Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
13ª edizione - (2010)

Solo una storia
di Michela Giudici
Secondo premio

La foresta trascendeva la realtà, e quel silenzio quasi palpabile ne accentuava l'effetto. Akie si voltò di scatto, turbata da un leggero fruscio alle sue spalle. La stavano pedinando, ora ne era certa. Sguainò il pugnale e si mise a correre. Doveva mettere più distanza possibile tra lei e i suoi inseguitori. I colori cangianti della vegetazione la disorientavano e lei correva alla cieca, seguendo solo l'istinto. Il cuore in gola, i sensi in allerta; correva a perdifiato. I rami le si piazzavano davanti e ogni volta era costretta a spezzarli o spostarli e spesso doveva operare dei bruschi cambi di direzione per evitare i tronchi dei giganteschi alberi. Tutto ciò la rallentava, e lei non aveva tempo. Si voltò per l'ennesima volta, alla ricerca dei suoi inseguitori, ma nessuna figura si delineava dietro di lei se non quella della foresta.
La sua corsa fu interrotta prima del previsto. Si bloccò di colpo, lanciando un grido di sorpresa. Si era fermata davanti a un immenso precipizio. Guardò un sassolino cadere da quell'altezza e la vista la terrorizzò. Si sporse leggermente per vedere cosa c'era giù. Dalla parete sbucavano arbusti ed erbacce che nascondevano la vista del panorama subito sottostante. Akie si allungò ancora di più, portando le mani indietro per bilanciarsi. Un fiume faceva il suo corso sinuoso nel mezzo della vallata rocciosa.
Il rumore di un ramo alle spalle le ricordò dell'inseguimento in atto poco prima. Sobbalzò a causa del quel rumore. Il suono echeggiò per la foresta come un colpo di cannone e Akie, inevitabilmente, fece un balzo all'indietro.
Voleva urlare, ma l'aria sembrava non volerle arrivare all'interno dei polmoni. Sopra di sé vedeva il cielo azzurro. La consapevolezza di essere precipitata nel baratro arrivò successivamente, quando vide passarle accanto un sassolino, evidentemente caduto insieme a lei. Non fece in tempo a produrre un solo pensiero razionale che un dolore lancinante alla spalla la pervase. L'impatto con la terra dura le mozzò definitivamente il fiato. Rotolò per diversi metri all'interno della sporgenza su cui era caduta e si bloccò andandosi a schiantare contro un'altra parete di pietra. L'odore del suo stesso sangue penetrò pungente all'interno delle sue narici e andò a mischiarsi con quello della terra sudicia.
Akie provò ad alzarsi. Fece leva sulle braccia, ma quella destra le cedette subito. La fitta di dolore alla spalla si espanse nel resto dell'arto.
"Devo essermela rotta", pensò a denti stretti.
Riprovò il movimento, appoggiandosi solo sul braccio sinistro e aiutandosi con le ginocchia e le gambe. Si morse le labbra fino a far uscire altro sangue pur di non urlare dal dolore. In fondo, lei non era ancora abituata a questo genere di sofferenze, era solo un'apprendista. Alla Confraternita non sarebbe piaciuto tutto questo. Si stava facendo mettere nel sacco come una novellina e per di più si era anche ferita.
"Dannazione!", pensò frustata.
Quella era la prima missione seria che le affidavano e lei si stava perdendo così. Inoltre, non riusciva proprio a capire chi fosse sulle sue tracce. Si maledisse mentalmente ancora una volta e decise di proseguire. Doveva trovare quel maledetto santuario, altrimenti sarebbe stata tagliata fuori dalla Confraternita.
Zoppicando si diresse verso l'apertura di quella specie di grotta naturale incastonata nella parte del precipizio. Arrivata a una certa distanza dal bordo si voltò verso l'alto. Riconobbe il contorno della cresta da cui era precipitata; era stata fortunata che la sporgenza che fungeva da ingresso alla grotta si trovasse proprio sotto di lei. Spostò lo sguardo verso l'esterno. Da lì aveva una visuale migliore che dall'alto della montagna, ostacolata, invece, dalla vegetazione. Sotto di lei riconobbe il fiume e si consolò nel vedere che non era poi così distante rispetto a come l'aveva immaginato. Le acque, agitate e scure, la terrorizzavano. Eppure non aveva altra scelta. Oltre la riva, aveva individuato il suo santuario. Il fiume doveva essere molto profondo, non c'erano dubbi. Più l'acqua è scura, più essa è profonda. Le riecheggiarono nella mente le parole di uno dei primi insegnamenti datole all'Accademia.
Respirò profondamente, si tappò il naso con il braccio sano e fece un passo oltre il baratro. Strizzò gli occhi e la bocca, sperando che questo le impedisse un'entrata d'acqua.
L'impatto con la superficie arrivò prima del previsto e in maniera più dolorosa. Il liquido si era trasformato in una lastra di metallo che lei aveva bucato solo con il suo corpo. L'acqua era talmente gelida che bruciava; le sembrava che la pelle fosse trafitta da migliaia si spilli. Tornò in superficie annaspando, muovendo freneticamente il sinistro per spostarsi lungo la riva desiderata. La corrente la sballottava da una parte all'altra non lasciandole tregua e le forze cominciavano già a venirle meno. L'impeto del fiume la travolgeva e più volte credette di annegare. I muscoli le bruciavano per l'impegno. Raggiunse la riva con uno sforzo sovrumano, stupendosi lei stessa per quella forza che non pensava di possedere. Si sdraiò a pancia in su e respirò profondamente. Tossì un paio di volte per eliminare l'acqua che le aveva raggiunto i polmoni.
Il sole le scaldava il viso; sentiva che la stanchezza la stava totalmente sopraffacendo, tanto che anche lo scorrere impetuoso delle acque le sembrò una ninnananna soave.
Solo cinque minuti… li chiudo solo per… Non fece in tempo a finire il suo pensiero di buon proposito che le palpebre si fecero pesanti come macigni e gli occhi le si chiusero, facendola cadere tra le braccia di Morfeo.
Il sole era ormai alto nel cielo, quando Akie si risvegliò. Era in cammino dall'alba e non aveva ancora raggiunto la meta. Questo pensiero arrivò folgorante. Si alzò di colpo e il dolore alla spalla la riportò bruscamente alla realtà.
"Devo muovermi!". Era allarmata. Chissà per quanto aveva dormito! Non lo sapeva, però sapeva che questo aveva costituito solo un vantaggio per i suoi inseguitori.
D'istinto si portò la mano alla cintura e la vista del fodero vuoto la fece inorridire.
"Dov'era il pugnale?". Doveva averlo perso durante una delle sue cadute. In un istante tutto diventò nero, le girava la testa e si sentiva persa. Cosa avrebbe fatto senza il suo pugnale?
"Stupida! Come hai fatto a perderlo?". Una vocina all'interno della sua testa prese a insultarla.
"Non è colpa mia!". Provò a difendersi.
La vocina continuò imperterrita: "Adesso, almeno, ti conviene fare il tuo dovere! Se no come spiegherai alla Confraternita che, oltre al pugnale, hai perso anche la Kerikam?".
Akie annuì con vigore. Doveva andare, doveva finalmente dimostrare di che pasta era fatta. S'incamminò veloce all'interno della vegetazione che si trovava alle sue spalle. Sullo sfondo il santuario appariva maestoso. La struttura ottagonale era sovrastata da un immenso tetto a cupola color rosso scuro che a intervalli si aprì in buchi ed era sostenuta da una serie di colonne. I vetri delle finestre erano ridotti in frantumi, ma quel poco che rimaneva faceva intravedere i resti di figure colorate. Le pietre grigie facevano capolino da sotto uno strato di edera ed erbe varie.
Akie rimase stupefatta davanti a tanta magnificenza.
"Doveva essere una struttura incredibile!", pensò a bocca aperta. Poi scosse la testa e varcò l'ingresso.
La stanza doveva essere grande quanto l'intero santuario. Sul pavimento vi era uno spesso strato di polvere, mischiato alla vegetazione che vi era cresciuta all'interno e ai pezzi di vetro.
Si guardava intorno estasiata e avanzava a passo felpato per non fare troppo rumore, quasi non volendo spezzare l'atmosfera magica del luogo.
La perla Kerikam le comparve davanti agli occhi senza che neanche se ne accorgesse. Un sibilo sottile accompagnò la salita dal pavimento di una struttura circolare nel centro della stanza. Akie corse in quella direzione sorridendo entusiasta. Era riuscita ad adempire al suo compito. Un senso di soddisfazione la percorse, mentre prendeva tra le mani la sfera liscia. La perla sarà stata delle dimensioni del suo pugno e aveva un colorito rosato. Non sapeva di preciso perché la Confraternita la volesse, ma poco le importava. La cosa fondamentale è che fosse riuscita a recuperarla.
Qualcosa la colpì in pieno volto, sbattendola violentemente a terra. La perla le rotolò lontano e Akie fece giusto in tempo a voltarsi per evitare un altro colpo. Si rialzò di scatto, i nervi tirati come corde di violino. Ancora una volta si era fatta fregare come una principiante.
In un istante rivisse i suoi primi allenamenti.

