Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Di parole dolenti, di libere fughe
di Gaia Rossetti
Secondo premio

Tu, coraggioso viaggiatore che vieni da Milano e ti addentri nella sua periferia sperando di trovare chissà quali novità, e invece a ogni passo che fai ti porti sempre più vicino a te stesso, verso un posto che ti è estraneo tanto quanto è monotono a noi, i suoi abitanti.
Ti allontani dalla superstrada quel tanto che basta per farti capire che se avessi proseguito saresti potuto andare ovunque, ma no: tu hai svoltato a sinistra, cercando un centro abitato per chissà quale lapsus nella tua mente.
È lì, sul sedile accanto al tuo, quella bestia dattiloscritta. Vuoi darle la colpa come se fosse stata lei a decidere, a mandarti fuori strada, a sconvolgerti così. Vuoi incolpare la sua copertina, le sue seicentocinquantatré pagine, l’odore che aveva quando l’hai consegnata alla cassiera, le parole scritte sul retro che leggendole ti hanno fatto pensare “stavolta ho trovato quello giusto», il suo autore troppo realista. Realista perché in fondo è colpa sua se le sue parole ti hanno ridotto così, se hai dovuto chiudere quel libro e mettere la freccia per fuggire da quella maledetta quotidianità a cui sei abituato, ma che non ti ha mai soddisfatto davvero.
E l’autore ti conosce bene, ha saputo rompere la corda che tratteneva la molla, che ha dirottato la tua marcia e premuto l’acceleratore.
Un oratorio è la prima cosa che vedi. O forse non vedi, un po’ per le luci della sera inoltrata, un po’ per le siepi fitte che lo circondano e che ne fanno quasi una fortezza. È il silenzio l’elemento che ti stupisce: ti sembra innocuo, ma è la nostra rovina.
Prosegui, in auto, rilassato, godendoti quel calmo silenzio e raggiungi una chiesa. Tu non puoi vederne i colori, ma il suo ocra giallognolo alimenta le domeniche mattina, per fede o per unico svago offerto da questo sobborgo. Vorresti entrare, oltrepassare i portoni di legno e vedere i suoi marmi, e ti riprometti di farlo, domani, con la luce del sole.
Ma ti fermerai abbastanza a lungo?
Se girassi a destra, vedresti una reticella di strade che caratterizza una zona residenziale, palazzi scoloriti che evidenziano lo stile di vita di questi strani abitanti. 
Ma che t’importa, nel tuo libro non si parla di esseri umani reali con abitudini ed esigenze reali, tu prosegui dritto, oltre il richiamo dei vivi, oltre i semafori lampeggianti.
Ed ecco, sobbalza l’auto sui binari del treno, a sinistra la stazione. Alla tua destra le scuole medie, la farmacia, il negozio di articoli sportivi, i nostri servizi. Un parchetto collega quest’area alla zona di case popolari abbastanza lunga da portare al piazzale del mercato del venerdì che nella tua mente rimanda al «mercato odoroso» che cita il tuo autore nel sesto capitolo, per lui così familiare e genuino. Ti dispiace non poterlo vedere, ma se solo sapessi quanto ognuno di noi vorrebbe non averci a che fare!
Non è sempre stato così, ma con il passare degli anni i fruttivendoli non portano più frutta di stagione, i bambini non vanno più a fare la spesa con i nonni: ora la frutta proviene dall’Oriente o dalle serre, e sono i genitori a frequentarlo alle sette del mattino, sempre di corsa, svogliatamente, forse anche un po’ arrabbiati. E le belle villette che lo circondano, comparate con i palazzoni grigiastri, non ti sembrano più così allegre. 
Ti ricordi ora di quando eri bambino, quanto ti piaceva passeggiare per mano con la nonna, sorridere ai commercianti mentre additavi quelle mele rosse e lucide, e lei ti tirava perché aveva bisogno di due sogliole e un chilo di gamberetti.
È malinconia, e il silenzio non ti aiuta. 
Vuoi tornare indietro, non vuoi più ricordare: ora la tua esistenza è diversa, tu sei uno di quegli uomini che corre alle sei del mattino, che si lamenta con i commercianti di quelle mele farinose.
La lunga via fiancheggiata da negozietti chiusi. Ancora una volta la tua auto sobbalza sui binari del treno, ma solo ora la vedi: la stazione. E di fronte a lei alte mura e alti cancelli che lasciano intravedere belle ville, grandi e verdi, eppure così nascoste. Una scuola elementare, con un parco giochi. Scendi dall’auto. Fa freddo, prendi il giubbotto che hai lasciato sul sedile del passeggero e ti copri.
Il libro rimane lì, in attesa. In attesa di risposte, dopo averti posto tante domande.
Guardi la scuola, è grande, ha un largo cortile davanti, alberi frondosi e lampioni che la illuminano. Appesi su fili che partono dal cancello e arrivano fin sugli alberi vedi decorazioni per la festa di Pasqua, realizzate per l’occasione dai bambini, che alle 16:30 escono puntualmente da scuola, e tutti insieme vanno al parchetto. 
I cespugli, i fiori, lo scivolo, le altalene, la fontana coperta di muschio con i pesci rossi e le tartarughe: il paradiso di noi bambini, che giochiamo e ci sbucciamo le ginocchia.
E di fronte ancora lei, la stazione. 
Con la sala d’aspetto illuminata, le macchinette delle bibite, i due binari che risplendono, i mattoni della vecchia stazione che è stata sostituita: il posto che frequentiamo noi adulti, che ci tiene collegati con il resto del mondo, che un po’ ci salva e un po’ ci fa sentire meno soli.
Ci ripromettiamo di andarcene da qui, mentre il tempo passa e noi cresciamo, ma poi ci rendiamo conto che non potremmo mai abbandonarlo.
Questo tu però non lo sai, non ti riguarda. Non è qualcosa che appartiene al tuo modo di pensare, eppure è lì a pagina duecentodue: quel senso di solitudine e sfrontatezza che attanaglia l’autore, lo stesso che attanaglia noi cittadini e ci rinchiude nei nostri gesti quasi alienanti, ripetuti ogni giorno nel medesimo ordine, scenari che si susseguono ogni giorno fuori dal finestrino infinitamente uguali. Quanto può essere effimera un’esistenza del genere?
Monti in macchina, accendi il motore. I semafori, la chiesa, la strada, l’oratorio: la superstrada. 
E mentre tu, magari con le lacrime agli occhi, guidi verso casa soddisfatto della tua sosta, noi ci chiediamo come sia possibile che il posto dove viviamo ci faccia sentire come turisti.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010