Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
12ª edizione - (2009)

Un’esperienza di lettura

Mi avviai alla finestra per constatare il tempo. Scesi le scale del mio vialetto e già sentivo un freddo che mi infilzava come migliaia di aghi su tutto il mio corpo. Camminai, sentendo le mie guance, il naso infreddolirsi e le mani venir scheggiate da quel freddo acuto e pungente che caratterizzava quel dicembre.
Il ghiaccio era sottile sul cemento, incolore, ma sotto i piedi era letale, una mossa falsa e si poteva scivolare senza nessun appiglio per potersi rialzare in piedi. Scelsi la strada che, attraverso il bosco, mi avrebbe portato dove intendevo recarmi.
La neve sembrava farina sotto i miei piedi, era soffice, candida e innocente. Tutto ciò che mi circondava era semplicemente bianco. Dal più piccolo ramoscello allo steccato del recinto dei vicini di casa, qualunque cosa avesse un minimo di spessore ospitava la neve.
I miei piedi avanzavano, non ancora infreddoliti come, invece, i miei pensieri erano.
Non si udiva rumore, solo il leggero posarsi di pazienti fiocchi bianchi che, volteggiando, atterravano andando a rimpolpare quello strato di polvere, non ancora congelata ma che, con l’arrivo dei raggi del sole, si sarebbe presto sciolta al suolo.
Non potevo più neanche soffiare il naso tanto era indolenzito, sia dal freddo sia dal continuo sfregarsi contro i ruvidi fazzoletti di carta.
Una rondine volava bassa, come se anch’essa soffrisse di quel coperchio dal colore nullo, triste senza vere tinte: giallo o forse bianco o grigio, più probabilmente il misto delle tre tonalità. Il colore era semplicemente triste e malinconico.
Pallore.
Gli alberi nudi sembravano voler prendere la propria strada, chi a sinistra, chi a destra, chi verso l’alto, chi verso il basso. Solo d’inverno, la meno amata delle stagioni, si poteva osservare e apprendere il vero senso dell’individualità.
Vi erano foglie che a dicembre erano ancora attaccate ai rami pressoché disadorni e altre che non lo erano più già dal primo venticello di ottobre; si erano lasciate cadere per andare a costituire un letto colorato su cui le persone appoggiavano piedi veloci.
Una strana luce era restia a svanire, illuminava ma non abbastanza da farne uso da sola.
Il freddo pungente penetrava tra le vesti più calde, secco, schiaffeggiava le guance ormai rosee di chiunque affacciasse il proprio viso al di fuori della sciarpa.
Non riuscivo più a pensare, il mio sguardo si perdeva nel paesaggio circostante bianco e tutto uguale.
Il venticello freddo giocava con le foglie facendole sfiorare quel legno dipinto della panchina per poi ricadere a terra, di fianco ad una buca.
Il tempo era così ostile che mi venne in mente un solo posto dove potermi riparare da tali circostanze così inesorabilmente malinconiche, l’unico luogo al mondo in cui potevo rimanere ore e ore di seguito: la libreria.
Vi entrai senza esitare, né chiedere permesso e da subito mi rilassai, le spalle non erano più tese e i miei occhi s’illuminarono, chi mai aveva stabilito che ci si lucidava gli occhi solo guardando le persone dell’altro sesso?!
Libri.
Slacciai la giacca e rimboccai le maniche...ve n’erano così tanti...
Guardandosi intorno vi erano così tanti volumi che era impossibile conoscerli tutti. Eppure mi lasciavano perplesse le commesse: sapevano sempre dove quei poveri testi fossero, nonostante giocassero a nascondersi dagli sventurati clienti che, disperati, ricorrevano a una richiesta affinché le incaricate trovassero per loro l’opera di cui, improvvisamente, non potevano fare a meno.
Sorrisi alle facce spazientite e desolate, che componevano una massiccia fila al bancone Informazioni.
Perché dobbiamo sempre arrivare in libreria con già un titolo e non prendere in considerazione neanche gli altri libri, così numerosi e vistosi? Perché partire con uno, escludendo tutti gli altri?
Il pensiero che quelle donne sapessero esattamente il posto di ogni libro mi spazientiva, tanto che avevo l’abitudine di chiedere sempre dove fossero alcuni volumi, ogni qual volta mi recavo in libreria, così, solo per testare le loro conoscenze, poiché non li acquistavo mai. E ogni volta non ne rimanevo delusa.
La mia libreria preferita era semplicissima: tutta scaffali e testi, dove ampie stanze erano dedicate a libri usati. Allora mi divertivo a immaginare la storia del possessore precedente del testo che mi aveva attratto, immaginavo... il meglio era quando vi erano bigliettini tra le pagine, magari vecchi biglietti del tram usati come segnalibri, oppure foglietti rimasti intrappolati tra file di parole sconosciute.
