Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
8ª edizione - (2005)

Lubecca - Milano basato su "Tonio Kroeger "di Thomas Mann
di Ludovica Gazzè
Menzione d'onore

Il sole invernale non era che un pallido chiarore, lattiginoso e stanco, dietro le coltri di nubi. Il cielo sembrava immenso, alto ma vicino, e si perdeva nel mare. Il Baltico! Il vento spazzava le immense superfici piane, e in un attimo cambiavano i colori, le sfumature, e persino gli odori. Ma il tono metallico che lì, al Nord, hanno tutte le cose, quello rimaneva intatto, come una patina, una lastra di vetro che filtra e protegge. Lì non ci sono le tinte forti del Sud, quei contrasti vividi a cui Barbara era abituata.
Stava seduta sul molo, a contemplare il mare che riposava, pigro, e senza onde, screziato di vene azzurre, verdi e rossastre persino, e percorso di luci argentee e scintillanti. Stava lì, a respirare l'odore delle alghe, anche quello smorzato, addolcito, per non far male. Stava lì e pensava. A volte annotava qualcosa sul suo quadernino: impressioni da mettere in versi, poi, a casa, alla sua scrivania. Per chi, poi, quei versi? Lars non li capiva, nonostante lei passasse ogni volta almeno un'ora sul vocabolario a scegliere le parole una per una. Puntualmente alzava gli occhi dal foglio, i suoi occhi azzurri come l'acciaio, e la fissava, con un'aria a metà tra l'ironico e il dispiaciuto. Si sentiva in colpa, a non comprendere il senso di quegli scritti, che, lo sapeva benissimo, erano dedicati proprio a lui. Sapeva perfettamente che quelle parole esprimevano l'amore che quella ragazza provava per i suoi capelli biondi, fini. Eppure - Perché proprio i capelli?
Non riusciva a nascondere l'ilarità. - Anzi, perché non me li tagli un po', quando gioco a calcio con gli altri mi danno fastidio, qui, davanti agli occhi.
Si era fatto tardi, e l'aria iniziava a pungere. Barbara doveva tornare. La aspettava la grande fatica delle valige, e lei non era affatto una persona pratica: avrebbe avuto bisogno di tutta la notte.

Come da copione. La sveglia lampeggiava. 23:24. In rosso. Vestiti dappertutto, non ancora piegati. I poster alle pareti, come se non ci fosse stato nessun aereo che partiva tra sedici ore circa. E in mezzo a tutto questo Barbara, accovacciata sul borsone spalancato. Prendeva in mano qualcosa, poi la posava. Una foto, una cassetta, alternativamente, poi una maglia, quella a righe, regalo di compleanno della famiglia tedesca.
Da un mucchio di pigiami spuntava un libro. Copertina grigia, e sopra un Van Gogh altrettanto scialbo, altro che il giallo dei girasoli.
L'avevano dovuto leggere a scuola, in tedesco, ovviamente. Lei non ne aveva la minima intenzione: già letto, in italiano, e una croce su. Insomma, l'autore poteva anche essere il più grande romanziere tedesco, ma la storia non reggeva comunque. Quando mai un bambino a otto anni si fa le paranoie, sul nulla per giunta, a quattordici ama l'amico Hans Hansen, testuali parole, e ha "già sofferto molto per questo amore" e capisce che "chi più ama è il più debole e deve soffrire" e sa che l'amore gli porterà necessariamente "molto dolore, tormento e umiliazioni". Senza contare le considerazioni un po' banali sull'arte.
E invece la seconda volta. Una folgorazione.
Se l'era portato dappertutto, sempre in borsa, tanto era piccolo. Ci si immergeva, mentre gli altri pattinavano. Certo, non l'aveva salvata dalla pessima figura, quando Lars l'aveva trascinata sul laghetto ghiacciato. Almeno al Palazzo del Ghiaccio di Milano c'era la transenna tutto intorno e le poche volte che ci era finita si era aggrappata a quella senza lasciarla mai.
Si era sentita peggio che un pesce fuor d'acqua. Niente equilibrio. Barcollava. Mentre tutte quelle bionde intorno volteggiavano. Invidia.
Come quando era salita sulla "sua" bici per la prima volta. Lei ci sapeva andare. Però non si metteva certo a fare la disinvolta, senza mani. E poi sapeva partire solo col piede destro. E non frenava con eleganza. Così era arrivata a scuola tutta sudata, per tenere dietro agli altri, era smontata cento metri prima e l'aveva portata a braccia. Una mora, abbronzatissima, che non sa andare in bici. L'avevano inquadrata subito.
Poi, per carità, erano stati carinissimi.

