Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
11ª edizione - (2008)

Regina della notte
di Greta Valentina Galimberti
Menzione d'onore

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?

                                               G. Leopardi

È notte. È autunno, come quella notte... Tutto è silenzio. Tutto è oscuro.
 Avevo sette anni, quella notte di luna piena in cui la mia vita è cambiata. Mi svegliai... qualcuno piangeva. Si sentiva una strana musica nell'aria... leggera, dolce, delicata...
 Mi alzai dal letto e i miei piedini nudi toccarono il pavimento freddo e duro della stanza. La veste leggera che mi copriva il corpo non poteva proteggermi dal freddo che aleggiava nel lungo corridoio oscuro dalle ampie vetrate che filtravano la sottile luce della notte. La musica, che si faceva sempre più dolce a ogni mio passo, mi conduceva verso una terrazza grondante di magnifici fiori i cui boccioli erano già prematuramente schiusi. La giovane voce di donna dal leggero pianto che mi invadeva la mente come un'eco sfuggiva al mio controllo come un falco al cacciatore. Mi guardai intorno, cercando con lo sguardo chi stesse piangendo, ma non vidi nessuno. Mi voltai, mi rivoltai, mi sporsi dalla ringhiera a guardare nel vuoto, quasi temessi di poter vedere la giovane proprietaria di quella voce melodiosa avvinghiata alla radice di un albero per non cadere nel vuoto, piangente perché troppo stanca per chiedere aiuto. Ancora una volta non vidi nessuno. il pianto continuava a tormentarmi e, stanca di quell'ininterrotto lamento, alzai gli occhi al cielo e chiesi ad alta voce: "Chi sta piangendo?".
 Ciò che vidi mi lasciò sbalordita, non potevo credere a ciò che vedevo: erano veramente i miei giovani occhi che vedevano ciò che stava accadendo o solo la mia fantasia che mi ispirava sogni nefasti? Non l'avrei mai saputo con certezza, ma quella notte una cosa mi fu chiara: che fosse sogno o realtà stavo smettendo di essere bambina.
 Alzai maggiormente lo sguardo e sgranai quelli che il Re mio padre chiamava i suoi zaffiri. Nel cielo, singhiozzante, stava la candida Luna con tanto di occhi arrossati dalle lacrime e labbra grigie schiuse a lasciar fuoriuscire il suono del suo caldo lamento. Voltò lo sguardo, la grande Luna, e mi trapassò con la sofferenza che aveva nel volto.
"Madre Luna" dissi tremante, ancora incerta se rimanere e temere il destino o raccogliere le gonne della veste da camera e tornare correndo alle calde coperte del mio baldacchino "che ti è accaduto? Perché piangi?"

