Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
3ª edizione - (2000)

Una vita passata

Della mia vita precedente come formica ho solo pochi e sporadici ricordi, istantanee di momenti tanto precisi quanto inutili, poiché sconnessi l'uno con l'altro, frammenti che emergono da un mare di nebbia scura come luce filtrata e morta. Ricordo più che altro vaghe sensazioni, odori, percezioni, movimenti, le prospettive che vedevo, il mio essere agile e scattante, un insieme d'ossa minuscole ma robuste, il continuo oscillare delle antenne durante l'ispezione di terreni inesplorati.
Non posso raccontare quelle interminabili notti passate a rigirarmi da un fianco all'altro, cercando disperatamente di appigliarmi a quelle immagini sparpagliate, di dar loro un ordine e un senso; ritrovandomi sorpreso dall'alba perso in questi pensieri, tenendo il cuscino stretto con i pugni chiusi, tormentato dalla testa dolente per l'insonnia. Nonostante tutti i tentativi uniti alla mia costanza, non sono riuscito a fare un singolo passo in avanti, difatti nulla è cambiato e ne so quanto prima, di conseguenza quanto posso raccontarvi è incompleto e frammentario ma il vero problema è che i miei ricordi appartengono ad un altro livello di percezione, assolutamente estraneo al nostro e quindi praticamente impossibile ad esprimersi. Accontentatevi quindi di queste mie memorie imperfette, per quanto mi tormenti e mi rattristi non posso far nulla per migliorarle.
Ero una formica operaia, questo lo ricordo con certezza. Mentre un vuoto di proporzioni abissali ha inghiottito il periodo immediatamente successivo alla mia nascita, ricordo la mia prima giovinezza, quando vagavo per il formicaio in compagnia di altre operaie della mia generazione, consapevoli che la nostra infanzia si sarebbe conclusa da lì a poco e se fino a quel momento il nostro bighellonare giocoso e timido era stato tollerato perfino dalle formiche più anziane, ora queste davano segni d'impazienza e ci urtavano se per caso eravamo sulla loro strada nelle gallerie. Ma, giovani come eravamo, non ce ne curavamo affatto e continuavamo a comportarci normalmente finché ci fu possibile: sarebbe stato stupido cercare di goderci fino in fondo quegli ultimi tempi in quanto irripetibili, poiché sarebbero dovuti finire comunque. Vorrei poter esprimere a parole l'istinto che ci guidava nei cunicoli oscuri e amici, la vita pulsante del formicaio, presente nell'aria con quel silenzio vibrante di comunicazioni, la presenza calda e dinamica delle mie compagne; ma sono sensazioni che nemmeno io riesco a comprendere con chiarezza. Improvvisamente l'immagine è inghiottita da una fulminea oscurità, il formicaio svanisce nel buio più profondo. Eccolo di nuovo, rischiarato da un lampo chiaro e conciso: ce ne stavamo ferme con tutte le membra tese con le antenne mobili, attendevamo inquiete l'avvenimento. Ma ecco giungere la notizia, propagata telepaticamente da una formica all'altra, avvicinarsi sempre più a me e colpirmi infine con la sua abbagliante chiarezza. Un'infinitesimale frazione di secondo per riprendermi, per accumulare forze sufficienti a mettermi in contatto con la sorella di fianco a me; ero atterrita ma già da tempo consapevole, e dunque via, non esitare, mettersi in fila con le altre e giungere al raduno. Fu inconcepibilmente facile, ogni passo verso la conclusione definitiva della nostra giovinezza appariva naturale e glorioso, mi pareva di essere già utile con quella marcia, di stare già ripagando il debito che avevo nei confronti della comunità per avermi sfamata e protetta.
Da quel momento indeterminato durante il mio tragitto per le gallerie sotterranee ogni ricordo preciso svanisce in una dissolvenza lenta e graduale lasciandomi spettatore tormentato della mia vita, impossibilitato ad una chiara visione da una densa cortina di fumo verde attraverso la quale mi giungono soltanto occasionali suoni ed odori. Quante volte durante le mie notti insonni ho cercato di alzarmi e attraversare quell'ostacolo crudele, quante volte sono stato sconfitto! E intorno a me quell'infinito tamburellare di piccoli passi, di zampine leggere ma forti, mentre ansimante mi svegliavo dal raro sonno, con la netta sensazione di essere circondato da milioni di formiche che camminavano intorno a me lungo i confini del mio corpo, ma senza mai invaderli, rispettose ed infaticabili come sono. Capirete certamente come mi fosse impossibile riaddormentarmi. Cercavo disperatamente di udire nuovamente il suono delicato della loro marcia, ma il mio stesso respirare era sufficiente a coprire quella fragile musica. Trattenevo il fiato allora, ed eccole di nuovo lì che si arrampicano per i cunicoli in ordinata fila, e io stavo incantato ad ascoltarle mentre in me cresceva la consapevolezza che fra loro c'ero stato anch'io. Sentivo chiaramente il peso del granello di zucchero che trasportavo orgogliosa di poter accrescere le riserve del formicaio, ma quanto era faticoso ogni mio passo! Mi era possibile sostenere l'immenso sforzo solo grazie alla mia determinazione, alla consapevolezza che tutte le mie sorelle erano nella stessa situazione, le sentivo nella mia testa senza vederle, la loro fatica era la mia, la loro forza anche.
Ma ecco, lo sforzo del trattenere il fiato era diventato insostenibile e il silenzio era fragorosamente infranto dal mio ansimare esausto. Addio, care formiche! Spaventate da quel cataclisma erano sparite, ora erano certamente al sicuro nel formicaio in quei cunicoli che io percepisco tuttora in modo così vivido.
Per chissà quante notti non si ripresentavano più ed io le attendevo invano, con tutti i miei sensi umani in allerta. Ma non bastano, non bastano!
L'unico periodo dell'anno in cui questa situazione si interrompe è l'inverno: durante le notti infatti riesco a dormire profondamente, di giorno sono pigro e assonnato e nulla mi invita a vivere.
E all'improvviso, mentre fisso il cielo grigio ed inespressivo riprovo il mio essere formica; tutto si sfuma e sono preso dal torpore. In letargo. ero in letargo insieme a tutte le altre!
Non posso definirlo un vero e proprio sonno, piuttosto uno stato di veglia costante, spogliato d'ogni vitalità: eccomi, formica immobile attorniata da migliaia di mie simili tutte perse in quel fluttuare indeterminato, privo di ogni cognizione temporale. Basta un secondo, ed eccomi di nuovo uomo. Basta un secondo perché tutto svanisca, per riprendere a lavorare come se niente fosse.
Il tanto temuto vuoto! Un solo ricordo ancora, un'ultima immagine!
Come? Come può finire tutto così, in questo modo ruvido e prematuro.
Ebbene, l'ultimo spezzone della mia vita precedente come formica viene proiettato davanti a me più volte al giorno, ed è così chiaro e semplice, così preciso e dettagliato! Eccomi, sono in esplorazione in un territorio sconosciuto. Tutti i sensi all'erta, pronta e scattante, cauta e razionale. Zampetto sulle dune di ghiaia in un circospetto saliscendi, fermandomi alla minima presenza estranea che percepisco. All'improvviso una massa enorme da qualche parte vicino a me. Do l'allarme, ma dubito che qualche compagna possa sentirmi. Corro, zampetto a tutta velocità verso un ciuffo d'erba distante, unico rifugio visibile, ma com'è lontano. Mi avvicino sempre di più, ci sono quasi... ecco! Finalmente al sicuro. Buio totale. Il salto dalla vita di formica a quella di uomo fu incredibilmente breve.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010