Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

Un'esperienza di lettura

Io ho una gatta, nera, molto bella. Si chiama Lola, ha dieci anni e una storia che incrocia la mia in un momento un po' particolare.
Ad un certo punto della mia vita, verso la fine dell'asilo, mi stancai del fatto che mia madre poteva leggermi le fiabe solo la sera, prima di andare a dormire. Sono sempre stata avida di nuove storie, e questo orario mi pareva un'inutile limitazione. Così cominciai a leggere da sola i miei libri, imparando quindi prima del tempo a collegare tra loro lettere e concetti
Passavo tutti gli intervalli a scuola a leggere (cosa che è continuata fino alla quarta elementare), e appena potevo lo facevo anche di notte, riaccendendo la luce sul mio letto quando ero sicura che mia madre dormiva (anche se la metà delle volte in realtà se ne accorgeva e veniva a sgridarmi). È così che ho cominciato ad amare la lettura.
Tutti in famiglia conoscevano questa mia passione, così mio padre verso la prima elementare mi regalò un libro che si intitolava "Le streghe", di non ricordo più quale autore.
Il libro informava del fatto che dovunque intorno a noi vi sono delle streghe, camuffate da donne normali. Esse odiano a morte i bambini e fanno di tutto per annientarli. La storia riguardava un intelligente bambino che, con l'aiuto della nonna, che era stata cacciatrice di streghe, riusciva a trovare il modo di sgominarle definitivamente, salvando il mondo da questa calamità.
Non ricordo esattamente la trama, l'ho letto molti anni fa. Ma ricordo benissimo alcuni particolari: ad esempio i segnali da cui si potevano riconoscere le streghe: erano calve, per nasconderlo portavano sempre una parrucca ma, siccome gli prudeva la cute, si grattavano sempre; non avevano unghie, ma artigli, per questo portavano sempre i guanti; avevano la lingua blu; non sopportavano l'odore dei bambini, per questo li evitavano, se non per fargli subito del male; camminavano male, perché non avevano dita dei piedi, e per non farlo sospettare mettevano scarpe a punta; ed altre cose che ora non ricordo.
Ero arrivata al punto in cui il bambino e la nonna si alleano per combatterle, quando mi successe una cosa bruttissima. Cominciai a credere con tutta me stessa alla verità raccontata nel libro. Per me le streghe esistevano, eccome. Diffidavo di ogni donna, dalle mie maestre alle mie vicine di casa a quelle che incontravo per strada. Anzi, più che diffidarne, ne avevo un sacro terrore. Controllavo in tutte se si grattavano la cute. Consideravo tra me che, se non avevano i guanti i quel momento, era un puro caso, ignorando il fatto che le loro mani erano normalissime. Cercavo insomma tutti gli indizi possibili per accusarle. Meglio (o peggio) della Santa Inquisizione.
Quel che è peggio, però, è che sospettavo pure di mia madre. Lei per me è sempre stata un punto di riferimento, il più importante, forse in questo senso l'unico. Mio padre non ha mai vissuto con me, i miei si sono separati prima che nascessi, e a quel tempo non avevo ancora preso completamente confidenza con l'allora nuovo compagno di mia madre. Così, non avendo altri, mi trovavo divisa tra il voler correre da lei, che era quella che aveva sempre calmato tutti i miei timori, e l'allontanarmene, per paura che mi volesse uccidere. E non potevo fare altro che piangere e aggrapparmi a mio padre e al mio nuovo "coinquilino", terrorizzata. Passai giorni, così.
Alla fine mia madre, sconvolta quanto me, con un atto praticamente di forza mi costrinse a finire il libro e scoprire cosa sarebbe successo. Nel racconto, il bambino veniva catturato e trasformato in un topo dalle perfide streghe; ma, al loro convegno annuale, riusciva a versare quella stessa pozione nel loro pasto, trasformandole tutte, e la nonna infine gli liberava dietro decine di gatti, che ne facevano strage.
Così, l'unica soluzione era di prendere anche noi un gatto, nel caso qualche strega fosse riuscita a scappare. Gatto (gatta) che fu gentilmente offerto dalla gatta di mio padre, che proprio in quel periodo aveva avuto una provvidenziale cucciolata.
