Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
3ª edizione - (2000)

Echi

Un bambino biondo in una lunghissima caverna, un luogo buio e silenzioso. La candela che tiene in mano regala al suo volto un chiarore opaco, che contrasta con il buio circostante. Nell'altra mano ha un piccolo violino cinese, e la sua musica è nell'aria; le note sono lunghe, le arcate melodiose, il suo violino piange da solo senza essere suonato, il suo buio eterno. Sono due le gradazioni cromatiche, con le relative molteplici sfumature di luce e ombra: una è l'arancio leggero della piccola fiamma, con le cera che scende lentamente dalla candela impiastrando il suo dito, e l'altro è un nero abissale, quasi affascinante e il contrasto è una rottura violenta delle dimensioni. La musica del violino si perde, ondeggiante come il filo di fumo della candela. Poi aumenta, e la sua intensità arriva a un punto tale da far esplodere le pareti della caverna, che ricadono in una fitta pioggia di proiettili nerastri. Lui è il perno di ciò che lo circonda, sottoposto a continue incessanti trasformazioni: la caverna è sparita, e adesso ci sono fiori, crochi, cappucci gialli e rossi nel prato spruzzato di vento che trancia di sbieco la traiettoria del sole, sotto il blu acquarello del cielo, interrotto solo da bianchissimi cumuli di nuvole di neve. I fiori si estendono a perdita d'occhio, e nella loro staticità danno anche una paradossale idea di movimento, di volo vorticoso, di respiri sincronizzati. E sembra per un'illusione ottica che si arrampichino sul violino che lui tiene eretto sulla spalla, e danzino sul legno chiaro, vicino al ponticello. Intanto lui suona. Suona "L'estate" di Vivaldi, avvolto in un amplesso di raggi e forme. L'esile fiamma della candela si è trasformata in un turbine di spazi, che si smontano e si ricompongono come le tessere mobili di un mosaico. L'armonia però tiene i pezzi insieme in un tutt'uno. Prepotenti sensazioni di déjà vu si sovrappongono sotto il sole, in armonia con il pianto dolcissimo delle corde che vibrano sotto le sue dita. Poi tutto gira, si fonde e si comprime, e finisce, come il genio di Aladino, in una bottiglietta di vetro dimenticata da qualche parte in solaio.
Sembra un film di James Ivory, o il quadro di un pittore impressionista, o un mito filosofico di Platone, oppure ancora la poesia di Paul Verlaine, poeta maledetto, che dice "Singhiozzi lunghi / dai violini / dell'autunno / Mordono il cuore / con monotono languore", ma in realtà non è nulla di tutto questo, è solo una porzione, una fetta della mia vita quotidiana. Anzi, è il sogno che faccio ogni notte da circa tre mesi. Io sono un uomo, non importa come mi chiamo, sono uno dei tanti spettri ingenerati e imperituri che esistono. In altre parole esisto e basta. Sono un io senza un passato, e con un presente che mi sfugge continuamente di mano. Ora sono qui e voglio raccontarvi la mia storia, una storia di fantasia, di memoria e di viaggio. Ma, badate, il mio non è un viaggio reale, è un iter oscuro nella mente, un percorso a ritroso che elabora immagini, suoni, parole in movimento che gonfiano la mia notte. E poi... forse sono pazzo, ma non credo che questo sia solo un sogno. Infatti ogni mattina al risveglio trovo il cuscino tappezzato da un mantello di petali rossi e gialli, gli stessi che sogno in quel prato infinito, mentre la stanza è invasa da un profumo esotico, quasi afrodisiaco.
Una domanda sorge spontanea: che diavolo significa tutto questo? E, soprattutto, chi è il violinista biondo?
Non posso dire di occupare la mia giornata arrovellandomi la mente con questi giochetti mentali, sinceramente ho altre cose a cui pensare. Cose tipo la mia macchina, il mio lavoro, i miei clienti. Io sono agente di borsa, uno di quei personaggi che vedete sempre in giro in giacca e cravatta, con la ventiquattrore e sempre assolutamente attaccati al cellulare. La persona che sogna di notte non sono proprio io, diciamo che è una sorta di alter ego, e ognuno dei due vive indipendentemente dall'altro. Uno passa tutta la giornata al telefono, o a controllare le oscillazioni della Borsa, e l'altro si perde in un mondo artistico, romantico e astratto, e si pone domande sul senso dell'esistenza. Ma io sono più il primo che il secondo. Il lavoro viene prima di tutto, anche prima dei sogni: intorno a me può capitare di tutto - guerre, stragi, malattie - ma non mi riguarda. In questo mondo cinico e ipocrita se non impari a contare solo su te stesso sei una nullità, un fallito. Forse qualcuno può sentirsi solo, ma non è il mio caso. Io sono il migliore amico di me stesso, il consigliere, l'angelo custode, colui che non potrà mai tradire ciò