Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
20ª edizione - (2017)

Rivoluzione copernicana
di Cristina Bernardelli
Finalista

E se invece fossimo noi a cambiare la vita dei libri che ci cambiano la vita?
Non è forse ciò che facciamo quando li eleggiamo a questo titolo? Quando scegliamo accuratamente la matita, quella con la punta sottile, perché possa sottolineare le parole giuste. Quando lo tatuiamo di linee, cerchiature, riquadri e punti di domanda.
E se questo non bastasse ci ricamiamo sopra parole, altre parole, che lui non conteneva se non nascoste fra le righe: i nostri commenti. Lo investiamo di noi stessi, gli affidiamo segreti, gli confessiamo verità e condividiamo pensieri, sempre in punta di matita, a piè di pagina: è questo il linguaggio con cui dialoghiamo con lui.
Quando, tramite il nostro tratto di grafite gli rispondiamo a quanto ci sta rivelando, lo interroghiamo e parliamo a quelle pagine tanto quanto esse parlano a noi, non gli stiamo forse cambiando la vita? Quante volte la conversazione con lui non si conclude con la sua conclusione: lo riprendiamo in mano, seppur terminato, per rileggere quel capitolo, quella frase, quella parola di cui abbiamo bisogno.
Per questo ne ripieghiamo gli angoli, gli diamo la forma che fa per noi, lo modelliamo su noi stessi e sulle nostre ricerche. Intagliamo la sua conformazione, apriamo di più la pagina che leggiamo più volte fino a far cedere la rilegatura, lo scolpiamo con lo stesso amore di un artista nei confronti della sua opera in potenza, gli diamo la nostra forma.
Un’orecchia a pag. 34, un post-it a pag. 56 e la terza di copertina sempre ripiegata dentro pag. 85. Se non troviamo un segnalibro ecco che corre in aiuto la carta verde e bianca delle caramelle, delle tue preferite, le tue, che tieni sempre nella tasca della borsa. E se poi leggendo ci cade una lacrima, che meraviglia! La parola che ci ha commosso lo ricorderà per sempre, un po’ più sbiadita rispetto a tutte le altre.
Quando non possiamo fare a meno di lui e lo accompagniamo a prendere la metro con noi, per sentirci un po’ meno soli nel tragitto tra una stazione e l’altra. E quando cogliamo un bel fiore, o un quadrifoglio, non è forse fra le sue pagine che lo riponiamo a seccare? Dove nascondiamo biglietti e lettere, dove conserviamo foto e cartoline se non al suo interno? E se lo invitiamo a farsi leggere a merenda con noi, non profumerà per sempre di arance o cioccolata? Non è forse questo cambiargli la vita?
Ma il regalo più bello in assoluto glielo facciamo quando lo dedichiamo a qualcuno, quando vi riconosciamo in esso una persona.
In quel momento diamo un volto a quelle parole, le chiamiamo per nome. Sappiamo associar loro un profumo, il profumo di lui, di lei. Sappiamo dire che gusto hanno i discorsi che vi leggiamo, sappiamo cosa aspettarci da essi, li sentiamo pronunciare con il suono della sua voce. Troviamo quella parola, che pensavamo utilizzasse solo lui, solo lei, nell’intero universo, e invece eccola lì.
Allora è una gioia mandarla in una foto, o citarla al diretto interessato in un messaggio: «Guarda, sembra proprio l’abbia scritto tu!».
A volte condividere una sola parola non basta, allora tieni, ti presto tutto il libro, non importa se a te non piace leggere perché questo sarà diverso, fidati. Mettici pure tutto il tempo che ti serve, ma per favore leggilo!
Non gli stiamo cambiando la vita quando anche lui, lei si sarà riconosciuto in quella parola che avevamo cerchiato e la cerchierà a sua volta? Oppure, al contrario, quando conserviamo quella parola o quella massima gelosamente, senza dir nulla al nostro soggetto, come vicariante per la sua assenza, la sua lontananza o la sua mancanza, per sentircela comunque pronunciare se non da lui stesso, lei stessa, quantomeno da un fidato sostituto. Si ha quasi l’impressione che l’autore possa aver conosciuto il nostro destinatario, e possa averci aiutato a descriverlo, a raccontartelo, a farcelo sentire vicino.
In fondo un libro non è che un insieme di fogli. Eppure quando questa epifania accade ci sentiamo accarezzare da quei versi, da quei suoni, da quelle espressioni, attraverso le mani di lui, o di lei, mani che conosciamo bene, di cui conosciamo bene il tocco morbido o caldo o sottile o paziente, quelle di chi, in quelle pagine, ci si è rivelato.
Insomma, quando un libro lo amiamo fino a questo punto, tale da non vederlo più solo come un testo ma come il depositario di un’esistenza, un’esistenza che converte la nostra, non è forse questo cambiargli la vita?
Non è forse questo di più ancora: affidargliene una?


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010