Ora non darei più retta più a un libro che mi dicesse che una persona che ho sempre amato è mia nemica. Credo. Ma il fascino della lettura sta anche in questo. Un libro è profondamente mutevole: in esso cambia ogni concetto e ogni idea a seconda dell'età, dell'esperienza, dei sentimenti, della mentalità del lettore. Può essere uno specchio o uno spunto per riflettere, può offrire un pomeriggio di svago o ore di intense passioni.
Un altro libro importantissimo per me è "Il Piccolo Principe". Quando l'ho letto la prima volta avrò avuto otto anni, e aveva significato un libro divertente con un omino buffo che girava per pianeti buffi. Ultimamente l'ho riletto e ha voluto dire tutt'altra cosa. In esso ho trovato spunti, pensieri, anche alcune risposte. Tutto ha acquistato un nuovo significato, perché è filtrato da una diversa coscienza. Per me è un libro paragonabile un po' a "I-Ching": non so cosa volesse dire l'autore quando lo scriveva, ma io vi leggo dentro la mia verità.
Vi sono altri libri che pur conservando la caratteristica di modellarsi in funzione di chi legge, hanno dei significati molto forti. "Mein Kampf" ha convinto un intera generazione (e purtroppo non solo una) della bontà delle sue affermazioni e soluzioni. Ha dentro tutta la carica e il carisma del suo autore.
I libri, la scrittura, sono uno strumento fortissimo. In me hanno sempre prodotto effetti molto marcati. Non ci sono libri che mi sono passati sopra lasciandomi indifferente; ognuno si deposita in me e contribuisce al giudizio di quelli passati o futuri. Non solo, e non soprattutto, come bagaglio culturale, per quanto questo, possa essere importante; ciò che mi dà la scrittura (leggerla ma anche produrla) sono i sentimenti, le sensazioni.
Leggendo io rido, piango, mi arrabbio, mi commuovo. Ho già sfondato un letto e un divano, tra l'incredulità e il divertimento della mia famiglia, perché a volte leggendo mi carico di una tale energia che per scaricarla devo fare qualcosa e, in mancanza di meglio, salto.
Qualche anno fa c'è stata a Genova una mostra dei lavori di Kathe Kollwitz a cui sono casualmente andata. Vi era una statua che rappresentava una madre con il figlio morto, evidentemente in guerra. Si chiamava "Pietà". Quando l'ho vista mi sono messa a piangere. Aveva una tale carica espressiva, un tale dolore e un tale amore in sé racchiusi, era talmente forte la carica del sentimento che io ho trovato in quella statua, che non ho potuto farne a meno. Ultimamente sono andata a Berlino. Dove nella DDR c'era la "Neue Wache", ora vi è un monumento al milite ignoto, per il quale è stata scelta questa statua. Quando l'ho vista, i sentimenti sono stati gli stessi, eppure non ho pianto. Forse perché tra me e me ho deciso che non voglio stare così male ogni volta che qualcosa mi colpisce. Ma posso (e voglio) evitarlo fino a un certo punto, ed è per questo che comunque mi sono sentita stringere lo stomaco.
Per me è questa la lettura: un rapporto privato nel quale posso lasciarmi andare come e se e quando voglio. I libri mi portano via, ma in qualche modo io li controllo. Leggendo invento nuove storie, trovo risposte, assumo nozioni, ma soprattutto mi si posso rivedere in loro, e da questa nuova prospettiva scoprirmi diversa.
La lettura mi cambia, mi arricchisce, mi mostra il mondo e mi mostra me stessa. Mi permette di mettere in discussione certezze, confermare ipotesi e di cambiare idee. E nonostante tutto sono io a innestare questo meccanismo. A meno che le streghe non prendano il sopravvento. Non so se sia o no una buona cosa, questo loro predominio; ma voglio comunque avere la possibilità di combatterle. Questa possibilità è la mia gatta, che mi difende dai topi. E la mia mente, che mi permette di pensare e capire, pur lasciandomi coinvolgere, di riflettere e rielaborare.


»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni

Copyright © 1999 - Comitato per Sofia - Tutti i diritti riservati.
Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010