La scuola era finita. I ragazzi, finalmente liberi, fluivano a schiere per il cortile lastricato e, usciti dal cancello, si separavano e si allontanavano in fretta, a destra e a sinistra.
Barbara era disorientata. Lei era abituata ai crocchi davanti al portone della scuola, a stare le mezzore a chiacchierare sul marciapiede, a raccontarsi gli aneddoti. Qui invece tutti fuggivano, quasi. Forse perché di solito faceva troppo freddo.
I piccoli si lanciavano allegramente al trotto. Barbara si era trovata proprio in mezzo a un gruppo di bambini della quinta classe (dieci anni, cosa ci fanno in un ginnasio?).
Allora vieni?
Anne e Anni le sorridevano. Poi c'erano Hanne e Hanna. E Anja.
Le ragazze erano state le prime a farsi avanti, a invitarla in giro, a farla sentire a suo agio. Ma quante volte si era trovata a guardarsi e a guardarle. Un viso bruno e dai tratti incisi con meridionale finezza, uno sguardo sognante e un po' smarrito vestiti colorati, la gestualità e la rumorosità italiane. E loro: discrete, diafane, con le gambe slanciate che si muovevano elastiche e con ritmo sicuro.
Quel pomeriggio, la prima volta che erano uscite insieme, Barbara aveva preso un caffè, una tazzona, altro che l'espresso. L'aveva ordinato senza pensarci, e le era arrivata questa brodaglia, che ora, dopo sei mesi le piaceva anche, perché la poteva sorseggiare con calma, ma all'inizio...A proposito, dov'era la tazza che le aveva regalato Lars? Barbara l'aveva recuperata dalla lavastoviglie, poi l'aveva avvolta con cura nella carta di giornale, e non contenta l'aveva arrotolata nel maglione più spesso che aveva.
Disfece tutto il pacco. "Esistono i miracoli. Per esempio tu ed io" ci lesse sopra. Ci mancava solo che si rompesse.
Un miracolo, già. Qualche volta lei ci aveva pensato. Che era assurdo. Che non aveva senso. Doveva tradurgli le sue canzoni preferite. Aveva preso in prestito tutti i libri che lei sentiva più suoi e si era trascritta in tedesco le parti che in italiano sapeva a memoria per fargliele leggere, e ogni volta le sembrava che in quella lingua non rendessero. Perché il tedesco è così regolare, in armonia e felice intesa col mondo! Mezzanotte. Bernd, il suo papà tedesco, un mezzo filosofo (ma non l'avrebbe detto nessuno), entrò nella stanza. Ci mise poco a far ordine, pragmatico com'era. Lei, ingenua, al tempo stesso passionale e indolente e di un'impulsiva leggerezza lo ammirava proprio per la sua capacità di decidere in fretta, per il suo non scomporsi mai.Check-in. Barbara era più carica degli zingari nel carrozzone verde, e più tesa della corda di un arco pronto per scagliare la freccia.
La solita voce femminile metallica degli aeroporti annunciò il volo per Milano, per Mailand, terra di maggio. Un nome esotico, quasi, che evocava azzurre lontananze. Un punto tanto lontano della carta geografica, così tanto che Viola, la sua sorellina tedesca, le aveva chiesto se in Italia era notte quando lì faceva giorno.
Salutò tutti, più volte. Era confusa. Poi l'abbraccio di Lars, la sua promessa di imparare l'italiano, di venirla a trovare. E se ne andò, trasfigurata e come senza peso. Così avrebbero avuto qualcosa in comune. Come si capivano bene!La vita frenetica di Milano la riprese presto nelle sue maglie. C'era la scuola, da recuperare. I vecchi legami da riannodare, i mesi di pettegolezzi arretrati con cui bisognava rimettersi alla pari. Ma non tutto era rimosso. Se le si chiedeva cosa volesse fare nella vita, rispondeva in modo di volta in volta diverso, poiché, come soleva dire (e aveva già preso nota di questo pensiero), sentiva in sé la possibilità di mille esistenze diverse, a cui si univa la consapevolezza che nessuna di esse era veramente possibile. E di chi erano queste mille vite? Della bionda Anka, di Jan dagli occhi chiari, ma anche di Irene e Giovanni. Di tutte le facce che aveva imparato a riconoscere. E soprattutto di Andrea. Niente a che vedere con Lars, che era straordinariamente bello e ben fatto, largo di spalle e stretto di fianchi. Lui era più simile a Lucignolo, alto e allampanato. Spalle gracili, collo magro, petto scavato, occhi neri come i capelli. Questo quello che le veniva in mente se pensava a lui.
D'altronde Lars non venne.
Barbara l'aveva aspettato, eccome.
Ogni tanto per strada, addirittura, si girava ancora, se vedeva un biondo, o degli occhi azzurri illuminarsi. Ma erano solo turisti. O modelli a cui lei era felice di dare qualche indicazione, ma solo se gliela chiedevano.

 


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010