Chissà magari tale Giulia C. l’aveva cercato fino all’inverosimile quel foglietto, o quel biglietto del tram divenuto la causa di una multa...
Sfogliai e presi in mano testi di autori conosciuti e famosissimi, ma nessuno mi stuzzicava.
Lasciai stare e gironzolai a zonzo, mi fermai davanti alla lettera K, nella sezione della letteratura contemporanea. Chi mai era il più grande autore con iniziale K ?
Ci pensai su, strizzando un occhio per cercare negli angoli della mia testolina, ma nessun cognome trapelava. Poi me ne resi conto: chi mai poteva essere famoso con una lettera che neanche c’è nel nostro alfabeto?!
Ridacchiai e presi a tirar fuori tutti i volumi di qualsiasi autore che avesse per iniziale del cognome la K. Nulla di attraente, setacciai un intero scaffale alla ricerca di qualcosa di suggestivo, nulla o ben poco. Ne estrassi uno, niente...nessuna campana suonò, un altro...men che meno, iniziavo seriamente ad essere convinta che, con un cognome K- qualcosa non si potesse essere certo famosi, né tanto meno bravi.
Ma ecco.
Quel titolo, quattro parole e diciassette lettere che mi colpirono e affondarono.
Lo presi e lo rigirai tra le mani come per assaporarne e coglierne tutti i dettagli. Inconsapevolmente ero già alla cassa. Pagai, lasciando il resto alla cassiera che mi aveva strappato di mano per quei cinque secondi il mio libro.
Me ne andai, fiera del mio acquisto.
Ripassai per il parco, ancora fissando la copertina bianca con quel disegno strano. Il dietro era giallo con la trama stampata in nero e la biografia dell’autore, D. K., impressa con un carattere più minuto. Mi sedetti su una panchina e solo allora mi accorsi di quanto fosse cambiato il paesaggio circostante, non vi era solo grigio e bianco ma ogni cosa si era colorata di nuovo.
Aprii il libri e lo annusai di pagina in pagina, aveva un odore stranissimo e indescrivibile che solo i volumi appena comprati possiedono.
Le pagine ruvide al tatto, di un bianco avorio, il testo scritto entro i limiti per facciate e facciate, senza che una parola potesse eccedere a sinistra o a destra. I numeri in basso a destra che tenevano il conto dello scorrere dei fogli, esattamente centosettantadue. Che poi non capisco mai perché queste iniziassero dal nove se prima vi erano solo pagine bianche.
Non sapevano contare, pensai... un po’ come i professori, sanno i numeri solo dall’uno al sette, c’è anche chi ha scoperto l’otto ma le altre cifre, o le hanno censurate, o forse davvero non sanno contare fino a dieci.
Aprii il libro e sospirai, gustandomi le pagine candide e scrivendo sulla prima, in cima a destra la data, nonché il trenta marzo di quell’anno. Iniziai la lettura, scoprendo, solo successivamente, che alcuni libri, specialmente degli autori K, erano incantati con sortilegi affinché gli occhi del lettore non si distogliessero mai dalle loro parole.
Assurdo.
Portavo sempre con me una matita colorata; così sottolineai le parti importanti e che trovavo seriamente eccezionali, anche se ben presto mi resi conto di dovermi limitare, altrimenti avrei colorato l’intero testo senza ritegno. Cominciai ad appuntare lo stile del signor K., a lato di alcuni passaggi. Ma non solo, vi apparvero commenti, faccine stilizzate e talvolta parolacce verso qualche personaggio appartenente alla storia.
I miei libri erano tutti vissuti, sembravano esser passati tra centinaia di mani invece che, semplicemente, una. Eppure era così che leggevo, io. Una parte dopo l’altra, una sottolineatura dopo l’altra, un appunto dopo l’altro; tutto ciò significava che il libro era buono.
I momenti in cui mi staccavo dal mio oggetto era come un lutto. Facevo altro ma pensavo al protagonista della storia: cosa dovesse fare o cosa l’autore avrebbe rivelato nelle prossime pagine riguardo la sua esistenza o il suo essere.
Mi faceva impazzire, così che il libro arrivava tra le mie mani prima ancora che potessi deciderlo. Mi reimmergevo nella lettura che non dava spazio al multitasking, mi impegnava completamente più di ogni altra azione potessi compiere. Se leggevo, chiunque avrebbe potuto insultarmi, pregarmi, denigrarmi senza che io mi distraessi dandogli retta.
La mia mente seguiva il protagonista in ogni sua sfumatura, parola, lettera e respiro. Come un’ombra.
Leggevo piano e rileggevo le stesse parti per un numero infinito di volte, poi vi era il processo di completamento del libro, il tutto portò via otto giorni che avrei tanto desiderato non finissero mai. Terminai il libro di sabato, giorno funesto...
Rimasi lì a fissare la parte che indica il mese e l’anno dell’ultima stampa (Milano, settembre 2007) cercando di far ordine nel mio cervello che tracciava i ritocchi conclusivi della storia, ormai conclusasi, del protagonista.

