Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

Rielaborazione delle suggestioni, delle emozioni, dell'immaginario che la "lettura" di un'opera letteraria, pittorica, teatrale, architettonica, cinematografica, musicale... ha suscitato

Credo sia vero che non tutti gli uomini possano diventare veri artisti. Il vero artista, qualsiasi sia il suo campo di applicazione, dalla pittura alla musica, dalla scultura all'architettura, dalla poesia alla prosa, non è semplicemente chi scrive o rappresenta i propri sentimenti nella sua opera, ma chi li "esprime", li comunica, riesce a creare il vero capolavoro, un'opera parlante, che non solo entusiasmi i critici, gli esperti, per la sua qualità tecnica, per la finezza, l'eleganza, ma che estasi chiunque, un illetterato, un bambino, per l'effetto che riesce magicamente e forse inspiegabilmente a suscitare.
Può dunque realizzare un'opera d'arte soltanto colui che non solo si innalza sopra i comuni uomini nella percezione della realtà, del senso della vita, dell'astratto, ma chi, pur dal suo punto di vista privilegiato ed inarrivabile, riesce a trasmettere ciò che altrimenti è per i più quasi indescrivibile, incomprensibile.
Al di là della perizia e delle capacità tecniche, è necessario avere una dote, forse innata nella anima dell'artista, che consente di creare una poesia che faccia sentire, vivere al lettore ciò di cui parla; una sinfonia che sollevi l'ascoltatore dalla quotidianità per farlo librare come nella volta celeste, libero, una costrizione che crei armonia non solo intorno, ma anche dentro il cuore del visitatore; una tela che consenta di vedere non solo ciò che mostra palesemente, ma ciò che si nasconde apparentemente alle spalle dell'osservatore, oltre la cornice.
A questo riguardo, un'opera che ritengo adempire pienamente la reale funzione dell'arte è un dipinto tutt'altro che famoso, anzi, sconosciuto probabilmente quasi ad ogni critico, così come il nome del suo autore, Padovani, annotato con grafia semplice in un angolo, seminascosto dalla cornice, quasi a non intaccare ed interferire nella armonia della rappresentazione, anche la cornice sembra con la sua semplicità, cercare di non distrarre la attenzione dell'osservatore. Il titolo, scritto probabilmente a matita sul retro della tela, ormai sbiadito, è invisibile, nonostante non sia stato apposto dalla mano dell'autore da così tanto tempo: ma sarebbe stato forse impossibile concentrare in poche parole incise su una targhetta dorata la complessità, i sentimenti, i significati di quel quadro.
Il protagonista è il mare, un mare in tempesta, che sembra volersi ribellare con tutta la sua energia ad un nemico invisibile, ma non contro il cielo, che è sì infuriato di nembi incapaci di sciogliersi in gocce di pioggia, ma che lascia intravedere un chiarore all'orizzonte, al punto d'incontro fra quei due mondi, la distesa celeste e quella marina. Quest'ultima dà la impressione di essere come circondata da scogli rappresentati in rilievo ed invalicabili, da un lato, e dall'altro da una spiaggia rocciosa, che scende degradando verso il mare, e sostiene, come in equilibrio, qualche edificio quasi fatiscente che, con il suo color vermiglio, rompe l'uniformità cromatica del dipinto, ma ne aumenta la drammaticità.
L'ambiente che in realtà mi circonda, l'arredamento moderno della stanza in cui è affisso il quadro, all'improvviso, bruscamente ma senza che me ne possa rendere conto, svanisce, sostituito dapprima solo dal rombare del vento, violento ma non assordante, armonioso, rotto soltanto dallo scroscio delle onde che spumeggianti s'infrangono sugli scogli. Il cielo, il mare: l'unica tinta è il blu, un blu cupo, quasi nero, o più chiaro, a sprazzi violenti; ma nonostante questa monocromia non vedo la notte sopra di me, ma un'oscurità viva, repressa a lungo, e che ora ha iniziato a sfogare il suo dolore.
Intorno a me, non una persona, non un segno di vita, se non quelle casupole, abbandonate però alla furia della natura. Eppure ho l'impressione che il vento porti con sé suoni silenziosi, voci mai udite, sussurri incomprensibili; la pace, in un tale sconvolgimento di natura, cose, valori. Ogni elemento, nella sua furia, rispecchia un ordine insovvertibile, le onde vogliono sì, con le loro fragili dita di schiuma bianca, tendere al cielo, ed il volume plastico delle nuvole ha intenzione di abbandonare per sempre la concava volta, che sembra non potrà più ospitare il lieto ed infinito rincorrersi delle stelle. Tuttavia ogni cosa, in questa tendenza apocalittica a sconvolgere ogni ordine, pur non placandosi, non altera, come tenuta a freno da una orgogliosa obbedienza, la gerarchia naturale.
Mi aspetto che dalle squame multicolore di cui si è protetto ed adornato il mare fuoriesca una creatura, non un mostro, che incarni la potenza, l'ira, il furore che mi circonda, di cui faccio parte. Ma ogni lingua azzurra continua inesorabilmente a richiudersi sulla precedente, a prenderne il posto, senza lasciar trapelare nulla dei suoi più intimi segreti, custoditi in profondità, nelle uniche regioni forse incontaminate dal disordine.
Confusione che non solo percepisco con ogni senso fuori di me, ma che anche, con una facoltà che soltanto ora sento nascere, prendere forza, diffondersi nel mio corpo e nel mio spirito, avverto in me. Rabbia, come quella delle nubi del cielo; agitazione, trasmessami dal soffiare implacabile del vento; solitudine, derivata dalle abitazioni appartate, ma che pure fanno parte della scena che mi circonda; ma provo anche ammirazione, estasi, come sotto l'effetto di un incantesimo, meraviglia per quello spettacolo naturale a cui non avevo mai partecipato precedentemente, e da cui comunque non mi sento assolutamente estranea, esclusa. Inverosimilmente tutte queste sensazioni si abbattono come onde dalle varie sfumature su di me, ma, come annullandosi a vicenda formando un unico mare, non mi turbano, ma mi donano una sorprendente serenità, come derivante da quel chiarore, limitato, ma che pian piano mi si avvicina, investendomi della sua aurea chiara, senza allontanarmi però dallo spettacolo che mi attornia.
Mi sento come librarmi, sollevarne da quel mio limitato punto di vista, perdo qualsiasi legame con la mia vita, con i miei pensieri, con me stessa, un raggio luminoso, proveniente non solo dal progressivo diminuire delle nuvole, ma dalle stesse nuvole, dal mare increspato, dalle case, dagli scogli, da ogni cosa, mi illumina; non provo più nulla.
E, all'improvviso così come me ne ero andata, ritorno in quella stanza dall'arredamento moderno, uscendo senza accorgermene da quel quadro. Ammirandolo di nuovo, al mio sguardo che va cercando un qualcosa che neanch'io so, un segno di tutto ciò che mi era avvenuto intorno, appare il mare, screziato dalla schiuma, il cielo nuvoloso, gli scogli scoscesi, creati da un uomo sconosciuto, che mi aveva però fatto partecipe dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, e soprattutto di quel mondo che si nasconde soltanto dietro la cornice. 


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010