Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Il mito della caverna

Tenebre, buio e oscurità.

Le tenebre mi attorniavano. Mi circondavano.
Questo era il mio perpetuo e incessante tormento, da che avevo memoria.
Non conoscevo nient’altro al di fuori di quella perenne oscurità e di quelle sagome spezzate. Linee irregolari, vaghe proiezioni di ombre tremolanti.
Ignoravo la realtà.
Ero figlio di un universo storpiato dal buio e dalle mie fasulle percezioni.
Sordidi pensieri, che nascevano, crescevano e morivano dentro di me. Taciti e innati accordi, promesse infondate, prive di un qualsiasi significato.
La mia anima errava tra quelle pareti. Uno spirito desolato, smarrito. Brancolavo nel nulla.
Non ero cosciente del mio corpo: ne percepivo le curve e gli spigoli, tramite il dolore che mi opprimeva e devastava. Una sofferenza logorante. Tastavo il terriccio, contro cui raschiavo con le mie dita incallite e bitorzolute, quando ancora non sapevo di possedere un corpo.
Ero ignaro di me stesso.
Ignaro di tutto, a eccezione delle ombre e del buio.
Nero, nero, nero.
Il mio colore preferito. L’unico che conoscessi.
Nonostante le tenebre mi soverchiassero, ero allietato dalla consapevolezza di non essere solo. Avvertivo dei respiri, dei gemiti. Dei rantoli. Vivevo assieme ad altri Ottenebrati – è così che ci definimmo dopo aver appurato che la realtà fosse tutt’altro che oscura e dopo aver concepito l’esistenza di un mondo esteriore, un mondo vero.
Poi tutto cambiò, mutò completamente. O tornò allo stato originario – dipende dai punti di vista.
Le mie cosiddette origini erano adombrate, e per tale ragione, una volta che i miei occhi furono esposti alla luce, essa mi uccise. Il Sole mi lacerò. Mi soffocò. Mi annegò in un mare di bagliori.
Era bellissimo e fatale.
Punti di vista. Prospettiva.
Non sapevo esistesse la tridimensionalità. Non sapevo esistessero le proporzioni.
Le cose cambiarono quando battei le palpebre, quando aprii gli occhi.
Dapprima, i raggi solari mi scorticarono il viso.
Poi mi baciarono.
Erano la madre e il padre che non avevo mai avuto. Coloro che mi mostrarono la via e mi illustrarono le fattezze del mondo. Le sue curve, soavi e sensuali, tentatrici. E i suoi tratti aguzzi, acuminati. Pericolosi.
Conobbi la bellezza, la bramosia della luce e, da queste, il terrore dell’oscurità che nonostante tutto mi aveva sempre accompagnato e cullato.
Tornai nelle buie viscere, mie fattrici. Nel tenebroso e inospitale grembo materno.
Non mi capirono. Benché noi Ottenebrati avessimo creato e sviluppato un nostro linguaggio, fatto di versi e di gesti, non compresero.
Ero rinato. Ed ero rinato solo.


»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni

Copyright © 1999 - Comitato per Sofia - Tutti i diritti riservati.
Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010