Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
4ª edizione - (2001)

Il rimpianto (fortemente influenzato da Luchino Visconti)

Ricordi? Il cielo si scuoteva di dosso le nuvole, le piangeva via.
Sono felice che ricordi. È così importante per noi.
E ora? Ora, in questa vecchia casa. Fai, mi hai detto quel giorno. Ma fai.
Come vedi ascolto quello che dici. Ho agito. Magari senza pensare. Magari con rabbia.
Ma è stato un tale groviglio… Come ci siamo finiti? Me lo sai dire?
Permettimi: un po’ è stata colpa tua. Ci hai inflitto un colpo così duro!
Ascolta, lo so che non l’hai voluto. So che non abbiamo diritto di giudicarti.
Dobbiamo solo starci tutti vicino.
Oh, non fare così. Non dopo quello che è stato. Ci facciamo male e basta.
Su, avvicinati, che ti abbraccio. Questo lo possiamo fare.
Ora guardami negli occhi. Mi dispiace, hai capito? Io avrei dovuto cercarti quella sera, al prato delle campanule gialle. Cercarti che ti lavavi la faccia al fiume, e parlarti. Non so se avrebbe migliorato le cose, ma certo ti avrebbe fatto bene.
Dici di sì? Ci avrebbe aiutato? Abbiamo perso qualcosa non parlando allora?
Ti capisco. Non ami vivere qui a nostre spese. Ancora per due mesi… Ma resisti, non abbiamo trovato di meglio. Fra due mesi hai diciotto anni, e non potranno più venire a prenderti.
Ma ascoltami: non devi fare pazzie. Lo sai cosa intendo.
Ricorda che hai una vita sola, e puoi essere felice. Come abbiamo fatto quel pomeriggio che pioveva. Fai. Ma fai.
Te lo ricordi? Dai, sorridi un po’. Vedrai che poi stai meglio.
Scusa, non puoi evitarlo. Ma guarda il poco bene che c’è. Sei qui, con noi. Ora nessuno ti dirà cattiverie. Le notti di cui mi racconti, a casa di tua madre… litigare fino al mattino… urlarvi cose che facevano piangere tutt’e due, ecco, sono passate.
Davanti a te c’è una vita nuova.
Chiusa è quell’altra, di quando non si vedeva l’ora che giungesse il sabato per ritrovarsi tutti qui al lago. Ma ci pensi a quanto ci siamo divertiti? Riesci a vederle tutte insieme le cose che abbiamo fatto?
Appunto. Forse abbiamo fatto tutto ciò che potevamo e poi è finito.
Ricordi Monte Croce?
Forse fu la sera più bella della nostra vita. Non pensi anche tu?
Lo vedi, siamo fatti l’uno per l’altra. Pensiamo le stesse cose.
Hai ragione, scusami. Non dovevo dirlo.
Ma non essere triste. Proviamo a ricordare quella sera.
Perché dici così? Non è vero che siamo vecchi perché guardiamo al passato. È ingiusto da parte tua, non abbiamo anche dei progetti? O te ne sei dimenticata? Riguardano te!
Sì.
Certo, continuo. Ecco, io quando ripenso a quella sera ringrazio di essere vivo. Ti giuro, Sara, mi basta quella sera. Spero valga anche per te.
Il fuoco si smorzava pian piano: ricordi il crepitare nel silenzio della notte? Anche la chitarra taceva, stesa sull’erba lì vicino. Quando mi hai preso la mano ho sentito il riverbero di vecchie ferite; e ti ho adagiata sull’erba.
Non sono più innamorato di te. Non devi pensarlo. Adesso siamo come quand’eravamo bambini. Ricordi quei tempi? Il bello era la spontaneità che avevamo. Quando abbiamo fatto tutti il bagno nudi nel lago, senza vergognarci. Dillo che ti piacerebbe tornare a quei tempi. Poter rifare tutto da capo.
È cambiato da poco. Anche solo un anno fa non era così. Quando ci guardavamo non c’erano sottintesi intrecciati nell’iride.
Siamo rimasti impigliati negli inquinamenti degli altri.
