Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
3ª edizione - (2000)

Cliffs of Moher

Vento, vento, vento.
Raffiche violentissime di aria salmastra scuotono ogni cosa.
Vento che sibila tutta la sua gelida potenza.
Vento dell'Oceano.
La prima volta di fronte all'Oceano.
Un abisso.
Meraviglioso e terribile.

La luce è fioca, ma calda e confortante, le lampade la proiettano debolmente, investendo di riflessi giallognoli il letto e i mobili posti nelle loro immediate vicinanze, e disegnano ombre innocue sulle pareti, gettando la stanza in una quieta semioscurità, dandole l'aspetto di una morbida e accogliente grotta, un antro segreto dai contorni sfumati.
Corrono le dita sulle corde della chitarra, mentre una melodia sottile prende forma diffondendosi piano nell'aria, in volute leggere come spirali di fumo, e lo sguardo vaga assorto da un oggetto all'altro, sfiorandone appena la superficie, senza focalizzarne realmente nessuno, concentrato nella ricerca di nuove infinite note.

Lunghe file di turisti risalgono stancamente l'altura, avidi d'immortalare con i rapidi scatti delle loro macchine fotografiche uno degli angoli più caratteristici dell'Irlanda dell'ovest.
Una volta giunti in cima, vi sostano qualche minuto per riprendere fiato, squassati dal vento tentano di contrastarlo con giacche colorate impermeabili ad ogni assalto, si gridano l'un l'altro commenti riguardo la bellezza del luogo e la durezza del clima; poi ridiscendono frettolosamente incespicando nel fango e nell'erba bagnata, raggiungono diligenti gli autobus che li attendono e al caldo, schizzano verso l'ennesima folkloristica meta.
Qualche zolla di terra umida e un lieve sentore di sale resteranno come uniche testimonianze loro addosso a ricordare la gelida sosta alle Scogliere di Moher.
Eppure in tutto il loro affannarsi potrebbero semplicemente non esistere per questo luogo antico che si erge maestoso, incurante delle formichine multicolore che ne violano i fianchi, il manto verde brillante dei prati, la sommità solcata dai venti, le pareti ripide rose dall'acqua.
Nubi di ogni tonalità di grigio, di ogni forma e dimensione, rotolano e si rincorrono, si incontrano e si scontrano, si aprono in istantanei squarci che, come ferite, sanguinano luce bianca intensa che si riflette tra le onde e diffonde chiarore ovunque intorno nella foschia. Grossi uccelli bianchi si librano lasciandosi trasportare dalle correnti d'aria con le ali spiegate e immobili, e si posano poi sugli arcani misteri delle inaccessibili pareti di roccia.
In lontananza si scorgono le Isole Aran, appaiono e scompaiono alla vista quasi fossero spettri di terre remote e irraggiungibili, i cui contorni si mescolano e si fondono nel tumulto di aria e acqua, che rende un'unica cosa mare, cielo e terra.
Repentini come sono riusciti a fendere il grigiore, i raggi di luce vengono inghiottiti dai vortici ovattati delle nuvole, in un continuo alternarsi di momenti cupi e luminosi così rapido da parere irreale, mentre finissime gocce di pioggia si mischiano all'umidità e agli spruzzi provenienti dal mare dando una consistenza liquida alle immagini, all'immenso orizzonte che si offre allo sguardo.
Centinaia di metri sotto, le onde si frantumano contro enormi rocce appuntite, si aggrovigliano in gorghi bianchi di spuma, si scagliano una contro l'altra in un incessante fragore.
Nell'angolo più buio, una poltrona; su di essa è seduto, con in grembo la chitarra di legno scuro, l'artefice della melodia che impregna la stanza.
È una musica che non si può ben definire, un'improvvisazione di accordi che scivolano tra le ombre e si fondono nei chiaroscuri, accarezzano le pieghe dei cuscini e delle coperte, risalgono i muri rimbalzando da uno all'altro, si rincorrono e si disperdono in un'eco leggera nei momenti di pausa.
Ricadono sul collo e sulle spalle ciocche di capelli castani, si avvolgono in lunghi ricci che catturano i riflessi delle lampade, sfiorano il viso nascondendolo. Potrebbero essere scostate, lievemente, e lo sguardo rapito ai suoi pensieri lontani, ma allora la melodia cesserebbe e al suo posto altre musiche, e altre danze.

Blu, quasi nero, gelido e profondo, laggiù, accucciato come una fiera pronta a balzare, agita nervoso il suo manto ondulato. L'Oceano. Nessun obiettivo fotografico, nessuna occhiata fugace, può fissarne la reale natura, nessuna pellicola può veramente portare impressa la sua immagine. Nessun commento pronunciato con voce strozzata è in grado di descriverlo nella sua pienezza, non ci sono parole che ne definiscano il moto, il rimescolarsi di colori, la loro luminosità, i suoi verdi, grigi, blu, nero... e il suo sapore, il suo profumo, è quello della forza primordiale che lo anima, la forza di fronte alla quale ogni altra cosa è annientata, sommersa, annegata nelle acque gelide, spazzata via dalla furia del vento, la forza di fronte a cui le piccolezze e le meschinità degli uomini sono solo pallidi guizzi di vita qualsiasi. Questa è la Vita, invece, che si scatena, incontrastata, incontrastabile, selvaggia nella sua temibile bellezza, nella perpetua altalena tra meraviglia e distruzione.
Immobile, sulla sommità della rupe, l'unico atteggiamento possibile è quello di lasciarsi attraversare nella propria umana trasparenza dalla potenza degli elementi, ammirare l'Abisso, immergercisi idealmente in un attimo di assoluta Vertigine, senza porre alcuna domanda, senza tentare vanamente, di dare la forma di pensieri in logica connessione alle sensazioni, senza sentire il dovere di lasciare anche qui la propria futile impronta.
Sarebbero soltanto miseri piagnucolii in confronto alle grida e ai gemiti del vento che rabbioso si sfoga.

Tutto questo mi ritorna alla mente ora che me ne sto qui buttata sul letto e pigramente osservo la stanza intorno a me e la figura china nell'ombra, il volto nascosto, le mani che si muovono, le corde che vibrano.
Improvvisamente, senza una ragione apparente, per una qualche strana alchimia i suoi occhi interrompono il loro disordinato peregrinare e si posano sui miei.
Solo un istante.
Ed ecco: blu, verde, grigio, in tutte le loro cangianti gradazioni.
Ecco l'Abisso, la Vertigine.
La Forza che si scatena. La Vita...
L'Oceano.
Meraviglioso e terribile.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010