La bianca sfera che tutto vede voltò lo sguardo verso di me e, guardandomi con tenerezza, rispose schiarendosi la voce: "La mia anima è triste".
 Mi avvicinai al bordo della ringhiera e appoggiai il peso sulle braccia che si posavano leggere sulla pietra grigia. La pregai con queste parole: "Mia Signora, a volte la soluzione di quello che cerchiamo si trova a un passo da noi, anche se non siamo in grado di vederla... Dimmi, te ne prego, ciò che ti affligge e io prometto di aiutarti come posso".
 La maestosa Luna smise di piangere e, con gli occhi glaciali addolciti dalle mie parole, mi rispose in tono di ragione: "Figlia, le tue parole sono sagge. Permettimi, o giovane cara, di domandarti quanti anni hai".
 "Sono nata all'alba del diciassettesimo anno di regno del Re mio padre, Madre divina."
 "Sicché sono solo sette anni che sei al mondo, Principessa... la tua saggezza è sconvolgente. In cambio delle tue gentili parole ti racconterò ciò che mi affligge".
 Ascoltata la lusinga della mia Madre Luna, mi sedetti piano sulla roccia della terrazza. L'aria si stava scaldando, era segno che la notte stava per finire. Avvolta dal morbido tepore della brezza del primo mattino che precede l'alba mi apprestai ad ascoltare il racconto della grande Luna.
 "Correva un tempo lontano in cui gli uomini vivevano per due straordinarie forze della natura: la luce del Sole mio fratello e la mia, che rischiarava le loro notti. Io li proteggevo dagli animali, dal freddo, dagli ostacoli... davo loro l'unica possibilità di vedere, durante la buia notte, cosa accadesse intorno a loro. Un giorno, però, un uomo prese due pietre e, per gioco e divertimento, le sfregava l'una contro l'altra. Non fosse piaciuto agli dei quello che stava per accadere, le due pietre emisero una piccola scintilla che rovinò su uno spiazzo di terra coperto di erba. Immediatamente fu il fuoco. Gli uomini, ora spaventati ora ammirati da tanto fulgore si avvicinarono e sentirono che le fiamme erano calde. Si misero a scaldarsi intorno a quella fonte di luce, venuta magicamente dalle mani di quell'uomo e quella notte dormirono sotto il mio sguardo spaesato e sempre vigile, che osservava quella strana fiamma rossa che, ancora non lo sapevo, avrebbe significato la mia fine. La sera seguente provarono anche gli altri uomini e vi riuscirono, poi altri e altri ancora, fino ad arrivare a oggi, a queste notti illuminate ormai dal fuoco delle torce. Il tuo stesso castello è illuminato da quella luce. Ora, cara figlia mia, ora che c'è il fuoco io non servo più a niente. Sono secoli, ormai, che piango, da quella notte stessa, ma fino ad ora nessuno mi aveva mai sentita."
 Finito che ebbe di raccontare la sua triste storia, la candida Luna si mise nuovamente a singhiozzare.
 "Dolce e bella Luna" le dissi per consolarla "mi sento responsabile della tua sorte, ma la tua utilità è ancora sopraffina. Le torce che illuminano i nostri castelli non riescono a produrre che pochissima luce. Sei tu che, quando i pellegrini sono in viaggio, rischiari i sentieri che li portano a destinazione, sei tu che di notte conduci le bestie alle tane, sei tu che quando il Sole tramonta fai brillare le stelle tue figlie del loro sfavillante fulgore, tu che conduci le preghiere dei vescovi alla Vergine e ai santi del Paradiso... e sei sempre tu, Madre Celeste, a riempire di poesia il cielo notturno con la tua imparagonabile bellezza. Il tuo ruolo non è finito, Madre Bianca".
 Le mie parole furono accompagnate dalle bianche lacrime di commozione della Luna che era finalmente riuscita a trovare qualcuno che la ascoltasse e la capisse. In un primo tempo non me ne resi conto, ma dopo qualche momento la mia mente cominciò a prendere coscienza di ciò che era accaduto: non avevo detto quelle parole, le avevo cantate.
 La Luna, dopo una breve pausa per riprendersi dallo sgomento che le avevano causato le mie parole, mi guardò negli occhi e mi disse:
 "Ora anche tu sei una delle stelle mie figlie, mia Diletta, tu che mi hai reso la gioia di esistere. Hai cantato leggera la musica delle tue dolci parole al vento e ora io voglio farti dono del mio tesoro più prezioso."
 Mi sorrise amorevole e soffiò leggera sulla Terra. I miei folti capelli scuri si sciolsero dalla treccia che li fermava e la veste mi si sollevò. L'aria che veniva dalle labbra della Luna era calda e profumava d'estate. Mi guardò con espressione solenne e mi disse con voce tonante: "Principessa, ti concedo la potenza della Notte. Ogni creatura notturna sarà al tuo comando e lo Spirito della Notte ti proteggerà per sempre. Possano agli dei piacere la tua affinità e il tuo potere. La Notte è ai tuoi piedi, da adesso fino alla fine dei tempi".
 Commossa da tanta generosità, protrassi la mano verso di lei e scoprii che la potevo toccare. Era di una sostanza imponderabile e incostante, quasi fosse essa stessa uno spirito divino. Mi fece un sorriso e si voltò a guardare l'altra metà del cielo.
 "Nobile Divina, Sovrana della Notte, ascoltami!" disse voltandosi nuovamente verso di me con espressione seria. "Prima che l'oscurità ci abbandoni e mi porti con sé, devi promettermi una cosa. Odi questa musica?"
 Era la leggera e sottile melodia che avevo sentito quando ero uscita sulla terrazza. Annuii. "Devi promettermi, Signora delle Stelle, che ogni volta che si farà notte verrai qui, a salutare le creature che verranno a farti omaggio. Se non verrai io saprò che è successo qualcosa di brutto. Ti prego, Regina di Saggezza, ascolta il mio desiderio".
 Annuii nuovamente e giurai fedelmente che non avrei mancato all'appuntamento notturno. Abbassai lo sguardo e vidi ogni specie di creatura uscire dalle tane del bosco e venire davanti alle mura del castello, esattamente sotto la terrazza: c'erano cervi, ricci, orsi, gufi, uccelli, lupi... Si inchinarono tutti uno dopo l'altro mentre la luce dell'alba inondava la pianura sottostante. Regalai loro un sorriso radioso e volsi lo sguardo verso la Luna che stava calando all'orizzonte. L'occhiolino che ci scambiammo prima che scomparisse valse più di mille parole.
 Sono passati ventisette anni e da allora ogni notte non ho mai infranto la promessa. Ogni notte mi reco sulla terrazza e, col sorriso, saluto la Notte in tutte le sue forme, per poi intrattenermi con la Luna mia madre a parlare cantando nel vento.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010