Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Un’esperienza di lettura
di Andrea Fratus
Finalista

Il genere umano non ha mai mostrato nulla di positivo ai miei occhi.
Nel mezzo dello scorrere dei secoli, passando da un’epoca all’altra, camminerò per sempre confinato in questo universo. Ho visto campi di battaglia tinti di camelie con l’odore del ferro, ho sentito il grido straziato delle vittime della pazzia, e presto mi sono unito a loro; il ghigno di follia si è ora estinto, le corde vocali erose. Il mio passo, lento e costante, non è mai passato inosservato e a ogni mia orma che solca lo spazio e il tempo c’è una creatura che eviterà l’oblio. Ho avuto molti appellativi e molte nature; sono stato doloroso e lieto, ma chiunque mi abbia conosciuto o visto mi ha sempre chiamato Ricordo.
Scrutando la terra da un balcone di stelle appoggiai le braccia su Sirio, osservavo con occhi cavi e spenti le memorie delle persone che si accendevano come lumi nell’infinito per poi riunirsi nelle mie dita, creando archi di fuoco. Sotto ai fluidi e lunghi capelli e alla mia sgualcita veste scura riservavo un’occhiata distratta ai bracieri freddi che ardevano sulle mie insensibili mani canute. Era il meccanico gesto che mi accompagnava nell’infinità del creato, in quanto guardiano di tutto ciò calcava la mente degli esseri viventi, lento, ripetitivo, sospiravo nell’attesa di qualcosa non precisato. Donando un ultimo sguardo alle piccole lucciole mi accorsi che ce n’era una inusuale, speciale. Brillava di un guizzo vivace e bluastro che riusciva a trasmettere calore persino ai miei palmi ustionati. Sezionai la fiamma in lapilli e mi apparvero stralci di mondi mai esistiti: una città sospesa nelle nuvole, persone in grado di evocare esseri fantastici e umani stessi in grado di solcare il cielo senza bisogno di grigie macchine.
Com’era possibile tutto ciò? Non erano mai esistite storie del genere! La storia umana era sempre stata lastricata dalla guerra e dall’avarizia che lasciavano spazio solo a terra bruciata ed edifici monocromi… questi pensieri risuonavano in me come un violino distorto e scordato. Decisi di andare a osservare quel piccolo miracolo per colmare una curiosità rimasta sepolta per anni. Mentre scendevo una scala di astri per dirigermi verso la terra dopo secoli i miei occhi riprendevano il loro lustro primordiale. Un eterno cantastorie con occhi da ragazzino aspettava l’inizio di una storia mai sentita. La scia lasciata dalla fiamma di ghiaccio mi rendeva facile la ricerca del suo padrone, essa tracciava una chiara e lunga strada, senza dubitare del suo percorso. Giunsi infine davanti a un piccolo fiume, esso era costeggiato da un sentiero sterrato e anonimo, ne esistevano di infiniti eppure la fiamma scelse quello in particolare. Dopo un’attesa di pochi secondi la mia guida si ricongiunse finalmente con la sua padrona: una ragazza umana, con abiti modesti e dei lucenti capelli neri che intonavano gli occhi castani su un perfetto spartito. Il lume finì per ricongiungersi con il suo cuore e infine continuò la sua funzione di registrazione. La ragazza, completamente sola, si apprestava per il sentiero con passo allegro e avanzava verso questo essere eterno; tranquillamente e senza nessuna paura. Prese a correre nella direzione in cui era diretta e, a un passo di distanza dal mio corpo, mi attraversò come polvere. Mi guardai la mano quasi trasparente e ricordai:
«Lei non può percepirmi.»
Si era diretta verso una casa che risiedeva alla fine del sentiero, entrò e io mi avvicinai ulteriormente a quella figura esile ed effimera. Percorreva le scale per salire in camera, aveva una fretta impulsiva e frenetica di aprire la porta della sua stanza; la sua stessa fiamma vacillava. Varcò la soglia con euforia e , dopo essersi seduta, afferrò la stilografica e la intinse nella china che sembrava essere sparsa su tutta la scrivania quasi a indicare la sua indole sbadata. A quel punto un piccolo tizzone azzurro si unì alla punta della penna. La scrittrice mosse la sua ultima scaramanzia decisiva, un leggero cenno di apertura del braccio , con il quale creò un leggero squarcio nella realtà. Al posarsi dell’inchiostro sulla carta l’apertura si allargava dando la vista su un nuovo mondo; totalmente colorato e dominato dalla natura. Al centro dell’enorme terra risiedevano quelle stesse creature che avevo visto dai lapilli: umani con ali proprie, che intraprendevano il viaggio per la volta celeste in compagnia di altri simili. La ragazza man mano assumeva un aspetto diverso, i capelli si schiarivano, le vesti diventavano di pura foglia, delle trasparenti e flebili ali spuntavano dalle sua magra schiena e anche io perdevo la cognizione del tempo e della realtà in mezzo a quel nuovo creato. Sensazioni nuove, lingue inesistenti, vite nascoste che facevano risaltare l’indole minuziosa della scrittrice, tutto era pervaso da un aroma intenso ma fresco, che avvolgeva e conquistava qualsiasi ospite di quell’universo facendolo quasi fluttuare tranquillamente. L’inchiostro andava a dilagare al di sotto del terreno per completare la visione perfetta di quel sogno a occhi aperti. Il tempo non era più giudice tiranno, io ero assolto dal mio compito ingrato. Sentì il precedente calore di quel fuoco fatuo amplificarsi su tutta la pelle, una primavera parallela che trasmetteva una sensazione di quiete e gioia. Il mio viso pallido riprendeva vita sotto i raggi del sole filtrati dai rami del bosco che toccavano dolcemente le mie pupille immerse nell’inchiostro dell’illusione. Attimi incalcolabili si consumavano come polvere di stelle che cadeva leggermente sulle mie vesti straziate.
