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6ª edizione - (2003)

Fabrizio De Andrč: un incontro col diverso

Quando leggo, ascolto, guardo qualche cosa lo faccio o perché il mio dovere di studente me lo impone oppure perché capisco che ciò che ho davanti contribuisce ad una formazione culturale solo mia e ancor di più ad una formazione umana solo mia.
Così è successo con la poesia di Pasolini, quella di Alda Merini ma anche con le opere di Mozart, Cherubini, Verdi, Strauss, con i preludi di Tàrrega e con i dipinti di Schiele. Nella mia vita però è comparsa una figura che si è rivelata fondamentale per questo percorso del tutto personale, quella di Fabrizio De Andrè che non rientra strettamente nella sfera "letteraria" sebbene nel suo caso si dovrebbe fare una eccezione (compare infatti in diversi libri di testo, fra cui nel mio testo di letteratura greca nella sezione percorsi paralleli: il volto del diverso).
Anche se lui stesso preferiva esser considerato un cantautore, appoggiando così la tesi di Benedetto Croce secondo la quale dopo i 18 anni rimangono a scrivere poesie due categorie di persone, i poeti e i cretini (perciò precauzionalmente preferiva essere considerato un cantautore), penso che nella sua opera si possa tracciare un iter poetico. Quello che fece fu abbinare ad un testo poetico un accompagnamento musicale (con gli anni sempre più affinato, sia che decidesse di rendere omaggio a composizioni celebri come il Concerto De Aranjuez di J. Rodrigo sia che attuasse una ricerca di nuove sonorità come avvenne per un disco in dialetto genovese). Perciò se ci si limita a leggere i suoi testi ci si trova di fronte a poesie, tali le ha definite lo stesso Mario Luzi e quindi un poeta con la P maiuscola in una lettera pubblicata su un saggio sul cantautore in cui si scusa per essere invecchiato nella quasi totale ignoranza del suo talento.
Se esistono quindi confini fra canzone e poesia penso che nessuno meglio di De Andrè sia riuscito ad abbatterli aprendo così la strada a coloro che, come lui, hanno cantato in poesia la ribellione e le ingiustizie sociali.
L'aspetto più interessante nella sua opera e che lo eleva in dignità è l'aver dato la possibilità al diverso di potersi esprimere e riscattarsi, ha in qualche modo prestato la sua voce, il suo volto al diverso. È proprio questo aspetto della sua poetica che mi ha permesso di guardare la realtà da un altro punto di vista; il suo pensiero era forse ciò che stavo aspettando da tempo, quel qualcosa con cui ognuno di noi nel corso della vita viene a contatto che rivela aspetti intimi della realtà che la società ha voluto nascondere.
Di fronte alla vasta produzione mi viene spontaneo partire dalla fine, una fine crudele che non gli ha permesso di esprimersi sui temi attuali per i quali il suo parere sarebbe illuminante.
Partire dalla fine significa partire da Anime Salve un disco del 1996 in cui a parlare sono gli spiriti solitari a cui il titolo allude (il significato etimologico di anime salve è proprio spiriti solitari); in questo viaggio De Andrè sembra fare un elogio della solitudine (come egli stesso ha detto) cioè di quella dimensione in cui riusciamo ad avere più facilmente contatto con ciò che ci circonda che non è certamente uguale a noi.
A questo punto emerge la figura di Prinçesa, un transessuale che parla in prima persona con la voce del cantautore e che racconta il suo tragico vissuto attraverso il quale si riesce a comprendere in maniera esemplare il pensiero di De Andrè. Si tratta di un ragazzo nato a Bahia che sentendosi imprigionato in un corpo nel quale non riesce a riconoscersi, è costretto a lasciare la famiglia e il luogo natio per farsi operare e quindi cambiare sesso; quello che questo comporta è uno stato di dolore che sia lui che i suoi parenti si porteranno dietro per tutta la vita. De Andrè quindi immagina le sofferenze provate da colei che poeticamente chiama "bambola di seta", le battaglie con il proprio corpo, la riaffermazione di una nuova identità ma anche la difficoltà affrontate da una persona scomoda per la società che di fronte a un dramma umano come questo non sa far altro che deridere la persona stessa e abbandonarla nel suo dolore, dimostrando così una superficialità disarmante.
De Andrè si pone come tramite fra la società e il diverso a cui presta la voce, permettendo a quest'ultimo di farsi ascoltare, ruolo ricoperto da altri poeti e cantautori primo fra tutti il francese Georges Brassens, suo vero maitre-à-penser.
Ricordo ancora le emozioni provate la prima volta che ascoltai Preghiera in gennaio composta la notte prima del funerale del suo amico Luigi Tenco, il cantautore suicida al festival di Sanremo del 1967, nella quale si rivolge a Dio ma anche ai benpensanti che in un certo modo hanno contribuito alla sofferenza di quel ragazzo "con le labbra smorte che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte". Infine ci restituisce un'immagine del suicida che è più viva che mai dal momento che servirà da esempio per coloro che vivranno dopo di lui:

"meglio di lui nessuno mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare.
Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento.
Dio di misericordia vedrai, sarai contento.
" (in vol.1, 1967)

Ripercorrendo così l'opera deandreiana si incontrano prostitute, drogati (protagonisti di un cantico struggente) omosessuali, il popolo rom che da molta gente non viene considerato tale perché ha la caratteristica di non avere territorio, in realtà è un popolo a tutti gli effetti con una storia di duemila anni e una tradizione antichissima e che per di più, gira il mondo senza armi. Si incontrano i banditi che lo sequestrarono con la sua compagna per quattro mesi sul Supramonte in Sardegna, banditi che non esita a perdonare riconoscendo che i veri sequestrati sono loro, dei semplici pastori usati come strumento per eseguire il rapimento i cui mandanti erano un assessore, un medico e simili che conoscevano la famiglia De Andrè.
Uno dei punti più alti lo raggiunse, secondo me, con la rivisitazione della buona novella con un disco del 1970 intitolato per l'appunto La Buona Novella che aveva come fonte i vangeli apocrifi. Il cantautore ripercorre la storia di Giuseppe e Maria, la nascita di Gesù fino alla sua crocifissione al fianco dei ladroni Tito e Dimaco, scena che viene descritta dalle madri dei tre condannati. Stupisce la profondità delle parole di queste madri nei confronti dei figli che vedono uccidere sotto i loro occhi. La madre di cui ci si stupisce ancora di più è Maria che De Andrè ci descrive disperata perché vede morire il figlio innocente che ha partorito dopo nove mesi di gestazione, che ha amato più di se stessa e non quello che tutti chiamano "figlio di Dio":

"per me sei figlio, vita morente,
ti portò cieco questo mio ventre,
come nel grembo, e adesso in croce,
ti chiama amore questa mia voce.
Non fossi stato figlio di Dio
T'avrei ancora per figlio mio
" (da: Tre madri - La buona novella, 1970)

Il suo percorso finisce con Smisurata Preghiera, l'ultima canzone dell'ultimo disco:

"per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità, di verità.
" (da: Smisurata Preghiera - Anime Salve, 1996)

In questa preghiera che è la summa di tutto, è evidente la tematica che gli stava più a cuore e che forse è riuscito meglio a trasmettere: l'insofferenza alle maggioranze. "Hanno la cattiva abitudine" - diceva durante un concerto circa le maggioranze - "di guardarsi alle spalle e contarsi e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di avere il diritto di vessare, di umiliare le minoranze". Un discorso più vicino all'anarchismo piuttosto che al positivismo.

Di fronte a questa profonda umanità non ho potuto far altro che rimanere stupito come mai mi era successo per la sensibilità e la partecipazione con cui quest'uomo ansioso di giustizia sociale sia riuscito a trattare alcuni temi e a metterli in luce più di quanto fanno quelli che dovrebbero e a volte mi chiedo come sarebbe la mia vita senza questa presenza illuminante.
Ogni volta che incontro un transessuale, uno zingaro mi accorgo che in fondo non sono tanto diverso da loro così come non lo sono coloro che reggono uno stato e a cui noi affidiamo il compito di guidarlo e che, a mio avviso, dovrebbero trasmettere valori come quelli che ho ricevuto e ho fatto miei dalla lezione di vita di Fabrizio De Andrè.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010