Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
8ª edizione - (2005)

Urlo

 

Urlo che manda in frantumi la notte! Frantumi di urlo e schegge di cielo dissolvono la tela, mescendosi nell'abbraccio del silenzio. Ogni linea converge verso il centro, al centro: la morte. L'urlo di un teschio che riemerge dalle viscere dell'arte. Un urlo che disturba la retta società e lo sguardo di Natura partecipa angosciato. Increspa cupe onde di acque calme. Calma: condizione apparente, affezione dell'angoscia, preambolo della tempesta. Si liquefa il blu in un cielo d'affresco: urlo. Urlo nel tramonto, trafitto da una crudele lama di realtà. Sgorga il sangue a colorare l'accenno viola di una paura antica. Intontita una caricatura di fronte alle sinistre forze di un secolo che muore, una caricatura brutta che sublima l'arte, un cupo affronto, un violento pugno, violenza pura. Puro stupro della bellezza. Ponte di tigre sostiene l'Irreparabile. Tutto fluttua in curve tracciate da mani impazzite. Una sorda orda di atomi d'aria annoiata aspetta l'imprevisto che scuota il tedio dell'atmosfera plumbea. Trema in un tellurico sconvolgimento l'effige scavata dalla morte. Quel viso incombe ogni giorno fra l'immobilità dell'essere o il divenire universale. Quel mostro sacro d'un epoca che spera, grida. Un'emozione, un frammento di secondo sconvolge ogni impressione. La pelle irrigidisce sotto il bacio dell'angoscia sospesa nella brezza leggera, greve, frenetica, confusa. Realtà ed irrealtà si uniscono in orgasmi di colore, il godimento d'un istante che sublima ogni terrore, l'ultima consapevolezza che la bruttezza è arte, che la vita è arte; la vita con i suoi urli e i suoi conati, la vita con i suoi latrati di caos. Ogni secondo d'istante, ogni ora del cielo è pervasa dal caos, ogni turbine d'emozione crea la vertiginosa crepa che inghiotte il globo bellicoso. Il feticcio primordiale, lo stereotipo d'un uomo, umano e reale, grida il suo dolore. Il dolore familiare che abbraccia i lutti, che segue il feretro nella processione. L'urlo si unisce allo stridore di rotaie che hanno rapito ogni speranza, hanno condotto figli a triste morte e padri a spettacolo cruento. Urlo emesso un secondo prima dell'istante, urlo che presagisce la disgrazia, immobile, in un presente inesistente, fluttuando tra il suo passato e il suo futuro! Urlo di chi ha visto Dio sopraggiungere all'orizzonte, mentre nell'ombra si fa sera, di chi ha rimorsi d'omicidio e rimpianti d'altruismo, di chi divenne aruspice dell'epilogo dell'universo, di chi è cosciente d'essere solo di fronte al baratro. L'urlo di chiunque in ogniquando la morte passa accanto con la sua veste logora e di velluto viola, la sua veste morbida di lutto. L'urlo dell'occhio che vede in distanza incedere la malattia, adagiata comoda sulla sua carrozza, dal viso giallognolo e malsano, sfondo di un ghigno beffardo, un androgino adorno di magrezza scarna avanza verso il centro della stampa con grida antiche e flash di pestilenza, fame, carestia, di lamenti d'infanti senza cibo. Urlo di donna a cui il Demonio ha annunciato la nascita d'un nuovo dio. Urlo di doglia di Poesia che partorisce affanno e orrore sbigottito. Urlo d'incesto di chi ha visto se stesso, improvvisamente, fottere sua madre, ha visto le sue mani conosciute indovinare nelle sue mutande il seguito dell'adolescenza, ha amato il suo sorriso di libidine, la sua intima sporcizia e corruzione, il calore di chi non si lava, il calore del peccato, le guardava la schiena mentre schiumava esausto sperma prorompente verso l'alto. Guardava nei suoi capelli l'ombra di un padre ucciso, e la sua pelle di papiro diveniva schermo d'eterna tragedia. Ha visto a breve distanza