Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
12ª edizione - (2009)

Un'esperienza di lettura

Saretta + Lucky. Ti amo. - 5/4/09 A&M. Leggevo sempre le scritte fatte sulle panchine. Tratti di pennarelli scuri. Incisioni praticate con chiavi di casa o del motorino. E quelle meno sofisticate, fatte a penna. 6 il mio unico grande amore. Cla x Giusina. - Non ci lasceremo mai, Ely e... Strizzo un po' le palpebre, cercando di vedere meglio chi era stato il presunto compagno per la vita di quella ragazza. La calligrafia nella frase era chiara e precisa, con le lettere un poco piegate verso destra. Ely, magari un'Elena o Elisa o Eleonora o chissà chi, e la sua misteriosa, dolce metà, dovevano nel frattempo aver cambiato idea, infatti il nome che prima era impresso sul legno, ora era stato cancellato in modo parecchio nervoso. Segni in diagonale di pennarello nero, alcuni così lunghi da invadere lo spazio di altri innamorati, coprivano le lettere scritte con tanta cura in precedenza, contrastando con quel rosso un po' sbiadito dal tempo. Arricciai il naso con disappunto e, lasciando perdere le informazioni di cronaca rosa che offriva la panchina, adagiai le spalle allo schienale freddo, rabbrividendo appena, e chiusi gli occhi rilassandomi in quella quiete.
Era domenica. Ed io mezz'ora prima, alle otto, ero già con gli occhi sbarrati, supina, a fissare un punto nel vuoto sopra di me. Un punto qualsiasi, in fondo nel buio pesto creato dalla tapparella abbassata, uno vale l'altro. Storcendo le labbra, mi decisi ad alzarmi, tanto ormai ero sveglia e niente avrebbe convinto il mio corpo che quel giorno era proprio domenica, che era ancora mattina presto e che finalmente, dopo una settimana di levatacce alle sette scarse, potevo riposare ad oltranza. Nel giro di una mezz'oretta, quindi, non solo ero in piedi, fresca come una rosa, ma ero anche uscita di casa, a spasso per le vie della città. Le mani nelle tasche, le cuffie dell'i-pod nelle orecchie. Accompagnata dalle note dei generi di musica più vari, finii per dirigermi al parco per poi sedermi su una delle tante panchine che costeggiano i sentieri. Non c'era anima viva, solo qualche uccellino canterino posato sugli alberi, pronto ad organizzare già le prime feste per l'arrivo della primavera, e una ragazza intenta a dondolarsi sull'altalena. Avrà avuto più o meno la mia età, nonostante una strana allegria che la avvolgeva, facendola sembrare quasi una bambina.
E rieccoci qui, al punto dove poco fa ci eravamo lasciati, alla lettura delle frasi, alla ricerca di pace nel verde del parco in primavera. Le piante di nuovo verdi, le margherite, il cielo d'un azzurro terso e tutto il resto. Sì, c'erano anche i primi pollini che fluttuavano nell'aria. Se il mio ragazzo fosse stato lì con me avrebbe passato metà del tempo a starnutire. E dico metà solo perché erano ancora pochi, i pollini. Nel corso della mattinata non era certo il primo momento in cui il mio pensiero si rivolgeva a lui, ma solo in quell'istante ricordai di aver lasciato il cellulare spento tutta notte, e lo era ancora. La mano destra scivolò nella tasca interna della giacchetta primaverile, per poi uscirne con il cellulare stretto in pugno. Con un movimento rapido del pollice lo aprii e schiacciai il tasto d'accensione. In un gesto meccanico digitai il pin. Non ricordo nemmeno che numeri siano, l'ho fatto tante di quelle volte che le dita vanno sempre da sole. Attesi qualche istante così, con il cellulare nella mano aspettando un segno di vita. Niente. Ancora niente. No, proprio niente. Feci per rimetterlo nella tasca, donandogli un ultima occhiata, ed ecco che in una frazione di secondo si illuminò, iniziò a vibrare e partirono le tre note della musichetta dei messaggi. Inspirai profondamente, cercando di non illudermi. Socchiusi gli occhi nella speranza di non animarmi per niente. E schiacciai infine il tasto di conferma, che certo, volevo leggere il testo ricevuto.