 Il mare era calmissimo. Una leggera brezza le muoveva il ciuffo che non riusciva a legare insieme al resto dei capelli. Strinse di un poco gli occhi per fissare meglio il suo allenatore siccome il sole la stava accecando. Akie strinse la mano intorno all'elsa della spada di legno che le aveva dato l'insegnante prima di portarsi a una certa distanza.
Il luogo scelto per l'allenamento con le spade era stata la spiaggia: la sabbia rendeva più difficili i movimenti e l'aria che tirava le faceva andare i granelli negli occhi.
Akie maledisse il suo insegnante un centinaio di volte. Lo sapeva perfettamente che lui la odiava e faceva di tutto per renderle la vita impossibile.
L'uomo scattò in avanti distogliendola dai suoi pensieri. Teneva la spada di legno dietro la schiena e appena arrivato a pochi centimetri da Akie, caricò il colpo che la colpì sulle gambe.
"Se fossi stato uno dei tuoi avversari a quest'ora, saresti nell'Aldilà! Ti vuoi concentrare?"
"Sì, scusa" rispose Akie abbassando la testa. Si rimise in posizione da combattimento e parò a stento il colpo che il suo allenatore aveva fatto partire a una velocità pazzesca.
"Si vede che è stato un grande combattente", pensò ammirata e alzando all'ultimo momento il braccio con la spada per parare un colpo che le sarebbe arrivato dritto nello stomaco. Il tenere l'arma con un solo braccio non l'aiutò un granché infatti, quando arrivò il contraccolpo, per poco non cadde a terra. Il componente della Confraternita, oltre a essere più abile, era anche molto più forte.
Devo agire d'astuzia, ma ancora una volta l'uomo la precedette. Un fendente tagliò l'aria di fianco al suo orecchio.
"Concentrati!" E ripartì all'attacco. Attaccava incalzante senza lasciarle un attimo di tregua. Akie parava quasi tutti i colpi, ma sempre all'ultimo e tenendo la spada con una mano sola che non poteva certo reggere l'assalto fatto con la potenza delle due braccia del maestro.
"È troppo forte! E non mi lascia un momento! Come posso fare a contraccambiare. Potrei… ci sono! Ora mi abbasso e schivo uno dei colpi, mi porto su un lato e lì colpisco!".
E senza capire come si ritrovò distesa sulla sabbia con la spada puntata sul collo. L'uomo aveva fatto un salto e con un calcio l'aveva sbattuta a terra minacciandola con la spada appena si era girata.
"Allora? La smetti di pensare? In questo modo ti deconcentri e basta! Non lasciare che sia la mente a decidere le tue azioni ma il corpo! Vedrai che agirai d'istinto… il tuo corpo non vuole certo essere ammaccato da una spada di legno!", la rimproverò l'istruttore, "Ah, e tieni la spada con due mani, ok?".
Si rialzò senza aggrapparsi alla mano dell'istruttore e piena di rabbia per la sconfitta appena subita, afferrò saldamente la spada con due mani parando l'attacco che stava già arrivando fulmineo. Stavolta fu l'uomo a dover indietreggiare per un attimo, ma si riprese quasi subito. Adesso il combattimento era più equilibrato e a ogni colpo c'era sempre una parata pronta. Continuarono così, botta e risposta, attacco e contrattacco, per un paio di minuti, poi Akie senza rendersene quasi conto seguì l'istinto e non più la rabbia. Prendendo più slancio possibile spiccò un salto e atterrò alle spalle dell'istruttore e con un affondo lo colpì alla schiena. Senza neanche controllare se gli avesse fatto male, compiendo una specie di cerchio intorno a lui colpì un'altra volta, al fianco sinistro. Iniziava a prenderci gusto. Provò un altro colpo allo stesso fianco che l'uomo parò senza difficoltà, ma Akie si era già abbassata e, passata sotto le sue gambe, gli assestò un colpo tra le costole.

