Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
20ª edizione - (2017)

M

Se ne stava lì, al freddo, vicino all’entrata di un piccolo supermercato a vendere fiori. Batteva i denti ed era coperto malamente. La gente entrava e usciva ignorando completamente la sua presenza. Lui tuttavia sorrideva; lo faceva come se quelle persone gli avessero dato lo stesso una moneta per un fiore.
Era di altezza media, magro, capelli neri e pelle scura. Come mi disse in seguito proveniva dal Bangladesh o da una terra vicina. Il suo nome era impronunciabile e non saprei come riportarvelo correttamente su carta, tutto ciò che mi ricordo è che iniziava per M.
Mancavano poche settimane a Natale e lui, invece di prepararsi alle festività come farebbe chiunque altro doveva rimanere là, fuori da quel negozio, a subire un gelo che entrava fin dentro le ossa. Tossiva e starnutiva da diversi giorni, mia madre lo aveva notato.
Le donne mostrano più attenzione rispetto a noi uomini nei confronti degli emarginati. Probabilmente perché è un istinto materno a guidarle. Vedendo un senzatetto in mezzo a una strada, sporco, affamato e senza nessuno al mondo si chiederanno: «E la sua mamma? Dov’è la sua mamma? Dov’è colei che l’ha messo al mondo e che di sicuro gli vuol bene?».
Ogni uomo prima di diventare adulto è un bambino e tutte le madri questo lo sanno. Quindi compresi facilmente perché mia mamma quella mattina aveva preso l’auto per consegnargli un sacchetto contenente una sciarpa, delle brioche e alcuni miei vestiti che non indossavo oramai da parecchio tempo.
All’inizio era lei che voleva portarglieli ma poi una voce dentro di me disse: «È Natale. Perché non cogli questa occasione per fare una buona azione?».
Le chiesi se potevo consegnarglieli io e lei accettò. Lo feci volentieri.
Vorrei premettere una cosa: non sono un santo e non fingo di essere tale. Il mio grosso problema nel relazionarmi con altre persone – soprattutto con quelle che non conosco – è il come presentarmi adeguatamente e iniziare un discorso. Anche quella volta mi sentivo a disagio, ma c’era quella voce interiore dentro di me che continuava a rassicurarmi.
M mi guardò intensamente, con uno sguardo perplesso, probabilmente chiedendosi se volevo comprargli un fiore. Mi dispiaceva molto per la sua situazione.
Gli dissi in tono scherzoso: «Sono Babbo Natale! Buon Natale amico».
M spalancò la bocca, sembrava non comprendere cosa stesse succedendo. Mia mamma gli spiegò tutto. Non ricordo bene, ma credo che in quel momento i suoi occhi fossero colmi di lacrime. Ci ringraziò con sincerità.
Parlava a stento la nostra lingua ma quei «Grazie» avevano una potenza enorme.
Sentivo tutta la gratitudine che M provava nei nostri confronti. Una gratitudine che raramente egli aveva l’occasione di manifestare con il prossimo. Un sentimento di una genuinità e di una bellezza indescrivibile, che non può che toccare nel profondo chi l’ha vissuto.
Da quel giorno M mi saluta sempre quando lo incrocio; mi prega sempre di portare a mamma i suoi omaggi. Alle volte mamma torna a casa con una rosa in mano. So sempre da dove proviene e ne sono felice. Il sapere che una persona ti è grata per un piccolo gesto che hai compiuto credo sia uno dei regali più preziosi che si possa ricevere in vita.
Questo episodio mi ha fatto parecchio riflettere. Io sono uno di quei classici personaggi che incontri per la strada con lo sguardo sempre in basso, timoroso nel cercare lo sguardo altrui. Una figura che probabilmente molti di voi ritengono invisibile. Eppure in quella giornata mi sono sentito fiero per una delle rare volte nella vita. Fiero di avere fatto una buona azione per una volta tanto.
Quell’episodio mi ha fatto pensare. Mi ha allargato lo sguardo a una dimensione più ampia. Mi sono messo ad analizzare alcune azioni che compiamo quotidianamente senza nemmeno accorgercene.
Qualche settimana dopo andai a Milano per vedere assieme ad alcune classi della mia scuola uno spettacolo teatrale. Mentre stavamo aspettando che ci dessero i biglietti per entrare un uomo, un senzatetto che già altre volte avevo avvistato per le strade di Duomo, si mise a chiedere l’elemosina in mezzo ai ragazzi. La persone si scansarono o lo ignorarono completamente neanche fosse trasparente. Alcuni ragazzi si lasciarono sfuggire sul volto una smorfia di disgusto per l’odore nauseabondo che egli emanava.
Arrivò di fronte a me e mi disse con un fil di voce: «Per favore… ho famiglia».