Perché mai si legge... forse abbiamo bisogno di sfuggire alla realtà così noiosa vivendo anche attraverso i personaggi costruiti da altri scrittori. Perché comunque la nostra vita è una sola, e potremo vivere solo determinate opportunità e compiere scelte, chiaramente non tutte, altrimenti dovremmo essere immortali per provare e soddisfare tutti gli stimoli che ci arrivano.
La vita non è una favola, non finisce sempre bene e non sempre inizia male; il corso degli eventi per noi è ignoto. Il destino, fato, disegno di Dio, o chiamatelo come vi pare e piace, è come un sentiero, bisogna tenerlo pulito e, a volte, lottare per togliere le fastidiose erbacce che lo infestano.
Così viviamo anche attraverso la lettura, l’esistenza di qualcuno che non potremmo mai vestire, acquisiamo e impariamo dalle loro azioni e ce ne arricchiamo interiormente.
Leggere è una forma d’immortalità.
Un metodo per farci vivere in luoghi sconosciuti e essere maghi e illusionisti, come nel mio caso, per ben otto giorni oltre ad essere noi stessi, lo spettatore e, semplicemente, Noemi.
Ovvio che non va confuso il voler leggere quanto basta e il volersi rifugiare presso le vite di personaggi cartacei e fittizi o forse anche ispirati a qualcuno di reale.
Con ciò ho scritto il motivo primario e necessario del leggere, ho anche dichiarato che finalmente anche la lettera K, che nel nostro alfabeto comunemente non appare, fa da iniziale al più grande scrittore per me esistente.
Mi ha fatto vivere, amare, sperare, angosciare e respirare attraverso il suo libro e le pagine bianco avorio, ora piene di commenti entusiasti e sottolineature bluastre.
Sono contenta che esistono persone dotate di tale talento come il signor K., e penso che il suo sia il libro migliore trovato per caso, in una libreria, che ci si potesse augurare di trovare.

 


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010