 E anche questa volta, immersa nei suoi pensieri, non si accorse che l'uomo che l'aveva colpita poco prima stava già caricando un altro attacco. Era alto e molto muscoloso, completamente vestito di nero, con un passamontagna in testa che impediva di riconoscerlo.
Akie scansò leggermente la testa per evitare il pugno che l'avrebbe colpita in pieno volto. D'istinto gli diede una ginocchiata nello stomaco e lo costrinse a piegarsi in due. Si staccò da lui e si preparò al combattimento. La perla doveva essere assolutamente sua.

 "A tavola" una voce ruppe l'aria. Akie si guardò intorno alla ricerca della fonte di quel rumore inaspettato. "Monica, a tavola".
Monica?
Monica chiuse il libro, provocando un rumore sordo. Le urla di sua madre la riportarono alla realtà. Lentamente la consapevolezza di non essere più Akie si fece più nitida e si risvegliò da quel sogno ad occhi aperti. Succedeva sempre così. Si metteva a leggere e si estraniava dal mondo.
Sospirò e appoggiò il tomo sul suo comodino, guardando per la centesima volta la copertina di quel meraviglioso racconto. Tornò ad essere solo Monica, la ragazza di città, dove la più eccitante avventura che poteva vivere consisteva in un'interrogazione a sorpresa a scuola.
"Allora, ti sbrighi?" sua madre la chiamava per l'ennesima volta.
Si alzò dal letto e corse in cucina per la cena, ma con il pensiero era ancora nel romanzo.
"Peccato, pensò, è solo una storia…".


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010