Volevo scoppiare a piangere ma soppressi tutto il dolore che quella frase mi aveva procurato rintanandolo in fondo al mio stomaco. Quell’uomo aveva pronunciato quella frase con una sincerità lacerante, nelle sue parole c’erano un senso immenso di vergogna per la richiesta che mi aveva posto.
Una voce dentro di me rintonò “Se fosse andata diversamente anche tu potresti essere nella sua situazione”.
Gli diedi qualche moneta e lui parve risollevarsi leggermente. Rimasi basito del fatto che tutto ciò che aveva ottenuto era la mia offerta. Eravamo probabilmente più di cento persone di fronte a quel teatro: solo io sembrava che avessi avuto un briciolo di pietà per quell’individuo. Mi ringraziò e in quel momento vidi sul suo volto un sollievo di rara bellezza. Poi sparì, com’era apparso.
Il gesto che avevo compiuto attirò l’attenzione dei miei compagni di classe. Per loro era raro vedermi fare un’azione del genere. Si ricordavano ancora quando, durante una gita scolastica a Praga, mi rifiutai di pagare per accedere ai servizi pubblici. In altri casi si ricordarono di altre volte in cui avevo preferito digiunare piuttosto che comprarmi una piccola merendina. Per loro io ero il Paperon de’ Paperoni della classe: tirchio e spilorcio.
Cos’era successo in me? Ero sul punto di venire beatificato? Certo che no. Ma mi tormentava il pensiero che il gesto che avevo compiuto avesse gettato su di me tale attenzione. Avevo fatto un’azione corretta, eppure perché mi dava fastidio il fatto che gli altri mi guardassero in quella maniera?
Noto spesso che questo atteggiamento è frequente da quando è scoppiata la crisi economica. La gente guarda in maniera strana chi compie azioni del genere. In parte lo capisco. La crisi ha distrutto tante vite durante il passare di questi anni. La vita di molti miei amici e conoscenti è stata letteralmente annientata da questo fatto. Non c’è nulla di peggio che sentirsi dire da una persona che si è inutili, figuriamoci da un intero sistema sociale.
Ogni giorno, ogni mattina, camminando per le strade vedo la paura negli occhi delle persone. Ce la prendiamo con chi è estraneo con il nostro mondo. Crediamo sia lui la causa delle nostre sofferenze, anche se in realtà non è così. Siamo diventati schiavi degli oggetti, essi ci stanno consumando secondo dopo secondo. Al posto dei cuori abbiamo degli ingranaggi arrugginiti.
Mi viene sempre il voltastomaco quando su Facebook leggo commenti di persone che affermano che la vita è ingiusta perché non riescono a comprare un costoso videogioco o ottenere un abito firmato. Ogni volta che leggo queste cose penso sempre a quei poveretti come M, che credo riescano a trovare la felicità in un panino o in una focaccia.
Anch’io ho deciso di tagliare qualche mio vizio: ho ampiamente limitato alcune mie (rare) spese, per di più caramelle di poco costo, uno dei miei pochi vizi. Ho fatto un eccellente affare; nel giro di due mesi ho perso ben tre chili.
Pensavo sempre di risparmiare per dare qualcosa a persone come M. Una volta, mentre tornavo da scuola, ho incontrato un altro senzatetto, anch’egli straniero. Era vicino a una panineria nella speranza che qualcuno gli desse qualcosa. Prontamente gli diedi qualcosa. Mi abbracciò. Non me l’aspettavo.
Ci si sente così bene nel dare qualcosa a qualcuno e ottenere riconoscenza. Ti fa sentire dannatamente umano. Riesci a capire il significato della parola vita.
Mia mamma sembra averlo compreso: esce due volte alla settimana per aiutare i senzatetto che si aggirano per le strade della città di notte. Lavora in un dormitorio e rientra spesso tardi di notte. Altre volte va in giro per le strade ad aiutare persone indipendentemente che siano tossicodipendenti, alcolizzati o senza fissa dimora. Li aiuta dando delle bevande calde, indumenti intimi, e scambiando qualche parola. Lei mi dice che le persone che si recano al dormitorio più che alla ricerca di cibo hanno bisogno di un contatto umano.
Scambiare quattro chiacchiere con loro è più benefico di qualsiasi oggetto materiale.
«La fame viene e scompare ma la dignità una volta persa non torna mai più» recitava una battuta del film Educazione Siberiana diretto da Gabriele Salvatores. Mai frase fu più vera. Si adatta bene ai nostri tempi.