Comunque, ecco, ho detto queste cose perché mi sembrano spiegare bene il pomeriggio a casa tua. Ricordi come arrivai senza fiato? Ti chiesi riparo per la pioggia imminente. Mi hai accolto in camera tua. Mi dicevi che amavi la pioggia e inventavi delle poesie. Ti sei interrotta, mi hai fissato, e poi Aspetta qui hai detto, ti sei alzata dal bordo del letto e hai preso un foglio scritto a mano. Ce l’hai ancora quel racconto? Conservalo sempre.
Quando l’hai riposto siamo stati in silenzio ad ascoltare la pioggia, e il sommesso rotolare dei tuoni. Stesi la mano dopo sei tuoni. Passai le dita sul tuo volto, lentamente, giù per il liscio della tua guancia. Ma ecco, quand’ero alle labbra mi prendi la mano. La tieni stretta al tuo viso, io chiudo gli occhi e colgo la fossetta del tuo mento, e i baci piccoli che mi dai sulle dita. Tu mi guardi, non dici, fremi. Ti passo la mano su tutta la faccia, sulla fronte, sulle orecchie, sugli occhi, e boccheggio quando sento la tua piccolina. Il settimo tuono ci stringe l’una sull’altro, impazienti di gioia.
Quel momento ha segnato una tappa del percorso. Prima d’allora, certe volte con gli altri andavamo nei boschi e non tornavamo più. E le ragazze potevano restarsene in paese. Da allora ci siamo cercati quanto? Quante notti ti ho portata sulle spalle a esplorare il paese?
E le fughe notturne. Dicevo ai miei che andavo in tavernetta a passare la notte, ma poi scappavo dalla porta del garage. E venivo a prenderti. Mi attendevi al prato delle campanule gialle, e quando ci scorgevamo avevamo entrambi un sussulto. Ci prendevamo stretti e io ti sentivo aderire tutta a me.
Ora rispondi. Era bello quel periodo? Ti sentivi felice, è vero?
E allora perché ci hai posto fine?
No, non lascio perdere. Sono dovuto uscirne troppo ferito per lasciar perdere ora. Ma perché? Io ti guardo, sei così bella. Sei la cosa più bella che mi sia capitata. Non doveva accadere a te.
L’ultima sera del nostro periodo felice ci trovavamo tutti da Matteo. Tu mi hai condotto in un angolo e mi hai dato un bacio lunghissimo. Poi hai detto che dovevi andare in bagno. Ti sei voltata.
Sono tornato dagli altri e mi sono concentrato sulla serata. Ma non abbiamo potuto aspettarti in eterno.
Bussiamo alla porta, discretamente, ti chiamiamo, Sara dobbiamo andare.
Insistiamo con forza, ormai è chiaro che non aprirai. Matteo si getta sulla porta e la sfonda con una spallata.
Siamo entrati nel bagno. C’era vapore dappertutto. Nell’aria sfocata ho visto la vasca, e la mano tua sanguinante. Ho urlato Guardate. Ci siamo accalcati attorno a te, alla vasca rossa. Eri svenuta. Tutti insieme abbiamo gridato, ti abbiamo tirata fuori di lì quasi con violenza. Sei rovinata sulla porta caduta, con un tonfo bagnato.
Lucrezia si è sconnessamente presa cura di te, ti ha fasciato le vene, e noi,
Perché scuoti la testa? Ti dispiace? Anche a noi dispiace.
E tu dovevi parlarne con noi. Ti avremmo aiutata. Avremmo trovato qualcosa come adesso per tenerti lontana dai tuoi.
Perché poi non ti ho detto della notte in ospedale. La notte più bella della mia vita. Sai, piangevamo a turno. Era prodigioso, ci davamo il cambio con la regolarità di un pendolo. C’eravamo solo noi. I tuoi neanche a parlarne. I nostri genitori non sapevano che eravamo scesi in città.
Va bene la smetto.
Anche perché c’è poco da aggiungere. Da allora ti hanno segregata in casa. A capodanno per uscire hai dovuto fare quello che hai fatto.
Ecco, vedo Lucrezia avvicinarsi. Ha in mano un sacchetto per il pane. Hai visto, mangiamo qualcosa. Pensa che buono, appena fatto.
Come quando eravamo ragazzi, e il fornaio ce li regalava.

A Sara. Volevo essere la tua vita in quell’ospedale.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010