Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
6ª edizione - (2003)

L'incontro con il diverso attraverso un'esperienza di lettura
di Giacomo Cardaci
Primo premio

Ho in mente le mani della sarta di Cien Fuegos che hanno unito le tue stoffe. Le immagino minute, gracili, in parte screpolate per il troppo lavoro e per il troppo caldo di Cuba, sudate, impegnate nel lavoro di cucitura, con un fastidioso ago fra le dita che continua a scivolare andando su e giù su e giù su e giù, fra vecchi ventilatori che tentano di rinfrescare l'aria afosa della sartoria "Eureka" e vecchie comari mulatte che stirano e cuciono e fanno gli orletti, forse sotto lo sguardo vigile di chi ti ha commissionata. Lo stesso sguardo di quella persona che tempo fa aveva comprato le tue stoffe viola, blu, azzurro, verde, giallo, arancione, rosso e che si era ripromessa di farne una bandiera, una bandiera speciale da far cucire in un posto speciale, una bandiera che mi ha regalato sventolandomela in faccia grondante di felicità e che le ho strappato di mano con la stessa gioia di un bambino che strappa la carta di un pacchetto regalo. Perché vedi, io ti ho tanto desiderata, tanto cercata, tanto aspettata, sin da quando ero piccolo. Da quando, per esempio, attraversavo la strada che mi separava dalla mia amica Francesca Bassi e andavo segretamente a giocare con le barbie nella sua cameretta dalla carta da parati rosa e dalle lenzuola coi pizzi. Mi piaceva così tanto giocare con le barbie! Vestirle, pettinarle, portarle in giro per lunghe passeggiate, farle sposare e farle divorziare, farle litigare come litigavo io con mio fratello che mi scambiava per una bambina e mi diceva femmina-femmina-sei-una-femmina, sotto lo sguardo dubbioso dei miei genitori. Da quando, per esempio, invidiavo le mie compagne di classe delle elementari che insieme a delle suore vestite di nero se ne andavano in una stanza speciale a imparare a cucire, ed io mi ritrovavo a costruire squallidi barattoli di carta insieme ai bambini che prendevano in giro le bambine. Eppure mi piacevano così tanto le bambine quand'ero piccolo! Io mi ci divertivo, con le bambine, come nessun bambino si è mai divertito, ci saltavo la corda insieme, ci ballavo anche!
Da quando, per esempio, il primo giorno nel centro vacanze il mio amico Ludovico cominciò a chiamarmi Clara. Non so perché proprio Clara, non gliel'ho mai chiesto. Evidentemente Clara era un nome che si addiceva ai miei modi, ai miei sguardi, al mio parlare, al mio camminare, al mio giocare sempre a pallavolo durante gli intervalli. Ah, sì, la pallavolo! Ho sempre amato la pallavolo, ma ho dovuto smettere sai? Sì, ho dovuto smettere, ho dovuto smettere per colpa del ricatto di chi guardava alle mie barbie, al mio parlare-camminare-guardare, al mio schiacciare piuttosto che calciare, con il sospetto tipico di chi dubita, di chi sa ma non vuole sapere, di chi vede ma non vuole vedere o, ancor peggio, crede ma non vuole credere. Un ricatto sporco, lo so, e ingiusto: il ricatto di dover giocare a calcio per avere una dignità, uno sguardo compiaciuto, una stabilità interna. Il ricatto sporco e ingiusto di dover fare ammazzare i robot piuttosto che far fare le passeggiate alle barbie; il ricatto sporco e ingiusto di dover amare il Milan, lodare il Milan, invidiare il Milan, voler far parte del Milan; il ricatto sporco e ingiusto di dover sopprimere la mia dignità, il mio volere, il mio benessere, per una dignità, un volere, un benessere altrui, il benessere di chi mi guarda, di chi ha dubbi, di chi sospetta, di chi sa-ma-non-sa, crede-ma-non-crede. Della gente che ti scruta come un soldato scruta il suo nemico, che ti condanna come un giudice condanna il suo imputato, che ti uccide come il boia uccide la sua vittima. E non si tratta di un omicidio fisico, sai, si tratta di un omicidio morale, l'omicidio della tua dignità, del tuo orgoglio, della tua persona. Credimi, non c'è nulla di peggio che l'omicidio della tua dignità-orgoglio-persona, perché nella vita puoi sopravvivere ai soprusi, alle cicatrici, agli schiaffi, ma non puoi sopravvivere agli sguardi: gli sguardi sono micidiali, più delle parole. Gli sguardi sono sassi, schegge, lame che ti tagliano la gola e che ti fanno essere quello che tu non sei secondo la triste anzi la sciocca legge della normalità, della normalità sposata alla presunta giustizia, alla presunta ragione umana, alla presunta decenza. Ma cos'è la decenza, me lo dici, cos'è? È forse riempire gli stadi la domenica insultandosi, picchiandosi, uccidendosi fra tifosi? È forse portare i pantaloni se sei un uomo, la gonna se sei una donna? I capelli corti se sei un uomo, lunghi se sei una donna? È forse odiare la scuola, temere di esprimere apertamente un sentimento, di piangere, è amalgamarsi a una moda ciecamente?
Sì, bandiera, avrei voluto avere la forza di cucirti io, di unire io le tue stoffe, ma ora lo sai perché non l'ho fatto, non ho potuto: non so cucire. Non so tenere in mano l'ago, non me l'hanno insegnato, e quando ci ho provato mi sono bucato le mie magre mani. A me da piccolo hanno insegnato a fare i barattoli con le scatolette di latta, a fare aeroplanini con le mollette di legno, a fare portaceneri con la plastilina, non a cucire, mio Dio! I bambini non cuciono! Nossignore, i bambini sono bambini! Gli uomini sono uomini! Le donne donne! Ed io, io cosa sono? Da che parte sto? Esiste una linea così netta che divide un sesso da un altro? Esiste un baratro così profondo fra i due? Può un uomo amare un altro uomo? A te la risposta, bandiera, a te il pensiero, bandiera, a te l'orgoglio di rappresentare la mia dignità.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010