un cadavere aprirsi un varco fra la terra che cela il regno dei morti e dei vermi, ha annusato il suo tanfo sgradevole, le sue membra senza lembi di pelle a coprirle. Un cadavere che avanza puntando il dito ad accusarlo di atroci misfatti, avanza nel carnevale della morte, mentre agganciati alle catene che pendono dalle sue caviglie rumoreggiano fardelli di inconfessabili segreti. La percezione si è interrotta. L'urlo di chi sprofonda incosciente nel vortice dell'incubo, dinnanzi sulla strada, si snodano radici d'oblio, si inseguono immagini di terrore drogato, panico di oppio e cristallo insanguinato. Appaiono vascelli adagiati su vermigli fiumi che ad un tratto si son fatti sangue dove galleggiano purpurei carnosi assembramenti. Si decompongono le salme di antiche ed epiche battaglie. Il corpo di Patroclo si contorce nella danza della morte fra i turbini del liquido, fra l'increspato e caotico movimento appare il viso d'Alessandro, ritratto immobile nella morte, con occhiaie slavate dalla malattia. Approda a riva Cesare con i suoi mille pugnali disperdendo rivoli sanguigni nella sabbia invetriata. Ha visto carri armati e giovani eserciti incoscienti condotti al patibolo dai piedi della propria nazione, ideologie che si son fatte ghigliottine, presunte libertà che hanno ingaggiato boia incappucciati. Ha visto la solitudine strisciare sporca di sangue, aspettando il nemico, un nemico necessario e immaginario che si lascia attendere fino al termine della notte.
L'urlo del comandante dinnanzi alla disfatta dei compagni. L'urlo del bambino quando vede mostri ingioiellati sopraggiungere di notte per cavargli gli occhi. Terrore umano, dramma psicologico, fobia di castrazione, paura di un dolore che il tempo non sa curare. Il grido del folle e del reietto che commisera la sventura del cieco genere umano. Il preludio alla catastrofe, immagini di assassinii da pagina nera, dolore lontano e nascosto fra ombre sconsolate. L'urlo del santo, dell'eremita, dell'asceta. L'urlo del marinaio quando il mare è in tempesta. L'urlo del filosofo dinnanzi a tanta indifferenza, l'urlo dell'artista contro una bellezza affettata, l'urlo del poeta davanti a una rima scaduta. L'urlo dell'uomo, che precipita verso il basso, ineluttabile abisso, inevitabile gravità del globo che pesa, galleggiando nella stasi del pensiero.
L'urlo del profeta cieco e stanco che intuisce la disfatta della prole d'Adamo. L'urlo della fine e del principio, l'urlo della propria anima, terrorizzata al cospetto del suo involucro. Grida straziate su un filo di follia, labile membrana di pace persa nelle speranze già sfiorite. L'urlo di chi ha visto Marat riverso in una tela e con essa morta ogni speme di cambiamento, novità, rivoluzione, rinascita. Ma l'urlo è sempre quella bocca, quella fessura in un'effige, quella voragine in una parete che è monito per gli stolti e accusa per i saccenti, quel monito d'umile bruttezza, è l'urlo di campane di terrore che emettono cupi gemiti di morte. È un urlo che non si può soffocare dentro al petto, è un urlo che non possiamo annegare nella saliva, ma che dobbiamo far vibrare. È il nostro urlo contro il mondo, manifesto programmatico di una nuova era: passione, emozione, orrore, commiserazione, pietà, urlo. Resta solo una domanda da museo e un aura interrogativa di mistero, un perché, ma è forse proprio per questo che il terrore impressiona maggiormente: perché non si sa realmente da che cosa sia prodotto, ma si deve urlare! Proprio come se tutti avessimo all'interno un saggio demone, un indovino malizioso in un corpo di Dio che non sa far altro che ripetere incessantemente il canto di se stesso.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010