi alzai e andai verso di lui. Mi fissava con il suo meraviglioso e indescrivibile sguardo. Non sapevo che da quell’istante non avrei più potuto farne a meno, fino a quel momento, non avrei mai immaginato che sarebbe diventato così importante.
Mi avvicinavo sempre di più mentre lui rimaneva lì, immobile, nella sua posizione di sempre.
Fino a quando non mi decisi ad avvicinarmi di più, così mi chinai verso di lui.
Lo vidi per la prima volta da vicino, da una prospettiva nuova, che lo rendeva ancora più misterioso e affascinante. La curiosità, in quel momento, fu davvero troppa; così allungai il braccio e lo raccolsi.
Adesso Lui era tra le mie mani. Ed era uno tra i libri più affascinanti che avessi mai visto.
Anche la copertina lasciava trasparire il suo stravagante e incredibile contenuto, che si plasmava sotto la pressione delle mie dita, mentre – completamente folgorata da lui – iniziavo l’incessante lettura.
A volte, mentre entro nella piccionaia, lo cerco. Sugli scaffali, sui banchi, oppure lì per terra, dove lo vidi la prima volta.
Eppure è sempre la stessa storia. Tutte le volte che entro in stazione, è sempre la stessa storia.
Gente ovunque, in ogni angolo. Di qualunque età, nazionalità. Di ogni vocazione e professione.
Sono ancora in stazione. Sono sempre lì, a osservare i lettori. Ne ho incontrati tanti nella mia vita.
E ognuno di loro, fidatevi, ha una sua particolarità.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010