Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
12ª edizione - (2009)

Laura degli alberi ispirato alla lettura di "Ma le stelle quante sono" di Giulia Carcasi

La pioggia cade fitta lungo la strada buia e non vedo nulla. Corro con tutta la forza che mi rimane, ma i pantaloni strappati mi intralciano. Piango. Piango disperatamente. Qualcuno mi sta raggiungendo. Le gambe cedono e cado, mentre la pioggia mi colpisce forte il viso, sento passi pesanti avvicinarsi e... mi sveglio di soprassalto, madida di sudore e tremante di paura! Il solito incubo. L'incubo di tutte le mie notti.
Non posso più dormire e mi siedo sul letto con la testa stretta tra le mani. Piango di paura.
È ormai mattina e devo andare a scuola. Mia madre, giù in cucina, prepara la colazione. Scendo velocemente le scale e sussurro un flebile: "Ciao", chiudendomi la porta alle spalle. Non riesco più a guardarla. Non riesco più a guardare nessuno. Per strada cammino a testa bassa, ho paura dello sguardo della gente, ho paura che possano ferirmi di nuovo.
Sono Laura, una ragazza di quindici anni che è stata costretta a crescere troppo in fretta.
Frequento il liceo artistico di Milano, ma di artistico, in me, non c'è più nulla.
Nessuno sa più niente di me, ho smesso di parlare con tutti. Nessuno sa che sono stata violentata da un ragazzo che credevo amico, ma che si è rivelato il mio peggior nemico. Ero una ragazza solare, sempre allegra e adoravo la vita. Una vita che mi ha tradito. Una vita così diversa da come l'avevo sognata e desiderata.
Voglio diventare invisibile e ci sto riuscendo: gli amici di un tempo hanno rinunciato a capire e, ormai, anche a salutarmi.
Mi siedo al banco che ho scelto: l'ultimo nell'angolo a destra per poter guardare tutti di spalle. La mia adorata cartelletta dei disegni contiene solo schizzi a carboncino: decine di alberi senza foglie, senza fiori, senza frutti. Le lezioni si susseguono regolarmente ma io aspetto solo la campanella della fine, pronta a scattare verso l'uscita: il pensiero che qualcuno possa spingermi e toccarmi mi fa rabbrividire.
Finalmente apro la porta di casa e salgo di corsa in camera. Per la mia povera mamma ho in serbo la solita stupida bugia: "Ho mangiato un panino per strada. Non ho fame e ho un mare di compiti da fare".
Fuori piove forte, proprio come nel mio sogno. Mi metto le cuffie dell'I-Pod e alzo il volume, per coprire il rumore della pioggia. Mi addormento.
Da mesi questo è tutto quello che è rimasto della mia vita.
Un altro giorno e un'altra fuga al suono della campanella... "Accidenti, stai un po' più attento!" "Scusa!" sento dire mentre tremo come una foglia e i miei alberi morti trasformano il pavimento in una foresta devastata. "Niente..." sussurro io, mentre guardo da sotto la frangia il volto di un ragazzo un po' più vecchio di me. Un volto un po' confuso. Un volto dolce.
"Adesso raccolgo tutto io! Non preoccuparti! A proposito mi chiamo Alessandro... piacere di conoscerti!" mi dice porgendomi i disegni accatastati alla rinfusa. Li strappo dalla sua mano e scappo senza neppure voltarmi, ma non posso fare a meno di pensare che questo "incontro" ha spezzato il mio silenzio di mesi.
Altre notti trascorrono, impercettibilmente meno nere e, sorprendentemente, senza incubi Poi...
"Ehi! L'altro giorno sei scappata senza neppure dirmi come ti chiami!" È lui. La sua mano sulla mia spalla non mi ferisce.
"Ah sì... scusa... mi chiamo Laura" rispondo timidamente.
"Wow! Sono molto belli!" dice indicando i disegni nella cartelletta aperta sulla mie ginocchia.
"Già..." rispondo, mentre cerco di coprire i ritratti del suo viso con gli schizzi degli alberi ai quali, chissà perché, sono spuntate le prime timide gemme di primavera.