che è. Naturalmente non sono nato così, una volta ero... non mi ricordo cosa ero... forse un extraterrestre, o un principe indiano. Non lo so, l'ho completamente rimosso. Ma ora sono un prodotto dell'era in cui vivo, un robot, praticamente. Guardo i quadri in stile cubista, stasera, appesi alle pareti ultramoderne della scala, mentre salgo al mio appartamento all'ultimo piano. Vivo in un monolocale rotondo, chiuso da una vetrata circolare, un esempio architettonico di stampo newyorkese, che mi ha progettato un collega americano. Da qui si gode una vista spettacolare, pari a quella di un uccello che si posa sull'albero più alto. Stasera è tardi, e tetti e luci si abbinano nell'afa di una notte italiana, una notte estiva e profumata. Ma i miei gesti sono meccanici: poso il cellulare, vado in cucina, accendo la radio, apro il frigo, prendo il mio yogurt e consumo la cena sul tavolo di marmo. E mangio, fissando lo yogurt bianco, giocherellando con i pezzi di frutta come se fossero pesci da catturare con il cucchiaino. All'improvviso nello yogurt si forma la sua immagine. È biondo, ha un violino e sorride. Sento una folata di vento, e come d'incanto appare accanto a me, seduto al tavolo. Intanto la radio sta trasmettendo "Smells like a teen spirit" dei Nirvana, e il volume cresce sempre di più, fino quasi a esplodere (senza che io tocchi la manopola della radio, naturalmente). È un'allucinazione, forse? Il cucchiaino rimbalza sul tavolo di marmo e io penso a tante cose: è impazzito il mondo, sono impazzito io, è uno scherzo? La canzone continua e io mi sento le vene piene di rabbia, angoscia, alienazione, gli stessi sentimenti che probabilmente aveva provato Kurt Cobain mentre la scriveva prima di suicidarsi. Significa "Odori di spirito fanciullo". Il fanciullo intanto si è alzato in piedi, e continua a guardarmi.
- Ma chi sei? - sussurro. Forse è una creatura inesistente, proiettata da una mente stanca e provata dal lavoro, come la mia. Forse quel bambino non è assolutamente lì. Ma adesso prende il suo violino e inizia a suonare. Suona, e io percepisco i suoi effluvi incontenibili. Poi si dissolve come nebbia, e la musica è l'eco del suo essere. Provo a spegnere la radio, a staccare la spina, ma neanche l'altra canzone termina. Forse è il mio cervello e non le mie orecchie, a sentirla. Forse sono pazzo. Bè, la follia è un luogo comune: ha permesso ad Amleto di vendicarsi, ha raffigurato l'amore, il rimorso, il dolore... potrebbe essere anche la mia via di salvezza da queste cose. Già mi immagino, in una stanza bianca con un grande orologio quadrato appeso al muro, e l'elettroshock. Forse con qualche seduta mi libererò di queste allucinazioni bestiali. Ammesso che siano allucinazioni. La musica classica si sovrappone al grunge, e il volume aumenta sempre di più. Basta! Corro in salotto, un altro piccolo capolavoro di architettura moderna, con i divani in pelle nera e il pavimento bianco, e il lungo pianoforte a coda. Tutti gli stereo suonano, adesso, è un frastuono generale e nel caos non distinguo le varie musiche. Mi butto a terra, tappandomi le orecchie con due cuscini. Adesso è troppo, questo incubo malefico sta invadendo anche la mia vita reale. Vi prego, basta, non voglio più saperne, non voglio più vedere niente, voglio diventare sordo, muto, cieco. Voglio il buio eterno, e questa volta senza candele. E improvvisamente in questa mia battaglia interiore con le tenebre vengo sommerso da una cascata di petali gialli e rossi che piovono dal soffitto. Non chiedetemi come, vi prego. Non lo so. È successo e basta, accontentatevi di questo. Già mi immagino le domande dei medici ("Lei assume degli stupefacenti, per caso?", "Lei... come dire, prende dosi massicce di eroina?") I fiori coprono tutto - i miei divani, i pavimenti, i mobili - e lui è seduto al pianoforte, sommerso anch'esso dai petali - e suona...cosa sta suonando? "Sonata al chiaro di luna" di Beethoven, un classico. Quante volte l'ho suonata io, pensando a mille cose. Ma lui ha un tocco particolare sui tasti, un misto tra arcate e percussioni, e sorride. Mi sdraio sul mio letto di fiori e penso che nessuna droga può dare una cosa simile, uno spettacolo così ricco di significati nascosti. Lui è il sole e la luna, è luce e buio, è un fiore, uno sguardo, un colore. E suona. Alla fine del brano è finita anche la notte - in quattordici minuti - e il sole irrompe con allegra violenza dalle vetrate. Non avevo mai osservato la luce del mattino, e fa sembrare i petali delle pietre preziose: quelli rossi sono rubini, quelli gialli pagliuzze d'oro. La giornata è un incubo: frammenti delle mie visioni oniriche (o reali?) si inseriscono prepotentemente nelle mie telefonate e nei miei discorsi. Vedo la musica del violino, e sento il colore dei fiori. I miei sensi si sono rovesciati, o forse potenziati. Ve l'avevo detto, sono proprio un extraterrestre. Comunque sono frastornato, e a mezzogiorno esco dall'ufficio, ma lui è sempre al centro dei miei pensieri. Chi è? Devo saperlo, il mio è un desiderio quasi morboso. Accendo la macchina, accendo la sigaretta, accendo l'autoradio, che trasmette "Stand by me" degli Oasis, che significa "Resta con me". La voce quasi metallica di Noel Gallagher si dipana insieme al fotogramma che mi si proietta in testa girando all'indietro.
