Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Un libro, un disegno, una sfida

…la notte in cui morì, però, dei bambini del posto giurarono di aver visto alcuni vecchi marinai salire a bordo di una nave dalle vele nere, ancorata al largo della baia. Uno di loro aveva la mano a uncino. E giurarono che la nave aveva puntato a oriente verso il mattino. [1]

Si chiudeva così l’ultimo romanzo letto e un amaro sapore di smarrimento era pronto a farsi sentire nuovamente: più mi piaceva il libro, maggiore era il desiderio di conoscerne la conclusione e più, arrivata al punto finale, mi invadeva la nostalgia per averne terminato le pagine. Questa storia mi sarebbe rimasta nel cuore soprattutto per una sua frase.
Come pioniera a caccia di antiche saggezze, imparavo i modi di dire le cose, e in ogni libro cercavo le risposte che non ero in grado di darmi, con la speranza che qualcun altro le avesse già trovate e avesse deciso di nasconderle tra le righe che scorrevano davanti ai miei occhi.

Il treno per Torino parte alle undici. Arriverò con comodo per mangiare un boccone e orientarmi. Mi hanno detto che si potrà accedere alla sala solo alle quindici. Ora esco, ho giusto il tempo di riconsegnare il libro in biblioteca. Tanto è di strada.

Quella appena conclusa era stata una battuta fortunata, infatti portavo a casa la soluzione a una di quelle domande cui nessuno, fino a quel momento, aveva saputo dare risposta: perché una persona è speciale?
A pagina 174 del suo libro, Pierdomenico Baccalario lo svelava d’incanto con poche semplici parole:

…Junior disse: – Tu, James, sei una persona speciale.
– E perché? – domandò lui.
– Sei una di quelle persone che fanno accadere le cose. [2]

Che bello essere persone che «fanno accadere le cose» in qualsiasi situazione si trovino, come quella difficile che stava vivendo James, senza nascondersi dietro ad alcuna scusa.
È per quello che avevo deciso di ricominciare a disegnare. Mi era sempre piaciuto e fin da piccola aveva rappresentato la maggior parte delle mie attività poi, quando c’era stato da scegliere la scuola secondaria, avevo deciso di percorrere un’altra strada, rinunciando a iscrivermi al Liceo Artistico.
Ora, però, l’eco di quelle parole mi tornava alla mente rivelando una nuova prospettiva e una nuova sfida: perché non partecipare al concorso di disegno indetto in occasione del tradizionale Salone del Libro? Sarebbe stato un modo per mettermi alla prova e, magari, per fare i primi passi verso la realizzazione di un sogno segretamente mai abbandonato.

L’ampio locale dal soffitto ribassato e le luci al neon, che ai tempi della mamma costituiva il grande atrio dell’asilo di quartiere, odora ancora di pongo e tempere, anche se ora accoglie la biblioteca rionale e il vociare di un tempo di vivaci bambini è stato sostituito dal bisbigliare di qualche studente liceale e dai passi sommessi di lettori di tutte le età.

Da una veloce revisione del materiale, la scatola dei neri risultò assolutamente insufficiente, per questo cercai su internet la mia marca preferita a un prezzo accettabile. La trovai, la ordinai e provai un grande disappunto quando, ancora trafelata sulla soglia di casa con la cartella di scuola in spalla, scoprii che tra le dodici tonalità di nero, la terza era stata sostituita da un pastello scarlatto. Già il rosso era un colore che non gradivo, quella tonalità più di tutte le altre. L’indirizzo del mittente sul pacco risultò illeggibile e a nulla valse il tempo speso online per ritrovare il sito su cui avevo fatto l’acquisto. Non ci fu modo di individuare alcun riferimento.

Oggi la biblioteca risulta particolarmente silenziosa. Non trovo alla scrivania, a differenza del solito, il signor Roberto pronto e cordiale ad accogliermi. Appoggio il libro sul banco e per la prima volta noto che, in copertina, la giacca con la quale è stato raffigurato il protagonista è rossa. La ricordavo diversa.

Il concorso chiedeva di scegliere e rappresentare uno dei protagonisti tra quelli di un gruppo di libri che avrebbero poi presenziato al Salone. Lavorai in bianco e nero e, visto che ormai me lo ero ritrovato tra le mani, usai il rosso come unico altro colore per personalizzare il tratto e il personaggio.
Fu grande la sorpresa quando ricevetti una lettera dal Comitato Organizzatore che annunciava il posizionamento del mio elaborato tra i primi cinquanta su settecento, e quindi il suo inserimento nella mostra che sarebbe stata allestita all’interno della stessa fiera.
Incredibile, mi invitavano a presenziare all’inaugurazione: ce l’avevo fatta.

Nei corridoi c’è una luce strana: forse per via delle lampade al neon le coste dei libri perdono i loro colori. Anche fuori ora sembra più uggioso. Mi guardo intorno e vengo colpita dalla capigliatura fiammeggiante di una buffa bimbetta che avanza tra gli scaffali: se non fosse per le varie tonalità di grigio del suo strampalato abbigliamento, mi ricorderebbe Shirley Poppy[3].
Mentre sorrido alla sua simpatica espressione, una voce femminile mi chiama: «Buongiorno cara, ti stavo aspettando se ti accomodi…». Da dietro l’archivio si fa avanti un’elegante signora in tailleur nero spigato e camicetta bianca. Si avvicina con la mano tesa: smalto vermiglio e rossetto abbinato sono impeccabili.
«Buongiorno a lei» rispondo.
Mi stringe la mano e mi prende sotto braccio.
«Veramente sono passata solo per restituire il libro». Perplessa e impacciata cerco inutilmente di liberarmi dalla presa: «Sono di fretta, devo prendere un treno».
«Non è necessario andare di corsa» spiega tranquilla, «per un po’ rimarrai qui con noi. Abbiamo bisogno di artisti che sappiano lavorare di fantasia, capaci di creare a mano libera, senza l’uso delle nuove tecnologie. Ci ha colpito, il tuo disegno. Se mi segui ti presento gli altri del gruppo. Alla fine sarete in cinquanta». E con un cenno di incoraggiamento mi accompagna verso la porta chiusa della sala di lettura.

Osservo da questa nuova angolazione il mondo in cui sono cresciuta e mi domando se ero più irragionevole prima, quando con determinata energia vivevo nel proposito di rendere i miei sogni reali, o se sono più folle ora ad accettare di essere in questo sogno per trovare poi il modo di uscirne e tornare a essere quella che ero.


[1] Pierdomenico Baccalario. “parte terza” in La Vera Storia di Capitan Uncino pag. 312. Milano: Edizioni Piemme, 2011.
[2] Pierdomenico Baccalario. “parte prima” in La Vera Storia di Capitan Uncino pag. 174. Milano: Edizioni Piemme, 2011.
[3] personaggio di Elisabetta Gnone, Fairy Oak. Novara: De Agostini 2005.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010