La paura ci rende deboli, ci fa dimenticare di chi siamo, compiamo azioni che vanno contro la nostra natura d’uomo. Io non dico che su temi come quelli dell’immigrazione dobbiamo avere un approccio semplicistico. Comprendo che l’argomento è molto articolato e complesso. Non si può trovare la soluzione di un problema così enorme leggendo semplicemente uno scritto. Io mi rifiuto tuttavia di pensare che gente come M debbano morire per le nostre strade, dimenticati da tutti e privati della loro dignità di uomini.
Una sera, mentre mi recavo alle lezioni di scuola guida, incontrai sull’autobus M. Si ricordava di me e parlammo amichevolmente. Mi raccontò da dove proveniva, disse che viveva in una catapecchia fuori città, come era arrivato in Italia e rivelò il motivo del perché fosse qui: suo padre.
Il papà di M ha una grave malattia agli occhi, rischia di diventare cieco. In Bangladesh non aveva possibilità di guadagnare abbastanza per l’operazione. Ogni mattina egli va in strada a soffrire il gelo, la fame e la stanchezza per amore di suo papà. Non cerca ricchezza, non vuole comprarsi una costosa Ferrari o andare ad abitare in una sontuosa villa. Vuole solo che suo padre stia meglio.
Alle volte però la situazione diventa drammatica. M mi ha rivelato la sua immensa paura nei confronti della polizia. Non ha il permesso di soggiorno e se ciò venisse scoperto dalle forze dell’ordine egli verrebbe espulso immediatamente. Per suo padre le speranze diminuirebbero drasticamente. Lo stesso giorno mi disse che un suo amico era stato derubato da un gruppo di rapinatori che, dopo aver svuotato la cassa del supermarket, avevano pensato bene di prendere i soldi anche a lui. Un’intera giornata di lavoro andata in fumo.
Non è corretto fare di tutta l’erba un fascio ma ammetto che da quando ne ho memoria un immigrato non mi ha mai arrecato danno al contrario di molti miei connazionali.
Tornando a parlare di M la sua situazione è migliorata rispetto a quel gelido giorno di dicembre. Molta gente quando esce dal supermercato compra alcuni dei suoi fiori ed egli sembra felice. È guarito dalla tosse e i vestiti che gli avevamo dato riescono a tenerlo bene al caldo. Alle volte ci incontriamo: mi saluta, parliamo un po’ e io gli lascio qualche volta un soldo senza che mi debba dare per forza uno dei suoi fiori; in questa maniera può comprarsi qualcosa per sé. Sono contento che molte persone si sono aperte a questa figura decidendo di dargli qualcosa di piccolo ma che nelle sue mani diventa grande come una preziosa pepita dorata.
Tuttavia la storia di M è lontana dal raggiungere un lieto fine. Di certo è sulla buona strada, ma per ottenerlo dovrà percorrere un lungo e tortuoso percorso che si protrarrà giorno dopo giorno. La strada è piena di insidie e ostacoli, una mano amica di tanto in tanto lo può aiutare notevolmente. Con questo testo spero di aver fatto ciò.
L’aiuto più grande che posso dare a questa persona, oltre a un piccolo sostegno economico, è quello di dedicargli questo testo. Perché è solo raccontando la sua storia e quella dei due altri uomini che ho conosciuto che la loro memoria durerà. Se dentro di voi sarà possibile questo racconto diventerà vostro e loro non verranno dimenticati totalmente. Penso sempre che la vita di ogni uomo sia una storia, se verrà trasmessa al prossimo abbattendo le barriere del tempo essa durerà in eterno.
L’esistenza alle volte è rapida e intensa come la fiamma di un fiammifero, allora perché non sfruttarla al massimo? Rifletto sempre che quando mi congederò da questa vita il pensiero dell’aver fatto del bene a qualcuno, il sapere che alcune persone si ricorderanno di me per un gesto amorevole, mi aiuterà notevolmente nell’affrontare il buio che ci spetta nell’aldilà.
Allora io vi invito a scrivere e a comunicare ad aprirvi al prossimo. Non fate come nella società moderna dove si dice di tutto ma alla fine non si trasmette mai nulla. Se non avessi scritto questo testo non avrei mai scoperto delle mie caratteristiche che si celano nelle profondità del mio animo. Questo scritto non è stato prodotto per elogiare la mia persona. Lo sto facendo per una mia esigenza interiore di raccontare qualcosa che reputo importante, qualcosa che mi ha spinto a riflettere e a pensare.
Perché la scrittura è anche questo: la narrazione di un qualcosa, reale o meno, che ti muta interiormente e che vuoi condividere con altre persone.
Ringrazio M, un piccolo grande uomo che mi ha regalato un’immensa lezione di vita in cambio di un soldo e voglio esprimere riconoscenza anche a te lettore, che sei riuscito a fare in modo che questa storia non venisse dimenticata. Grazie di tutto e buon proseguimento in questo viaggio chiamato vita.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010