Resta con me.
Scendo dalla macchina, e sono davanti al fiume che scorre in mezzo alla città. Intanto la mia mente è ancora dilaniata da tutte queste immagini. Non resisto. Guardo l'acqua quasi trasparente, e provo un irresistibile desiderio di toccare quel fondale, chiudere gli occhi e non risalire più in superficie. In questo istante mi sento una non persona: che cosa devo fare? Chi sono e cosa sto facendo? Poi mi specchio nell'acqua limpida e tutto all'improvviso si fa chiaro e semplice. In un istante ritrovo me stesso: infatti non è la mia immagine che vedo, ma quella di un bambino. "Resta con me" era quello che dicevo al mio violino cinese prima che mi separassero da lui, e con lui dalla mia infanzia e felicità. Non potevo suonare in pace, i miei genitori avevano progettato una carriera brillante per me, e, si sa, gli artisti sono tutti degli svitati e squattrinati. Ma... quel violino era la mia anima, e quando me l'hanno portata via non ho più potuto averla...per questo sono diventato così freddo, per questo vivo solo il presente, perché quando si soffre tanto si tende ad archiviare, a dimenticare. Ma è un errore. Quando suonavo, il mio violino trasmetteva tutto quello che provavo... più di quanto avrei potuto esprimerlo io a parole o gesti. Lui rideva e piangeva, parlava in un vortice di note. Poi uscivo di casa e andavo nel prato dietro casa...e il vento trasportava l'eco della melodia che saliva e si condensava con le nuvole. E adesso è l'acqua di questo fiume.
"Tutto scorre" dice Eraclito "Siamo acque che non scenderanno mai gli stessi fiumi".
Invece sì: io sto solcando adesso un fiume che credevo che ormai fosse morto e sepolto. Ma ormai ho capito: il viaggio non è finito, sono solo all'inizio. Ci sono ancora tante cose da vedere e da scoprire, ma solo dopo che avrò abbattuto la mia barriera di indifferenza. Alla fine del tunnel c'è sempre una luce, la base per costruire il domani. Sto per partire per arrivare alla meta, e il violino, la mia anima, è qui con me. Risalgo in macchina, perché adesso ho tantissime cose da fare. Abbasso il finestrino e getto il cellulare nel fiume: vedo ancora il suo rivestimento di gomma blu che si allontana lentamente, come un pesce rettangolare. La canzone degli Oasis è finita, comincia "Underworld", la colonna sonora di Trainspotting. In questo momento mi sento tanto Mark Renton, il protagonista del film, che butta fuori dalla finestra il suo passato e spicca il volo verso ciò che sarà. Corre, e ogni suo passo cancella un giorno passato nell'indifferenza. Accanto a me c'è quel bambino biondo che avevo dimenticato, e solo grazie a lui io sono rinato oggi. Forse non siamo solo esseri umani.
C'è un universo, in cui gli atomi si aggregano a caso al di là della nostra percezione, o forse tutto quello che accade è la conseguenza di un disegno ben preciso fatto da qualcuno. O forse la vita è solo una serie di reazioni scientifiche, e quello che proviamo è un'applicazione dell'ipotalamo, sede delle sensazioni e dei sentimenti.

Comunque sia non m'importa. Non voglio capire il mondo, non sono un filosofo, sono solo un uomo su una strada, reduce da un viaggio attraverso la propria mente, pronto a camminare sulla sottile linea del tempo fino alla fine, deciso a dare un senso alla propria vita.

Ma adesso basta parlare: "Underworld" mi dà una carica energetica, mi fa sentire l'immensità che mi circonda. Prendo per mano quel bambino che ero, e insieme ci tuffiamo nella luce.

"Uomo, presta orecchio!
Che dice la profonda mezzanotte?"
"Dormivo, dormivo,
da un profondo sonno mi sono svegliato.
Profondo è il mondo
più profondo di quanto il giorno pensasse
Profondo è il suo dolore
Dice il dolore "Passa!"
Ma ogni gioia vuole l'eternità,
vuole la profonda, profonda eternità
"
("La canzone ebbra" - F. Nietzsche)

Colonna sonora:
"L'estate" - A. Vivaldi
"Smells like a teen spirit" - Nirvana
"Sonata al chiaro di luna" - L.V.Beethoven
"Stand by me" - Oasis
"Underworld" - Trainspotting soundtrack


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010