La ragazza posò la penna. I suoi capelli tornarono scuri, le ali sparirono. Tutto tornò alla noiosa realtà di sempre. Sentivo quasi ritornare la gravità del mio compito. Una voce irrompeva sul silenzio dell’incredulo:
«Sofia! Sofia! Sbrigati a scendere!»
La creatrice di mondi discese di corsa le scale sbattendo i piedi, intanto io mi allontanavo dalla sua dimora. Lasciai quella piccola zona sconosciuta riflettendo sul nome della fanciulla: Sofia, secondo l’antica memoria greca significava sapienza e saggezza. Il mistero era stato risolto, non rimaneva altro che tornare al mio compito di guardiano della storia. Tornai nell’etere, come una divinità onnipotente, ritrovando quella sensazione di irrealizzato e infinito desiderio. Ero sommerso dal silenzio più eccelso e nella solitudine più totale, sdraiato su un suolo di oscurità, tendevo la mano al cielo riportando i miei più fervidi pensieri al piccolo angolo sconosciuto al mondo.
Passarono degli anni, ormai sopra a quella specie di miracolo si era depositato un incendio ardente, focolaio di nostalgia. La ragazza assumeva per me un aspetto sempre più astratto. A volte mi capitava di osservare i movimenti della sua stilografica che tracciavano le linee guida di un altro pacifico mondo, la scrutavo da lontano senza esplorare le tele che tingeva con affettuose pennellate. Il mondo era ormai divenuto abbastanza pacifico e io cullavo tra le braccia per lo più ricordi gioiosi, rimanevo immerso nella monotonia più totale senza più bisogno di rimedio. Ero sempre più divorato dal desiderio e dalla curiosità che scaturivano dalle mie visite, il sentimento di ammirazione e positività avevano preso il sopravvento e facevano si che io scrutassi continuamente la fiamma blu. Un eterno che nutre ammirazione per un mortale, quella ragazza si era davvero dimostrata fantasiosa e saggia, anche se involontariamente. Decisi, in preda ormai a un sentimento consumante, di andare a osservare la sua opera. Discesi su quella sponda così familiare e camminai a piedi nudi verso il sentiero impresso nella mente fino ad arrivare davanti alla sua modesta dimora. Mi affacciai alla finestra per vederla e mi resi in un attimo conto del tempo che era passato. Il suo corpo aveva movenze più femminili, era diventata più alta e snella; mentre i suoi occhi erano fissi sul foglio e la penna scorreva vorticosamente il suo viso manifestava un sorriso di soddisfazione veramente largo ed euforico. Stava scrivendo con più passione che mai. Mi misi alla ricerca del prossimo universo memorizzando quasi ogni angolo della stanza ma non riuscì a portare a termine la mia missione, era tutto fermo, familiare e rilassante; un’ atmosfera già provata sulla pelle. Una sensazione rimaneva impressa come un presagio sulla mia anima. Il suo corpo diventò trasparente fino a sparire, senza lasciare traccia. Sulla sua scrivania rimaneva un foglio; riuscì a leggere con sforzo solo le sue ultime parole:
«è stato davvero bello saltare tra i mondi.»
L’ultimo passaggio si chiuse dietro al viso di Ricordo, incredulo e scarno. La penna era ferma sul tavolo, l’inchiostro era finito, proprio come quel piccolo miracolo reale. L’ultimo lume azzurro e debole apparve alle spalle del guardiano; esso lo guiderà fino alla tomba di Sofia esalando l’ultimo sospiro proprio davanti all’epitaffio. Ricordo allungò la mano verso la lapide, voleva toccarla per verificare che fosse la realtà e non un’altra pagina di autrice. La sua mano attraversò la lapide per riaffiorare dal lato opposto con tutto l’avambraccio, a quel punto ricordò:
«Lei non può percepirmi.»
Gli ultimi passi del disperato si mossero verso la tanto amata stilografica, nella casa di Sofia. Sul punto di conclusione della lettera d’addio si creò una piccola sbavatura che penetrò attraverso il foglio. Delle parole in inchiostro rimanevano incise sulla lapide:
«Colei che conquistò il Ricordo»
L’eterno adagiò la penna sulla lapide, i lunghi capelli coprivano il suo viso pallido.
Ricordo diede le spalle all’incubo ma ebbe un attimo di esitazione. Voltò la testa un’ultima volta e prese coscienza della sua vita che non accennava a finire. Radunò i corpi celesti e si fece strada verso la sua dimora.
Una scala di stelle accompagnava un immortale non più eterno verso il cielo.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010