Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
10ª edizione - (2007)

Seta

Nel 1878, mentre l'imperialismo europeo raggiungeva confini inimmaginabili in Oriente, Hervé Joncourt era un uomo ricco, il più ricco, a Lavilledieu; la gente lo ammirava per la sua precisissima semplicità, e la sua vita era una routine di semplice precisione. Da quando aveva compiuto il suo ultimo viaggio dopo la morte di sua moglie Hélène, non aveva fatto altro che inventare e custodire ogni giorno il parco della sua villa: era un giardino stupendo, e la sua cura non era ossessiva o maniacale, era semplicemente una scusa per potersi avvicinare un poco alla serenità dell'abitudine. La sua vita era abitudine, come quel giardino. Ma nel mezzo, in una radura, sulla riva di un laghetto, il cinguettio di milioni di uccelli rari, bellissimi, rompeva quella perfetta semplicità.
Una voliera.
Dentro a quella gabbia, però, non c'erano soltanto gli uccelli che, seguendo un'antica tradizione giapponese, Hervé Joncourt aveva regalato come ringraziamento per la fedeltà alla sua donna; dentro a quella gabbia c'era il Giappone di Hervé Joncourt, c'erano i suoi sogni, e la sua vita. Secondo l'opinione di tutti il Giappone, per Hervé Joncourt, era seta, era ricchezza. In realtà per lui il Giappone era molto di più: partì alla volta del confine del mondo nell'ottobre del 1861, alla ricerca di bachi sani, grazie al consiglio di Baldabiou. Baldabiou era l'uomo che anni prima si era presentato al sindaco di Lavilledieu, padre di Hervé Joncourt, mostrandogli un piccolo fazzoletto di seta, dicendo: questo è il fottutissimo futuro di questo fottuto paese.
Hervé Joncourt attraversò l'Europa e la Russia, la Siberia, il mare e il Giappone e arrivò nel villaggio di Hara Kei, l'irraggiungibile Hara Kei, che avvolto nella sua tunica nera decideva gli spostamenti di ogni foglia, senza però farsi avvicinare da nessuno. E lì, nelle sale della casa di Hara Kei, Hervé Joncourt aveva visto il limite ultimo del suo mondo: era sdraiata in grembo al saggio, il taglio dei suoi occhi non era orientale, e un vestito rosso di seta talmente fine da apparire quasi trasparente si posava leggero su tutto il pavimento intorno a lei. Gli sguardi di lei e di lui, danzando, erano rimasti abbracciati per l'eternità. Per altri tre anni lui era tornato, e il quarto, l'ultimo, c'era la guerra.
Nel 1878 Hervé Joncourt viveva nei suoi ricordi, viveva dei viaggi estivi per l'Europa con la sua amatissima Hélène, sceglieva i fiori più belli e più rari del suo giardino per decorare la sua tomba, e le parole più belle per raccontarle le sue giornate.
Il 6 ottobre del 1878 il postino di Lavilledieu consegnò a Hervé Joncourt una busta sigillata: dentro alcuni fogli di carta di riso, molti e molti ideogrammi in inchiostro nero, tanti bastoncini neri incrociati nei modi più strani, il cammino infinito di mille piccoli uccelli. Su altri fogli la traduzione in francese.
Carissimo francese, dopo tanti anni il tuo sguardo profondo mi è più caro che mai, e il suo ricordo è più carezzevole della seta più fine di tutto l'Oriente, quella del mio kimono.
Voglio che tu conosca la storia dell'esotico fiore che conoscesti un giorno sulle ginocchia di Hara Kei. Quel fiore, l'hai visto, non è orientale. Nacqui in viaggio, ma mio padre, uomo d'avventura e d'affari, non mi volle riconoscere: nacqui dalla madre sbagliata, araba. Sarei diventata molto bella - insisteva mio padre - e convinse il saggio Hara Kei a comprarmi come sua futura geisha; mio padre ne ricavò milioni di uova di baco da seta, un'infinità di uova, che si portò in Francia.
Il nome di quell'uomo, di mio padre, era Baldabiou, mi pare.
Hara Kei m'insegnò l'obbedienza e la bellezza. E oggi ho un marito, una figlia, una casa, un giardino e una vita mia. E voglio che tu sappia, francese, quanto ti sia grata per aver deciso di attraversare il mondo per vedermi, o soltanto per avvertire la mia presenza, in cambio di milioni di larve morte. Quando giungesti, l'ultima volta, nel mio paese c'era la guerra; a te non importò, non perché speravi di ottenere i bachi di Hara Kei, ma perché mi amavi. Per questo ti ho amato più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Non ci vedremo mai più ma voglio che tu sappia che quello sguardo, il tuo, è entrato nel mio cuore e non lo lascerò uscire mai più.

Hervé Joncourt, allora, fece una cosa che pensava non avrebbe mai fatto.
Si alzò in piedi, percorse tutto il grande viale del suo fantastico giardino fino alla voliera, aprì il lucchetto e spalancò il cancello… e milioni di uccelli di tutte le specie più belle oscurarono il cielo come una grande nuvola, e poi lo colorarono di mille colori.
Era felice.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010