Lessi il messaggio. Poi ancora una volta, così, tanto per avere la certezza di non essermi persa nessuna parola. Riposi quindi il cellulare nella tasca e, nel farlo, lo sguardo mi cadde di nuovo sulle scritte della panchina. Ecco, lì c'era Ely, e attorno anche moltissimi altri. Pochi secondi prima avevo letto il messaggio del mio, di innamorato. Scorrendolo con lo sguardo riga per riga, un sorriso carico di dolcezza aveva preso posto sulle mie labbra. È sempre così. Non importa se sia sola o vi sia qualcuno attorno, magari anche tanta gente. Dal cuore parte e si diffonde un calore che va ad inebriare tutto il corpo, fino a raggiungere posti che dimentichi perfino di avere. E non puoi fare a meno di sorridere, in pace con il mondo che ti circonda, di rivivere con la mente, in pochi attimi, i momenti della storia insieme. Gli alti, per ricordarti quanto più su delle nuvole puoi arrivare senza muovere un passo. E anche i bassi, con una stretta al cuore, lì a tener presente di non dare niente per scontato, di offrire sempre il massimo. Poi, però, c'è la storia di Ely - e la sua scritta da cui i miei occhi non si sono ancora staccati - e quelle finite male come la sua. Attorno altri ex innamorati non si erano limitati a cancellare nomi o frasi, ma spesso si erano adoperati per aggiungere epiteti e commenti non del tutto riscrivibili. Scivolai lentamente verso il bordo destro della panca, per poter vedere al meglio ogni singola scritta. Le lessi tutte una per una, tenendo una gamba rannicchiata al petto, stringendola con le braccia, e il mento appoggiato sul ginocchio. Sì, quelli che impiegano il proprio tempo a scrivere su una panchina non saranno poeti, e spesso non si sprecano nemmeno oltre a scrivere i due nomi insieme, uno affianco all'altro. E va be', scrivere in modo indelebile su qualcosa di non proprio non è il massimo... Ma i sentimenti con cui è stata scritta erano veri. E almeno il più delle volte profondi. Un tempo dovevano essere felici, tutti quelli lì. Insomma, per voler far sapere a chiunque quanto erano innamorati, dovevano esserlo per forza. E poi dev'essere semplicemente finita. I sentimenti si sono dissolti col tempo, forse. Ma anche incomprensioni fanno la loro parte nel gioco, partite spesso da cose di così poco conto e poi degenerate in situazioni difficilmente recuperabili. Probabilmente se tutti si preoccupassero di cancellare come ha fatto Ely la scritta, ne sopravvivrebbero ben poche. Uno arriva a pensare che, crescendo, le cose cambiano. Ma ti guardi attorno e la realtà non è proprio così. Tantissimi matrimoni, partiti con le più grandi aspettative, sono finiti nel giro di pochi anni. E allora ci si separa, si cerca la felicità in qualcun altro. Se non ci si può separare, si ovvia al problema tradendosi a vicenda e regolarmente, magari riuscendo anche a raggiungere qualcosa che possa assomigliare alla felicità. Ma nel frattempo hai realizzato che davvero niente è per sempre. Già, nemmeno una statua è per sempre. Per quanto possa essere solida, prima o poi si scalfirà e verrà, semplicemente, giù. Sospirando, raccolsi anche l'altra gamba al petto e le strinsi entrambe forte con le braccia, rimanendo immobile qualche secondo.
Sbuffai in un modo piuttosto pronunciato scotendo il capo, come volessi scacciare tutto quel nero groviglio di pensieri che vorticava nella mia testa. Un po' come il vento stava facendo con i miei capelli già di per sé in disordine. Mi alzai dalla panchina e mi diressi verso la fontanella, prima di riprendere la strada verso casa. Nel frattempo si saranno svegliati tutti e si staranno probabilmente domandando che fine io abbia potuto fare: di solito non esco così presto. Mi chinai in avanti, schiacciai il bottone per far partire la fontana e raccolsi un po' d'acqua fra le mani tenute a coppa. Trassi tre o quattro lunghi sorsi e mi sentii soddisfatta e pronta a tornare a casa, nonostante l'umore precipitato sotto terra, solo dopo essermi sciacquata il viso un paio di volte. Dopo aver sistemato le cuffie dell'i-pod alla bell'e meglio, strascicando i piedi, con gli occhi fissi sulla mia prossima meta e le mani bagnate infilate rigorosamente nelle tasche, volsi i miei passi verso casa.
Avevo fatto quasi un centinaio di metri quando alla mia sinistra notai la ragazza che avevo visto quand'ero arrivata e a cui non avevo più fatto caso per tutto il tempo. Quella sull'altalena, insomma. Era china sulla mia panchina e ci stava chiaramente scarabocchiando qualcosa sopra. La osservai per quella manciata di secondi che le occorse per finire. Poi lei si allontanò di buona lena, senza voltarsi né accorgersi del mio sguardo su di sé. Ok, io non sono una persona particolarmente pettegola, ma visto che i miei genitori se erano preoccupati potevano cercarmi sul cellulare, che l'ora di pranzo era ancora lontana e che quindi fretta di tornare a casa non ne avevo, decisi di fare il giro lungo per vedere le novità della rubrica rosa della panchina. A passo svelto, superando un'altra panca dov'era seduta una coppia sulla settantina, abbracciati, la raggiunsi, e in un attimo individuai il punto modificato: Non ci lasceremo mai, Ely e Marco. E questa volta è per sempre!
Mi allontanai senza riuscire a nascondere un sorriso contagioso.

 


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010