"Dovresti darmi una mano... non sono molto bravo a rappresentare i particolari del corpo... sai, sono all'ultimo anno e devo essere eccellente in tutte le materie, altrimenti addio diploma!"
"Non credo che sia una buona idea..."
"Perché?!"
"Non so... non ci conosciamo" rispondo confusa.
"Io Alessandro, tu Laura. Di che altro c'è bisogno? Se per te va bene, ci vediamo qui dopo la scuola alle quattro! "
Un ok indifferente sfugge dalle mie labbra mentre cerco di convincermi che non potrà succedere nulla, che dopotutto mi ha solo chiesto aiuto per disegnare. Mi sento stupida, sono arrabbiata con me stessa, ma non posso impedire a un sottile raggio di gioia di colpire il centro preciso del mio cuore.
Alle quattro precise Alessandro entra in classe con i fogli e gli strumenti da disegno.
"Ciao! Hai visto, sono stato puntuale!" dice salutandomi con la mano.
"Puntualissimo!"
"Allora, com'è andata la scuola? Ti hanno interrogato?" mi dice sedendosi accanto a me (troppo vicino! Pericolo!).
"Tutto bene, ma ora cominciamo..." e mi allontano da lui per quanto possibile, mentre il suo buon odore mi avvolge (troppo buono! Attenta!).
"Che cosa devi disegnare?"
"Una mano che raccoglie una rosa, ma viene punta dalle spine! Un disegno praticamente impossibile!"
"No...non impossibile, solo un po' difficile..." rispondo, iniziando a schizzare sul foglio una mano (la sua! Stupida!).
"Vedi sempre il lato positivo di ogni cosa, eh?"
"Ci provo, ma non sempre ci riesco... Adesso guarda bene la mia mano, guarda come si muove per disegnare le dita, è tutta una questione di movimento! Fluido... segui i contorni che vedi sul foglio con gli occhi della mente..."
Ora la sua mano si è posata sulla mia (è calda! Paura!) la avvolge completamente abbandonandosi al suo movimento... (un tuffo al cuore! Scappa!).
"Basta! Per oggi è più che sufficiente!"
"Che succede?"
"Niente... è tardi, devo andare a casa."
"Ma come?! Abbiamo appena cominciato!"
"Scusa, devo proprio andare..." (Corri! Corri!).
"Aspetta! Solo un secondo... Facciamo così... ti passo a prendere oggi pomeriggio alle cinque, andiamo a fare una passeggiata e mi racconti cosa non va... ok?"
"Forse..." (Corri! Corri!). Inizia a piovere.
Entro dalla porta lancio la borsa sulla sedia della cucina e mentre salgo di corsa le scale urlo a mia madre: "Oggi esco!". Non ho visto la sua reazione, ma sono certa che ha tirato un sospiro di sollievo.
Apro l'armadio e mi siedo sul letto. Sono indecisa su cosa mettermi, da troppo tempo non presto attenzione all'abbigliamento. Tiro fuori un paio di jeans chiari, una maglietta viola e un paio di ballerine dello stesso colore della maglietta. Mi guardo allo specchio. Per quanto tempo ho ignorato la mia immagine?! In un attimo, come per magia, il mio corpo è tornato ad appartenermi e Laura mi guarda sorridente dal mondo dietro lo specchio.
Ci incamminiamo verso il centro, attenti a non sfiorarci, e ci fermiamo ad una gelateria... era la mia preferita una volta.
Io ordino un frappè alla cannella e lui una coppa di gelato al cioccolato.
"Allora, vuoi spiegarmi cosa ti è successo ieri?"
"Ecco... è complicato, non credo che tu possa capire..."
"Prova, io ti ascolto" mi risponde sfiorandomi la mano.
"Io... diciamo... che ho vissuto l'esperienza più brutta per una ragazza..."
"Che esperienza?"
"Prova ad immaginare... sto sempre da sola, non voglio che i ragazzi mi tocchino più... ti prego, dirlo mi fa ricordare, e ricordare mi fa male...".
Le lacrime riempiono i miei occhi, ma non voglio piangere.
"Mi dispiace..." dice abbassando lo sguardo e stringendo ancora di più la mia mano.
"Hai capito?"
"Sì."

È primavera e sugli alberi nella mia cartelletta sono sbocciati grappoli di fiori dai mille colori.
Forse è possibile una nuova stagione, forse è possibile che venga l'estate.
Per ora non piove più e questo mi basta.

Laura


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010